Scomodare Marx per ogni evento economico è una tentazione che rischia d’essere stucchevole, visto il numero di volte (al giorno) che si presenta alla mente. Però questa notizia va a toccare un degli architravi principali dell’analisi marxiana del modo di produzione capitalistico.
In sintesi: Google starebbe per vedere Boston Dynamics, una delle società di punta nella robotica, acquisita soltanto tre annni fa. In aperta controtendenza con l’impetuoso sviluppo dell’automazione, che va a sostituire lavoro umano nella produzione, i “ragazzi di Cupertino” avrebbero deciso un passo indietro. Con una duplice motivazione, una legata all’immaginario occidentale consolidato (“i robot fanno paura”), l’altra – più terrena – venuta fuori da tre anni di attività: non ci si fanno soldi.
Il che appare decisamente paradossale, tanto più che Boston Dynamics vanta nella sua breve storia modelli concepiti per la guerra, e si sa quanto ogni governo – specialmente quello statunitense – sia sensibile alla riduzione delle (proprie) perdite umane, elettoralmente controindicate, e quindi interessato a ogni soluzione tecnologica che sposti i rischi del combattimento dagli umani alla ferraglia.
Il ragionamento di Larry Page e soci, autentici mostri capaci di anticipare le tendenze, non può essere stato troppo banale, anche se – dall’articolo che ne dà notizia, su Il Sole 24 Ore – sembra che ci siano stati molti problemi di sinergia tra le varie componenti della galassia controllata da Google.
Il profitto che non esce dai robot è dunque certamente anche un problema immediato, di realizzazione di progetti vendibili in alto numero (per rientrare rapidamente da investimenti molto consistenti). Ma sembra difficile che non siano state fatte stime a medio lungo termine, sulla redditività di un settore in cui – prevedibilmente – prima o poi si getteranno in molti.
Una redditività difficile da spremere se catene di montaggio robotizzate cominceranno a sfornare robot per usi “improduttivi” (come la guerra). Perché il valore, o meglio il plusvalore, ovvero il profitto, non esce dalle macchine che costruiscono macchine (ammortamento dell’investimento e materie prime), ma solo dalla forza lavoro umana.
Magari Larry Page se ne sarà accorto solo alla fine, rifacendo i conti. Ma il buon Karl, questa conclusione, gliel’avrebbe spiegata già 150 anni fa.
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I robot fanno paura e non creano profitto. Google pronta a vendere Boston Dynamics
di Biagio Simonetta
da IlSole24Ore
Appena qualche giorno fa un paio di video impazzavano sul web, facendo registrare milioni di visualizzazioni in poche ore. Sembrava l’apoteosi della robotizzazione firmata Google. E invece dietro le quinte si muoveva già la mano lunga delle logiche aziendali, quella che deve rispondere al profitto e segue solo le orme del danaro. Così si è passati rapidamente alla fase successiva della storia.
Secondo un’indiscrezione molto quotata lanciata da Bloomberg, Alphabet (conglomerato di cui fa parte Google), starebbe pensando seriamente di cedere Boston Dynamics, la società che si occupa della divisione robotica. La motivazione è presto detta: non è in discussione la qualità del lavoro degli ingegneri di Boston Dynamics, ma la capacità di creare un oggetto commercializzabile da qui ai prossimi anni. Insomma: tanta ricerca, grandi prototipi, ma poco mercato, secondo le stime di Google. E allora Alphabet avrebbe deciso di disfarsene. Un’idea che sarebbe in fase avanzata, tanto che già circolano i primi nomi di possibili acquirenti: da Toyota Research (una divisione di Toyota Motor), fino ad Amazon che potrebbe impiegare i robot nei suoi immensi magazzini. Solo rumors, per il momento, con la società di Bezos che ha preferito non commentare. Ma l’impressione è che, almeno per ora, la storia d’amore fra Google e la robotica sia a un passo dalla rottura.
Google aveva acquistato Boston Dynamics nel dicembre del 2013. Un’acquisizione che rientrò nella voglia matta di Big G di puntare forte sulla robotica, settore che in quel periodo era affidato all’estro creativo dell’ex Ceo di Android, Andrew Rubin. Boston Dynamics era già una sorta di autorità, a livello di robotica, soprattutto nel settore militare. Tre anni fa la società aveva un contratto da 10,8 milioni di dollari con il Pentagono e già sfoggiava nelle schede tecniche delle sue creazioni più di un record mondiale: BigDog, la star quadrupede con una capacità di trasporto da 181 chili; Cheetah, il “gattone” che supera Bolt in velocità con le sue 29 miglia orarie; Atlas, il robot umanoide controllabile da remoto. Google, dopo l’acquisto, chiarì che lo scopo dell’operazione non era assolutamente quello militare. E così è stato, almeno finché è durato.
C’è da dire che dopo l’addio di Rubin (che nell’ottobre 2014 ha lasciato Google per dedicarsi al mondo delle startup), la divisione dedicata alla robotica di Mountain View (chiamata Replicant) ha vissuto grandi cambiamenti. E questa probabile cessione rischia di segnarne fortemente il destino. Rubin aveva portato in Google oltre 300 ingegneri specializzati in robot, ma qualcosa non ha funzionato. Secondo alcuni scambi di mail riservati finiti sulla stampa americana, i lavori di Boston Dynamics e quelli delle altre divisioni del gruppo robotica non hanno mai trovato punti comuni. E in una riunione dell’11 novembre scorso, Jonathan Rosenberg, un consigliere di Alphabet molto vicino a Larry Page aveva fatto intendere che non era pensabile di dover attendere altri dieci anni (di investimenti) per ottenere un prodotto commercializzabile. Sempre nel corso della famigerata riunione, uno dei direttori di Replicant, Aaron Edsinger, avrebbe detto di aver cercato di lavorare con Boston Dynamics per creare un robot a basso costo, trovando davanti a sé un muro di gomma.
I video hanno fatto paura?
C’è anche un’ipotesi abbastanza inquietante circa la decisione di vendere Boston Dynamics. E sarebbe strettamente legata ai video di cui scrivevamo in apertura di questo articolo. I milioni di click hanno scatenato anche un’accesa discussione sul web, con molti utenti impauriti e preoccupati. «C’è entusiasmo da parte della stampa tech, ma stiamo anche iniziando a vedere alcuni trend negativi circa il fatto che i robot siano terrificanti e pronti a prendere il lavoro degli esseri umani» ha scritto in una mail Courtney Hohne, direttore delle comunicazioni di Google. Che le persone non siano ancora pronte ai robot? Forse. Intanto Google non vuole correre rischi.
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aristide bellacicco
Marx ci spiega che esiste una differenza tra formazione e realizzazione del plusvalore. Ci dice inoltre che la grandezza del valore di una determinata merce è data dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla. Tale “lavoro socialmente necessario” non consiste in nessuna attività determinata ed ha un carattere astratto: si tratta, in sostanza, del duplice carattere del lavoro rappresentato nella merce. Ora, se una merce particolare non viene venduta, ciò non significa che non sia portatrice di plusvalore ma che quest’ultimo non riesce a trasformarsi in denaro (e quindi non dà luogo a profitto). Diciamo che è plusvalore in potenza (Marx si esprime proprio così) ma non in atto: appunto, non si realizza. Le ragioni della mancata metamorfosi da merce in denaro possono essere le più varie, ma ciò che essa mette in chiaro è esclusivamente che il tempo di lavoro speso nella produzione di quella determinata merce è andato sprecato e che il valore (e il plusvalore), pur presenti in essa, rimangono allo stato latente. Il problema teorico della mancata formazione di plusvalore come conseguenza di una completa automatizzazione del processo produttivo e, conseguentemente, del venir meno del tempo di lavoro come elemento formativo del valore della merce, è tutt’altra questione.