Il calvario al quale sembra sottoposto da mesi il principale scalo aeroportuale di Roma, Fiumicino (l’altro è Ciampino diventato l’hub delle compagnie low cost), potrebbe sembrare l’effetto di una “monumentale sfiga”. Alcuni adombrano qualche manina dietro i due incendi – uno, tre mesi fa, interno al Terminal 3, l’altro tre giorni fa alle pinete che circondano le piste, infine il guasto elettrico di ieri ad una cabina Enel che fornisce energia allo scalo.
Eppure se c’è un nesso tra quanto accaduto e le funzioni assegnate all’aeroporto della Capitale, occorrerebbe infilare il naso nei meandri delle scelte che negli ultimi sette anni, una parte del capitale finanziario ha riversato sullo scalo. La suicida scelta della privatizzazione, la nascita della cordata di investitori improbabili e del tutto avulsi dalla materia e che diedero vita alla Cai, il tira e molla con l’Air France fino al ritiro dell’interesse della compagnia francese e alla comparsa degli arabi della Ettihad come azionisti e proprietari di riferimento di quella che fu l’Alitalia. Da gennaio l’Alitalia è di proprietà per il 51% della Midco (la cordata di “prenditori” italiani) e per il 49% della Ettihad, la compagnia aerea di Abu Dabhi. A presiedere la baracca è stato posto Luca Cordero “Prezzemolo” di Montezemolo appena defenestrato da Marchionne dalla Ferrari.
Ma un aeroporto è qualcosa di più complesso di una semplice compagnia aerea, è una infrastruttura che richiede servizi, funzionalità, strutture di emergenza in grado di intervenire lì dove si presentano problemi e imprevisti che si ripercuotono immediatamente sul traffico aereo.
A Fiumicino invece hanno voluto fare, come si dice, “le nozze con i fichi” cioè creare una struttura con vocazioni da gigantismo ma riducendo al lumicino i lavoratori occupati, i servizi forniti e le strutture di emergenza.
I “capitani coraggiosi” della Cai sono infatti imprenditori inclini all’affarismo e che vogliono rientrare rapidamente dell’investimento fatto, quindi più “prenditori” che imprenditori. Le conseguenze non potevano tardare anche nel contratto di servizio tra Alitalia e Aeroporti di Roma, la società che gestisce lo scalo ed ex Iri, privatizzata tra il 1997 e il 1999 dai governi di centro-sinistra. Nel 2005 la società era stata ceduta alla società spagnola Flightcare SL, ma le attività italiane dell’aeroporto sono state rilevate successivamente dalla Groundcare.
Per allargare il giro di affari, Fiumicino è diventato l’hub anche delle compagnie low cost, per le quali il solo scalo di Ciampino era diventato insufficiente rispetto alle rotte messe a disposizione e che avevano visto le proteste dei residenti contro i voli notturni. Attualmente il Terminal 2 è quello destinato alle compagnie low cost, sul quale per mesi si sono riversati anche i voli e i servizi del Terminal 3 andata a fuoco mesi fa costringendo i lavoratori a operare con mascherina e in un clima di alta nocività ambientale certificata anche dall’Istituto Superiore di Sanità. Eppure la società Areoporti di Roma ricorda in una nota diffusa ieri che “negli ultimi tre mesi la crescita del sistema aeroportuale romano è stata del 5,6%, nonostante gli effetti dell’incendio, e che oggi l’aeroporto di Fiumicino è in una situazione di piena ed efficiente operatività con punte giornaliere di oltre 140mila passeggeri”.
Cosa è accaduto ieri e nei giorni scorsi? E’ accaduto che la congestione si è accumulata sul Terminal 2, quello delle compagnie low cost che – in nome del contenimento dei costi – “brillano” per l’assenza di servizi ai loro passeggeri abbandonati a se stessi dentro l’aereoporto. Ogni imprevisto, piccolo o grande che sia, produce un effetto a cascata su una struttura inadeguata a gestire un volume di traffico di questa portata.
Il traffico aereo nell’aeroporto di Fiumicino è così cresciuto notevolmente. Al momento i passeggeri che transitano per Fiumicino in un anno sono 38 milioni ma gli azionisti vogliono portare il traffico a ben 51 milioni di passeggeri all’anno. Lo scalo deve così diventare un altro tempio di un fenomeno devastante come il turismo di massa completamente deregolato. “Adesso chiunque può volare a basso costo e visitare il mondo” ci risponderanno i liberisti e i templari del libero mercato. Ma siamo sicuri che questo sia un modello sostenibile dalle infrastrutture esistenti? E come si vuol far sì che Fiumicino sia in grado di sopportare questo impatto di milioni di persone in carne ed ossa che arrivano e transitano? Non solo “stressando” le strutture, i servizi e i lavoratori esistenti ma allargando l’aeroporto con nuove piste e servizi. Qui entra in campo uno degli azionisti della Cai/Alitalia adesso Migdo: Benetton. E qui si apre un altro capitolo dell’affarismo vorace che stressa Fiumicino.
Quando l’Iri privatizzò tutte le sue società, una di queste era l’azienda agricola modello di Maccarese. Gran parte dei terreni furono comprati dai Benetton ( 800 ettari su 1300) ma non certo per farci pascolare animali da cui ricavare poi i tessuti per i loro costosissimi maglioni, ma perchè avevano in cantiere proprio l’idea che quei terreni agricoli a ridosso dell’aeroporto di Fiumicino– con un lucroso cambio di destinazione d’uso – sarebbero diventati quelli su cui si sarebbero allargate le piste dello scalo in nome del gigantismo infrastrutturale. Investimenti previsti: dodici miliardi di euro per piste, terminal, servizi, centri commerciali e quant’altro. Ma un aereoporto, come abbiamo detto, è una strutura complessa che richiede personale, servizi adeguati, se si vogliono fare le “nozze con i fichi” al massimo ne guadagnano azionisti che volgiono rientrare presto dei loro soldi ignorando il fatto che si tratta di infrastutture con funzioni di servizio pubblico. Il problema dell’aeroporto di Fiumicino dunque non è la “jella” ma la voracità degli affaristi, in tutti i sensi e su tutte le rotte.
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