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Il fantasma dell’occupazione che cresce

Il Jobs Act funziona nel ridurre la disoccupazione? Renzi e media più servi si sono lanciati sui dati Istat di oggi come un assetato sull'acqua, nel bel mezzo del deserto, sventolando due nuemri che sembrano incontrovertibili: +439 mila occupati su base annua e -252 mila persone Not in Education, Employment or Training (Neet), ossia giovani che non lavorano né studiano.

Purtropo, per dare un giudizio sensato del quadro occupazionale e del mercato del lavoro, bisogna leggere tutti i dati e soprattutto sapere cosa c'è a monte di tendenze che sembrano “oggettive”.

E il quadro generale è assai meno roseo di come lo dipinge il governo. Cominciamo col contesto: nel secondo trimestre di quest'anno la “crescita” del Pil si è arrestata, e questo era già stato detto in un report Istat precedente; la crescita tendenziale – ossia su base annua, rispetto al 30 giugno 2015 – è addirittura la metà (0,8%) di quella che il governo s'era dato come obiettivo (1,6-1,7%).

Vabbè, direbbe un renziano, ma l'occupazione è cresciuta lo stesso, di che vi lamentate?

Se ne lamenta l'economia, stupid! In un modo di produzione in rapidissimo sviluppo tecnologico applicato alla produzione, se la crescita del Pil è zero la disoccupazione diventa inevitabilmente un dato in crescita (meno occupati per fare la stessa massa di merci, di qualsiasi tipo). Dunque, se l'occupazione appare crescente in un contesto in cui doivrebbe invece diminuire, abbiamo di fronte due possibili spiegazioni.

a) In Italia, e solo in Italia, gli incentivi che per tutto il 2015 il governo ha concesso alle imprese che assumevano con il contratto a tutele crescenti (impropriamente chiamato “a tempo indeterminato”, visto che il licenziamento può scattare in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, anche ingiustificato). Fino a 8.000 euro l'anno di sgravi contributivi e fiscali per ogni “nuovo assunto”, per la durata di tre anni. Con incentivi così robusti è stato favorito il passaggio di molti occupati in nero o con contratti a tempo determinato nelle fila dei “tempi indeterminati”. E l'Istat dice che effettivamente questo travaso è stato molto importante, andando a limare sia la disoccupazione giovanile ufficiale che il fenomeno assolutamente negativo dei Neet.

Non ci sarebbe affatto da stigmatizzare un simile risultato se, nella pratica, l'entità dell'incentivo non fosse grosso modo identica al salario corrisposto dalle aziende ai lavoratori in nero o precari. Di fatto, imprenditori che pagavano 800 euro al mese (o anche meno) a giovani in nero o con contratti a termine, hanno potuto “assumerli” senza peggiorare affatto i propri conti economici, visto che hanno continuato a corrispondere gli stessi salari “in chiaro”, mentre il governo si incaricava di coprire i costi previdenziali e fiscali. Una cosmesi legalizzata che cambia le statistiche ufficiali – l'Istat non può che registrare quel che si determina a legislazione vigente – senza migliorare in nulla la condizione delle persone. Probabilmente (non essendoci dati certi sul lavoro nero), il numero degli occupati reali non è affatto mutato.

b) I posti di lavoro “in crescita” in una situazione economicamente stagnante sono per forza di cose “lavoretti”, con scarso o nullo impatto sulla crescita. Se chiudono fabbriche e aprono ipermercati, per esempio, i posti di lavoro possono persono forse aumentare, ma la ricchezza prodotta diminuisce, il profilo industriale di un territorio crolla, i salari – necessariamente – vengono ridotti e i diritti dei dipendenti finiscono nello sciaquone. Dura miga, non può durare…

Siamo noi a dirlo, impenitenti comunisti avversari del governo Renzi?^ No, lo dice l'Istat. Basta saper leggere tutto: “le ore complessivamente lavorate crescono dello 0,5% sul trimestre precedente e del 2,1% su base annua. Non vi sembra illuminante? Il Pil non cresce, ma le ore lavorate sì. Insomma, si lavorerebbe di più per fare la stessa quantità di prodotti… O c'è un inganno statistico (lavoro nero ora “in chiaro”, ma di bassa qualità), o stiamo diventando un popolo incapace di fare…

Una ipotesi idiota, visto che “Il tasso di occupazione sale di 0,5 punti, soprattutto per i 15-34enni (+0,8 punti) e per i 50-64enni (+0,6 punti). I giovani hanno più energia, quindi per tutte le lavorazioni più “fisiche” possono dare un contributo maggiore degli anziani; e gli over 50 hanno più esperienza, quindi possono rendere meglio in tutte le mansioni in cui il “saper fare” ha la meglio sull'energia pura e semplice. Un altro apparente paradosso statistico che andrebbe spiegato, invece di farsene stupidamente belli…

Anche perché, fa presente l'Istat, i primi dati disponibili per il mese di luglio (apertura del terzo trimestre) sono tutt'altro che piacevoli.

Le tendenze più recenti, misurate dai dati mensili relativi a luglio 2016 mostrano, al netto della stagionalità, un'interruzione della tendenza positiva registrata nei quattro mesi precedenti, con un calo degli occupati concentrato nella componente indipendente, a fronte di una sostanziale stabilità dei dipendenti.”

La propaganda ha i suoi tempi e i suooi limiti. I primi stanno scadendo, i secondi sono stati superati. E sono ora insopportabili.


 

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