I dati dell’Istat sono dati scientifici, ma che investono tempi sociali e politici di grande portata. Le sue pubblicazioni sono perciò normalmente accolte con grande enfasi e accompagnate da una “narrazione” piuttosto vivace, per gestire nel modo più consono agli interessi del narratore l’influenza socio-politica d numeri altrimenti freddini.
Un esempio dai siti di informazione di oggi, a proposito della pubblicazione dei dati sull’inflazione. Scrive Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria: “L’Istat conferma le stime preliminari sull’inflazione di gennaio, che segna una piccola ripresa (+0,3% su base annua) rispetto ai dati di dicembre (+0,1%), mentre diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente. Una conferma dunque dei dati altalenanti e contraddittori che si susseguono ormai da mesi, ma che allontanano in ogni caso lo spettro della deflazione”.
Sappiamo tutti, ormai, che la deflazione (diminuzione tendenziale dei prezzi) è un mostro terribile che bisogna tener lontano. La Bce sta stampando ogni mese circa 60 miliardi di euro per far resuscitare, almeno entro il limiti del 2% annuo, l’ex mostro terribile, l’inflazione, scomparsa insieme alla crescita economica. Se c’è deflazione accertata, la gente smette di spendere (per i beni non di prima necessità, ovviamente) in attesa che i prezzi calino ancora. Le imprese smettono di investire perché il profitto sarebbe vanificato dai prezzi più bassi. I fornitori delle imprese (produttori di materie prime) abbassano di più i prezzi pur di vendereun po’ (vedi il petrolio nell’ultimo anno e mezzo). E così facendo tutti alimentano ulteriormente la deflazione.
Quindi, anche se ci fosse davvero, bisognerebbe negarlo.
E l’impressione data dal Sole 24 Ore è proprio questa: negare la realtà descritta dai numeri dell’Istat. Prendiamo la frase in corsivo e studiamola: l’inflazione di gennaio segna una piccola ripresa (+0,3% su base annua) rispetto ai dati di dicembre (+0,1%), mentre diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente. Se la lingua italiana ha un senso, ciò significa che i prezzi – a gennaio – sono calati dello 0,2% rispetto al mese precedente, con una dinamica decisamente deflattiva. Su base annuale, invece, ossia rispetto ad un anno fa, i prezzi risultano saliti dello 0,3%. L’anonimo articolista de Il Sole online, insomma, confonde la discesa (su base mensile) dietro un aumento (su base annuale)
Il problema è relativamente semplice: i dati vengono rilevati mensilmente, dunque può accadere che un mese salgano e un altro scendano. Per non perdersi nel dettaglio, si fanno riscontri su base trimestrale e annuale, verificando così le tendenze in modo più chiaro. Se guardiamo al grafico allegato dall’Istat, vediamo che nella prima metà del 2015 (a parte gennaio, che presenta un -0,4%) l’inflazione è stata costantemente in rialzo, per ben cinque mesi consecutivi (da febbraio a giugno). L’estate è stata contrassegnata da mesi contrastanti (uno su, il successivo giù), mentre dopo ottobre il segno sempre negativo, oppure a zero.
Tradotto: negli ultimi tre mesi c’è stato un tasso negativo dello 0,6%, ma rispetto a un anno da c’è ancora un saldo positivo pari allo 0,3%. L’unico numero che consente di far passare una diminuzione per un aumento è però un altro: a dicembre l’inflazione su base annuale era a +0,1%, mentre – nonostante il calo su base mensile – a gennaio arriva al +0,3. Dov’è l’inghippo? Nel fatto, banale, che tra i due dati cambia la serie dei mesi presi in considerazione: nel dato (annuale) di dicembre è compreso il mese di gennaio 2015 (un -0,5% molto pesante, in negativo), mentre quello di gennaio 2016 no.
L’unica cosa che non si può dire è insomma quella scritta da Il Sole: “dati altalenanti e contraddittori che si susseguono ormai da mesi, ma che allontanano in ogni caso lo spettro della deflazione”. Se nell’ultimo trimestre c’è un calo così consistente vuol dire infatti che lo spettro della deflazione è tornato a far tintinnare le sue sinistre catene, non il contrario. Ma si sa, Palazzo Chigi ci esorta a spargere ottimismo, mica dati preoccupanti…
Comunque sia, correttamente (in base ai criteri fissati da Eurostat), l’Istat registra che “il lieve rialzo dell’inflazione” (così calcolato, ndr) “è principalmente imputabile al ridimensionamento della flessione dei Beni energetici non regolamentati (-5,9%, da -8,7% di dicembre) e all’inversione della tendenza dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+0,5%, da -1,7% di dicembre); questa dinamica è attenuata dal rallentamento della crescita degli Alimentari non lavorati (+0,6%; era +2,3% il mese precedente)”. Insomma: il prezzo del petrolio ha smesso di scendere, o comunque ha rallentato di molto la caduta, mentre una serie di tariffe relative ai trasporti (tradizionalmente in vigore dal 1 gennaio, per autostrade e treni) sono salite in modo sensibile.
Ciò non impedisce di trasmettere un segno negativo sul dato mensile di gennaio 2016: “Il ribasso mensile dell’indice generale è essenzialmente dovuto alla diminuzione dei prezzi dei Beni energetici (-2,4%)”.
Altra conferma della deflazione in atto: “L’inflazione acquisita per il 2016 è pari a -0,4%”.
Peggio ancora. La deflazione è sensibile soprattutto per i beni che compongono il cosiddetto “carrello della spesa”, ovvero gli acquisti più frequenti, quelli “basici”: “I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto diminuiscono dello 0,3% in termini congiunturali e registrano un aumento su base annua dello 0,1%”. Dopo la spiegazione data in precedenza dovrebbe esser chiaro che questo dato corrisponde perfettamente a quello dell’indice generale…
Ma mi raccomando, non ditelo in giro…
Il rapporto completo dell’Istat:
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