L’unione Europea è entrata in un vortice di problemi che apre la necessità di rivedere alcuni trattati, o di immaginarne altri.
Nulla di “progressivo” naturalmente, anzi di più reazionario. Ma un percorso disegnato a Maastricht, un quarto di secolo fa, sembra ormai arrivato al capolinea. Fin quando a porre problemi è stato un paese solo, per di più piccolo e debole come la Grecia (e prima ancora Cipro) la risposta è stata violenta: obbedite e basta.
Ora c’è invece da affrontare le bizze inglesi (paese fuori dall’euro e tentato di staccare la spina completamente anche dagli altri, minori, vincoli europei), mentre esplode la questione dell’”unità bancaria”.
Sul primo fronte, che ha visto gli inglesi porre un ricatto sociale brutale – “non forniremo più welfare agli immigrati comunitari, almeno per alcuni anni, se non ci date quello che vogliamo” – i margini di mediazione sono stretti ma abbastanza comodi. I tedeschi hanno detto che se ne può discutere, quindi si è cominciato a discutere.
L’altro fronte è invece semplicemente devastante, perché lì di margini non ce ne sono. Di visibili, almeno. L’”unione bancaria” tra i paesi che adottano la moneta unica prevedeva fin dall’inizio “tre pilastri”, da costruire progressivamente perché l’intero edificio potesse stare in piedi.
Il primo pilastro – Meccanismo di Vigilanza Unico (SSM), entrato in vigore nel 2013 ma operativo da novembre 2014; ovvero la vigilanza bancaria, da trasferire integralmente dalle banche centrali nazionali alla Bce – è a metà del guado. La Bce ha preso la sorveglianza sulle banche “sistemiche”, quelle di grandi dimensioni il cui eventuale fallimento potrebbe avere conseguenze disastrose. Per quelle piccole, invece, la vigilanza è rimasta per ora in mano alle autorità nazionali, perché soprattutto la Germania non ha voluto che qualcu altro ficcasse il naso nel sistema diffuso delle Landesbanken, istituti regionali quasi sempre controllati da un mix politici-imprenditori locali, che quasi mai presentano bilanci trasparenti e tanto meno in ordine. Ma anche a livello macro, come per esempio Deutsche Bank, gli istituti tedeschi possono esibire il minimo assoluto di credibilità globale (Deutsche è stata salvata più volte con soldi pubblici, negli ultimi anni, ed è stata alcentro di quasi tutti i crack finanziari del nuovo millennio).
Il secondo pilastro, il Meccanismo Unico di Risoluzione delle Crisi (SRM), che entrerà in vigore nel 2016, quindi ormai vigente. E infine il Fondo Unico di Risoluzione (SRF) che sarebbe dovuto andare a regime dal 2025.
Quest’ultimo è il vero nodo del contendere perché implica necessariamente un fondo unico di assicurazione sui depositi, ovvero la “mutualizzazione” tra tutti i paesi europei dei costi di eventuali fallimenti bancari, per garantire ai correntisti la disposibilità integrale dei soldi versati, fino a 100.000 euro. Valgono qui le parole con cui Angela Merkel, venerdì, ha annientato l’alzata di ingegno di tal Matteo Renzi sul tema: “La mutualizzazione dell’assicurazione dei depositi bancari farebbe l’opposto che ridurre i rischi nel sistema finanziario. Per questo pensiamo sia sbaglaita e a respingiamo”.
Come si vede, non è uno stop tattico, momentaneo, ossia il solito “prima mettete a posto i vostri conti e poi andiamo avanti insieme”. No. Qui c’è una rimessa in discussione del sistema, della sua struttura. Insomma, di un trattato (com’è stato costretto a ricordare Mario Draghi: «L’unione bancaria va completata. Su questo c’è stato un accordo, sia sulla costituzione di un sistema di assicurazione dei depositi, sia su un Single Resolution Fund (per finanziare gli interventi sulle banche in crisi ndr). Queste cose vanno fatte, anche perché in questo modo uno dei problemi che ha caratterizzato la crisi, il nesso bidirezionale tra banche e Stati sovrani, viene attenuato»).
Non è sorprendente che la questione sia esplosa a livello europeo dopo la vicenda del “salvabanche” italiano, con la scelta del governo Renzi di mettere in moto un bail in – anziché il Fondo interbancario, ancora esistente e operativo – che ha scaricato su obbligazionisti ingenui e correntisti di provincia i costi di una gestione oltre il limite del crimine organizzato. Si pensi che soltanto in Banca Etruria sono stati scoperti 25.000 conti correnti senza un titolare rintracciabile, facendo subito parlare di riciclaggio (e non certo di denaro pulito).
Non ci sono certo soltanto le piccole banche italiane in condizioni precarie, quindi la domanda “chi paga?” va posta a livello continentale. E la Germania del duo Merkel-Schaeuble risponde: “noi mai”.
E allora? La direzione di marcia è indicata con raro cinismo da Lars Feld, consigliere del governo tedesco e vicino al ministro Wolfgang Schaeuble, intervistato ieri da Federico Fubini sul Corriere della Sera: “I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi”.
Una traduzione non sarebbe necessaria, ma la facciamo lo stesso: “Voi italiani dovrete tosare i vostri correntisti – e tutti lo siamo, perché è ormai obbligatorio avere un conto per versarvi stipendio o pensione – per salvare le vostre banche. Perché lo diciamo noi, Punto e basta”. Se non ce la fate nemmeno così, c’è sempre “Il fondo salvataggi è lì per gestire il rischio sistemico che va aldilà della capacità di un Paese”. Un meccanismo che inchioda ancora di più le possibilità di manovra di un governo nazionale e spinge, in casi neanche estremi, a vendere a prezzi stracciati aziende e/o banche; con tedeschi o francesi pronti a comprare. “Comunque – chiude Feld – dobbiamo impedire a qualunque governo di sussidiare le banche”.
Se i tedeschi non avessero usato 300 miliardi di fondi pubblici per salvare le loro, durante il momento peggiore della crisi finanziaria, il ragionamento sarebbe inaccettabile ma almeno “onesto”. Così è soltanto una rivendicazione del “diritto del capitale con base in Germania” a spadroneggiare dovunque, nel Vecchio Continente.
Sta di fatto, a questo punto, che la costruzione dell’Unione Europea si trova ad affrontare scogli inaggirabili. E se verrà comunque trovata una soluzione, questa sarà terribile per le popolazioni. Non più solo per lavoratori, pensionati, giovani, studenti. Ma anche per quel “ceto medio” che fin qui si era sentito tranquillo avendo “qualche risparmio in banca”.
Ma bisogna capire bene il discorso. Un lavoratore precario o stabile, o un pensionato che è obbligato ad avere un conto corrente, potrebbe pensare: “non sono un azionista, non ho mai voluto sottoscrivere obbligazioni della banca, ho molto meno di 100.000 euro, quindi posso stare tranquillo”. Non è proprio così. La garanzia fino a 100.000 euro – per somme inferiori, dunque – è ancora a carico dello stato nazionale di appartenenza. Se i fondi disponibili per questo scopo non dovessero bastare, quello stato nazionale non potrà agire in deficit; quindi viene a saltare la garanzia anche per le piccole cifre, non solo per gli over 100.000.
Non a caso, il saggio Wofgang Munchau, sempre ieri e sempre dalle colonne del Corriere della Sera, in traduzione dal Financial Times, spiegava perché “L’unione bancaria è tanto necessaria quanto impossibile”.
Non una profezia, ma una sentenza.
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