Menu

Il Jobs Act non crea lavoro

Difficile elaborare una smentita più precisa degli effetti miracolosi attribuiti dal governo al Jobs Act in materia di “creazione” dei posti di lavoro. L’analisi di Marta Fana, pubblicata su il manifesto, è su questo punto impietosa. Quei 36mila occupati in più, registrati a novembre nei dati Istat, dipendono esclusivamente dai fortissimi “incentivi” governativi: quasi 8.000 euro annui di decontribuzione, per tre anni, per ogni nuovo assunto con “contratto a tutele crescenti”, che non tutela nessuno (come si è visto proprio ieri con il licenziamento in tronco di un delegato sindacale Cgil addirittura seduto al tavolo di trattativa per il rinnovo del contratto aziendale, con la multinazionale LyondellBasel).

In più, si deve cominciare a segnalare cone un tentativo di genocidio sociale la considerazione nulla di cui godono ormai gli “inattivi”, ovvero quelle persone in età da lavoro (15-67 anni, a questo punto) che hanno smesso di cercare un’occupazione. Questi “scoraggiati” assommano ormai a quasi un terzo del totale. Cifra che esce fuori sommando gli occupati (56,4%, secondo l’Istat) più i disoccupati ufficiali, registrati presso gli uffici del lavoro (11,3%). Resta incognito il modo in cui sopravvive quel 32,3% residuo. Anche togliendo invalidi, disabili, detenuti, resta comunque oltre una decina di milioni di persone…

Ma anche a livello di occupazione giovanile si deve fare un’aggiunta. Dal computo complessivo sono venuti a mancare, nelle ultime statistiche, tutti quei “giovani adulti” che hanno scelto la via dell’emigrazione, andando a cercare miglior fortuna all’estero. Nel 12015, diceva l’altro giorno sempre l’Istat, sono aumentati del 50% rispetto all’anno precedente. E si tratta, va ricordato, soprattutto di laureati. In altri termini, le politiche dei governo servi della Troika stanno eliminando un pezzo consistente di futuro per questo paese. La parte più competente, densa di potenzialità.

*****

La narrazione tossica del Jobs Act

Marta Fana

Il tasso di disoccupazione a novembre segna una riduzione dello 0.2% rispetto ad ottobre, attestandosi al 11.3%, dato non compensato dalla fuga dal mercato del lavoro rappresentata dall’aumento del tasso di inattività. Il tasso di occupazione rimane stabile intorno al 56.4%, tra i più bassi d’Europa.

I dati relativi alla rilevazione sulle Forze di Lavoro, pubblicati ieri dall’Istat, non presentano rilevanti novità: il numero di occupati aumenta su ottobre di 36 mila unità, dovuto esclusivamente alla componente femminile, mentre diminuiscono i disoccupati (-48 mila) e minimamente gli inattivi (-4 mila): sono soprattutto le donne che si riattivano sul mercato del lavoro, mentre il numero di inattivi tra gli uomini aumenta di 31mila unità.

L’unica novità del mese di novembre pare essere l’aumento mensile di 40.000 occupati a tempo indeterminato — o stabilmente precari nel caso di contratti a tutele crescenti. Un’informazione pienamente concorde a un atteggiamento razionale dei datori di lavoro in risposta all’annuncio di una consistente riduzione degli sgravi contributivi per le assunzioni del 2016, che probabilmente sarà confermata a dicembre.

Ma nel complesso, l’andamento del lavoro a tempo indeterminato arranca rispetto a quello a termine: nei primi undici mesi del 2015, il numero di occupati a tempo indeterminato è aumentato solo di 62 mila unità, a fronte di 125.000 nuovi occupati a termine, che con elevata probabilità svolgono più di un lavoro nello stesso periodo. Aumentano, dopo mesi di declino, anche gli occupati indipendenti di 20 mila unità.

Per diradare la nebbia provocata dai lanci mediatici del governo, è bene sottolineare come da marzo a fine novembre, il numero di occupati classificati a tempo indeterminato sia aumentato di appena 37.000 unità: il Jobs Act insieme agli sgravi contributivi fa in otto mesi poco più di quanto non abbiano fatto gli sgravi autonomamente tra gennaio e febbraio.

Fin qui, considerando i due miliardi usati dal governo per la decontribuzione — escludendo quindi le deduzioni Irap — è possibile dedurre che ogni nuovo occupato a tempo indeterminato è costato circa 25.000 euro.

Evidenze che smentiscono definitivamente il presidente del Consiglio Matteo Renzi che attribuisce al Jobs Act, ridotto comunicativamente al solo contratto a tutele crescenti, il calo della disoccupazione: se un effetto dovuto alla normativa esiste — seppure sia lecito dubitarne fortemente — esso è da attribuire ancora una volta al Decreto Poletti e/o alla Riforma Fornero.

Infatti, da un lato l’aumento occupazionale è dovuto ai contratti a termine e, dall’altro, i beneficiari sono soprattutto gli over 50. Per questo gruppo anagrafico, il numero di occupati sale di 233.000 unità, mentre per la componente più giovane, tra i 15 e i 24 anni, si ferma a +33.000.
Allo stesso tempo, per la fascia compresa tra i 25 e i 49 anni, si osserva un crollo di 142 mila occupati. In particolare, per la fascia 25–34 anni si osserva anche una riduzione sia del numero di disoccupati (-97.000) sia degli inattivi (-120.000): coloro che perdono il lavoro smettono direttamente di cercarlo.Istat. JobsAct + sgravi non fanno crescere lavoro indeterminato rispetto a termine che aumenta in un anno del 4.5% (elaborazione Marta Fana)

Rispetto a gennaio 2008, in Italia ci sono un milione e cinquecento mila occupati in meno tra i 25 e i 34 anni, mentre gli occupati over 50 sono aumentati di 1.992.000 unità. Alla luce di questi dati non è chiaro come apostrofare le dichiarazioni di Maria Spilabotte, vicepresidente della commissione Lavoro, secondo cui: «Finalmente anche per le ragazze e i ragazzi c’è un’inversione di tendenza importante». Il tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni, seppure diminuisca egli ultimi mesi al 38.1%, rimane tra i più alti d’Europa e ben lontano dalla sua media a 28 Paesi, 20%, come mostrano i dati pubblicati ieri stesso dall’Eurostat.

Intanto, la comunicazione politica, caratterizzata da mera propaganda di governo, sostituisce definitivamente l’analisi del mondo del lavoro, delle determinanti dell’occupazione e delle sue componenti, a una guerra tra bande, ognuna delle quali chiede ai presunti avversari di riconoscere la propria narrazione.

Un’ottima occasione per riconquistare spazio nella rappresentazione e descrizione della realtà e renderlo pubblico.

da il manifesto

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *