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Contrordine, capitali! Si salvi chi può…

“il crollo, il crollo!”. Il giorno dopo il sostanzioso rimbalzo, le borse mondiali sono tornate a scendere paurosamente. Se dovessimo prendere la piazza di Milano come benchmark attendibile dovremmo constatare che gli operatori di borsa sono impazziti: +5% ieri, -5% oggi. E non si tratta neppure di un pareggio, perché le percentuali di solito ingannano. Basta fare un piccolo esempio: se un titolo che vale 100 oggi perde il 50% e domani lo guadagna, alla fine avrà perso il 25% (100-50+25). Quindi le cadute di prezzo fanno sempre molto più male di quanto non facciano bene le risalite, che sono comunque e ovviamente ben accolte.

Ma torniamo alla domanda: sono tutti impazziti?

Non esattamente, ma stanno peggiorando a vista d’occhio, anche se apparentemente mantengono l’aspetto di broker che sanno cosa fare…

Ieri il rimbalzo (dopo sette sedute in perdita…) era stato ingigantito dalla deposizione del presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, davanti al Congresso. Pur senza autocriche nei confronti del rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Fed a metà dicembre – appena lo 0,25% in più, ma per la prima volta dopo oltre sei anni – la Yellen aveva associurato il mantenimento di una linea di politica monetaria “accomodante”. Termine che i mercati interpretano – giustamente – come “tassi bassi e liquidità disponibile”.

Il problema, sottolineato con forza stamattina da molti commentatori esperti, è che in questo modo la Fed si dimostra incapace dei fare da guida, atteggiandosi invece a “succube” dei desiderata dei mercati. Non avevamo dunque sbagliato, ieri mattina, a titolare “Mercati isterici, la bussola s’è persa”.

La contraddizione insolubile è infatti al lavoro da anni: “i mercati” vogliono esser lasciati liberi di agire per l’interesse individuale degli investitori, ma quando le cose smettono di funzionare – proprio per questa “anarchia” degli interessi – pretendono che il soggetto pubblico prima demonizzato agisca come “faro”, “bussola”, “indicazione”. E comunque, in definitiva, come prestatore di ultima istanza e risanatore dei disastri combinati dai singoli.

Le banche centrali, in questi anni di crisi e recessione, hanno fatto quel che veniva loro chiesto (anche la Bank of Japan e la Bce, seppure in ritardo rispetto alla Fed, stanno iniettando liquidità e prestando soldi a tasso zero, o addirittura negativo di fatto). Ma ormai è diventata evidente un’altra contraddizione insolubile: la banca centrale più importante, la Fed, con la sua azione determina oggettivamente il corso della finanza globale, ma agisce in base a input e considerazioni puramente nazionali. Insomma, come sottolinea un editoriale de IlSole 24Ore,

Se una banca centrale qualsiasi non dà la rotta, danneggia i suoi mercati e la sua economia. Ma se a non dare la rotta è la banca centrale che produce il dollaro, vale a dire la valuta che ancora domina gli scambi reali e finanziari, i danni potenziali sono a catena, dai Paesi avanzati agli emergenti, e ritorno. Purtroppo.

C’è una implicazione immediata in questa considerazione: la Fed diventa il parafulmine di tutte le tensioni globali. In secondo luogo, qualsiasi decisione prende diventa immediatamente una decisione sbagliata. Le conseguenze delle sue decisioni, infatti, si mostrano esattamente opposte a quelle volute.

E non appena “i mercati” finanziari distolgono gli occhi dalla Fed per tornare a soppesare i dati e gli indici dell’economia reale, oltre che quelli della finanza “oscura”, ecco apparire un quadro di recessione conclamata o alle porte che non fornisce alcun appiglio per “investire nella crescita”.

Anzi, come spiega Joseph Stiglitz sul Guardian, proprio il quantitative easing si è ricolto in un “generoso – e in gran parte nascosto – contributo della Fed al settore finanziario” e in un disincentivo per gli investimenti produttivi.

A livello globale, i titoli di debito emessi da società non finanziarie – quelle che dovrebbero effettuare investimenti fissi – sono aumentati in modo significativo. […] molte società non finanziarie hanno preso denaro in prestito, approfittando dei bassi tassi di interesse. Ma, piuttosto che investire, hanno usato il denaro preso in prestito per riacquistare le proprie azioni o acquistare altre attività finanziarie. Il QE, così, ha stimolato un forte aumento della leva finanziaria, la capitalizzazione di mercato, e la redditività del settore finanziario.

Niente altro.Se vi sembra folle che una società – o molte – impegnate nella produzione reale si indebitino (sia pure a tassi bassissimi) per riacquistare azioni proprie, per far salire il prezzo e dunque la capitalizzazione virtuale, anziché investire in innovazione tecnologica di prodotto o di processo… avete ragione! Ma è quello che hanno fatto…

I bilanci scritti nelle righe di codice delle società finanziarie e non sono così decollati verso vette vertiginose, con guadagni inimmaginabili. Ma non si vive di righe di codice. O, almeno, non così a lungo.

 

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