E così si sarebbe chiusa «un’era straordinaria». Parola di Janet Yellen, presidente della Federal Reserve statunitense, per inquadrare la decisione di cominciare a rialzare i tassi di interesse. In pratica, la fine dell’epoca del denaro facile, a costo zero. Un assurdo in regime capitalistico, in cui ogni “investimento” – quindi anche un prestito magari per poche ore – deve avere o cercare una remunerazione, un profitto.
Un assurdo durato sette anni negli Usa, copiato poco a poco da tutte le banche centrali del mondo, per provare a fermare la frana della finanza globale – quindi anche dell’economia reale – innescata dalla crisi del 2007-2008, culminata nel fallimento della banca d’affari Lehmann Brothers e nel’improvviso congelamento dell’attività finanziaria.
Ben Bernanke, allora al posto della Yellen, si avventurò “in terra incognita”, non prevista e quindi non studiata mai da nessun economista o banchiere centrale. Portò rapidissimamente a zero i tassi di interesse, e subito dopo inventò il quantitative easing. In pratica una gigantesca “lavatrice” che ingurgitava titoli tossici, ormai senza più prezzo sul mercato, e restituiva denaro fresco, disponibile per le banche e gli altri investitori professionali (assicurazioni, fondi di investimento, ecc).
La speranza era in fondo semplice: con così tanto denaro a disposizione, almeno una parte sarebbe arrivata all’economia reale, sotto forma di prestiti nuovamente concessi dalle banche alle imprese e alle famiglie.
Non è andata così. Le banche e gli altri “investitori” forti quel denaro lo hanno tenuto in cassaforte, ci hanno ripulito conti e bilanci più che zoppicanti; al limite hanno investito in borsa (azioni e obbligazioni, titoli di stato, ecc), gonfiando le quotazioni per un lungo periodo in cui il “sottostante” calava invece di volume.
Molte imprese e molti paesi si sono comunque indebitati in dollari, confidando nel tasso zero che – secondo le assicurazioni della Fed – sarebbe rimasto a quel livello per molto tempo. Questi soggetti – paesi interi, come per esempio Brasile, Indonesia, Cile o Turchia – si ritroveranno a giorni di fronte a debiti crescenti a causa del rafforzamento del dollaro e della salita dei tassi. Per gli “emergenti”, già in crisi per la caduta del prezzo delle materie prime, può diventare una tragedia (e anche per quanti hanno fondato sulle esportazioni verso quei paesi le proprie speranze di crescita; come l’Italia e in genere l’Unione Europea).
Qualche briciola di tutta quella liquidità, soprattutto negli Stati Uniti, è finita comunque anche nell’economia reale. Ne farebbero fede sia l’aumento (stentato) del Pil, sopra lo zero da tre anni, sia il calo della disoccupazione ufficiale. Il condizionale è d’obbligo, perché le statistiche Usa sono da sempre piuttosto dubbie. I dati sul Pil, per esempio, risentono molto dei movimenti delle multinazionali statunitensi; producono all’estero, reimportano la produzione, fatturano parte all’estero, parte “in patria”. Nessuno sa dire sul serio quanto siano affidabili certe cifre. Peggio ancora per quanto riguarda la disoccupazione, che ufficialmente è scesa ora al 5%, giustificando pertanto il rialzo dei tassi perché si sarebbe tornati a “livelli fisiologici”. Ma il “tasso di partecipazione” al mercato del lavoro – ovvero la percentuale di persone in età da lavoro che effettivamente hanno un’occupazione, anche se precaria e saltuaria (basta un’ora alla settimana per essere contggiati tra gli “occupati”) – è ai minimi di sempre: il 62%. Significa che un terzo dei cittadini Usa non lavora e non cerca occupazione. In pratica circa 100 milioni di disoccupati cronici. Considerare “fisiologica” questa situazione è possibile solo se il sistema è impazzito e ormai fuori controllo.
Ciò nonostante la Fed ha inziato a risollevare i tassi di interesse, ossia a far costare qualcosa il prestito di denaro. Pochissimo, per ora, appena lo 0,25% (in realtà c’è una banda di oscillazione variabile tra questa percentuale e lo 0,50), ma con la previsione di innalzarlo di un punto percentuale durante il 2016, un po’ alla volta.
Nessuno giura che però questo segni davvero il “ritorno alla normalità economica”, dopo sette anni di “mondo alla rovescia” (il denaro gratis, per le banche). Più che altro la decisione sembra un esperimento dal vivo, per vedere cosa succede, pronti a fare marcia indietro se i calcoli si rivelassero sbagliati.
Vedremo nelle prossime ore e giorni la reazione dei mercati, quindi della speculazione finanziaria globale, che aveva già “scontato” questo rialzo, ormai annunciato da oltre un anno. Ma il numero di variabili appare già ora molto alto. A parte l’indebitamento in dollari di paesi emergenti e imprese (il 60% degli scambi internazionali avviene ancora in dollari), ci sono forti rischi in larghi settori del mercato obbligazionario (specie sui titoli a più alto rendimento).
Non solo. Sette anni di tassi zero hanno certamente creato una serie di “bolle” che ora potrebbero scoppiare; e nessuno sa con esattezza dove siano collocate, ma soprattutto quali siano le loro dimensioni. Di certo, in circolazione c’è un debito eccessivo (sia in mano alle imprese che alle “famiglie”). Ma soprattutto l’inflazione – che secondo le teorie economiche liberiste avrebbe dovuto risalire rapidamente proprio grazie alla abbondanza di liquidità a tasso zero – è ancora ampiamente inchiodata vicino allo zero; ben lontano da quel 2% ritenuto, sempre sui manuali, “fisiologico”.
Un mistero e diversi problemi immersi nel buio, insomma, di cui non si conoscono caratteristiche strutturali, dimensioni, ramificazioni. E se anche alcuni di questi problemi fossero più definiti, sarebbero imprevedibili le consguenze sistemiche – sul mercato globale – dell’eventuale esplosione di alcuni di essi.
Solo la scomparsa dell’inflazione, per esempio, sta lì a documentare, nero su bianco, che il sistema capitalistico non funziona più come si era visto prima. O meglio: che c’è in circolazione un tale eccesso di capacità produttiva da sconsigliare – a tutti gli industriali, di qualsiasi settore, a parte qualche eccezione marginale – di utilizzarla appieno.
Si può produrre ricchezza, ma non conviene farlo. Vi sembra un mondo “normale”, questo?
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