Le due sponde dell'Atlantico si allontanano e scoprono un certo numero di ragioni per confliggere. Dopo il fallimento semi-ufficiale del trattato Ttip si è allargato il numero dei tempi su cui si apre un contenzioso asro. Apple è finita sotto la lente della Commissione Europea per le tasse non pagate in Irlanda (13 miliardi), poi Bayer si è comprata la Monsanto, ora gli Usa reagiscono con il governo federale che chiede 14 miliardi di danni a Deutsche Bank per lo scandalo dei titoli derivati tossici costruiti avendo come sottostante i mutui immobiliari più scrausi (si chiamano subprime, negli Usa, e sono stati la bolla che esplodendo ha aperto l'attuale infinita crisi, entrata ormai nel decimo anno).
Tutte queste mosse non vanno ovviamente viste come manifestazioni di una volontà di andare allo scontro, ma sono una successione di problemi insoluti che stanno arrivando a maturazione.
L'accusa a Deutsche Bank è in effetti la stessa che si può e si deve muovere a qualsiasi banca: aver ingannato gli investitori sui rischi di questi titoli, sottovalutandoli. In Italia abbiamo avuto gli esempi di Banca Etruria e altri istituti “locali”, che hanno emesso titoli corporate fuori da ogni quotazione di mercato, costringendo ignari correntisti a sottoscriverli. Altrove si usano trucchi simili su “prodotti” diversi, ma la sostanza resta sempre la stessa: una banca sa come mascherare e rendere illegibili i pacchetti finanziari che propone ai clienti, e li rifila loro contando sul fatto che – fin quando gli affari vanno bene – nessuno se ne accorgerà.
Il problema è che da dieci anni a questa parte le cose – anche per le banche più disinvolte – non vanno affatto bene. Dunque si accentua quella tendenza a “recuperare le sofferenze” nei propri bilanci chiedendo a qualche collega-concorrente di restituire il maltolto. O, come in questo caso, è addirittura un governo che – alquanto tardivamente – interviene “a difesa dei propri risparmiatori”.
Dewutsche Bank ha da tempo molti problemi di questo tipo, tanto da accantonare una cifra considerata sufficiente a far fronte alle richieste di indennizzo che sarebbero certamente arrivate da più fronti: l'istituto ha finora indicato di aver stanziato a riserva per fare fronte a costi legali poco oltre i 6 miliardi di dollari.
Sembrava una cifra mostruosa, si rivela ora una goccia nel mare. Solo sul fronte “mutui Usa”, infatti, DB pensava di dover scucire “solo” tra i due e i tre miliardi. E invece è una botta sueprata soltanto dai 16,6 miliardi di multa comminati a suo tempo nei confronti di Bank of America. JP Morgan, Morgan Stanley e Citigroup – in cordata – avevanno dovuto scucire circa 23 miliardi di dollari, mentre Goldman Sachs – da sola – ha versato circa 5 miliardi.
Ma DB è solo la prima in una lunga lista di banche europee con lo stesso problema. Barclays, Ubs, Credit Suisse e Royal Bank of Scotland pensavano di cavarsela, alla fin fine, con ul miliarduccio o poco più, essendo comunque meno coinvolte di Deutsche Bank. Dovranno rifare rapidamente i conti e accantonare molto di più.
La richiesta è ovviamente solo l'inizio di una vera e propria causa legale dai contorni complicati (un governo contro una banca straniera, per quanto di un paese alleato e fin qui “amico”, ma che da tempo storce il naso davanti alle mosse Usa sul fronte est europeo), che darà anche la temperatura dei rapporti tra Usa e Unione Europea.
Per Deutsche, invece, è solo una delle tante tegole che stanno cadendo sulla sua testa. Persino in Germania, infatti, il suo carismo è pesantemente messo in discussione. Il prestigioso istituto di ricerca Zew di Mannheim (che elabora, tra le altre cose l'omonimo indice relativo alla “fiducia degli investitori istituzionali” sulle condizioni economiche generali) soltanto un mese fa ha spulciato i bilanci della banca scoprendovi – in caso di crisi finanziaria – un “buco” di almeno 19 miliardi, che metterebbe perciò in dubbio la solidità dei requisiti patrimoniali richiesti dalle regole di Basilea 3. Calcolando che – dopo una lunga e irrefrenabile discesa nelle quotazioni azionarie, in queste ore accentuata dalla richiesta Usa di danni per 14 miliardi – la prima banca di Germania capitalizza ora soltanto 17 miliardi, si capisce immediatamente che non sarebbe in grado di far fronte a un problema di una certa serietà.
Stress test, certamente, e non una situazione in atto. Ma gli stress test si fanno apposta per prevenire disastri e Db è un disastro di proporzioni inconcepibili. Solo sul fronte dei “derivati”, infatti, presenta una esposizione pari a 75.000 miliardi di euro. Una cifra pari a quasi 20 volte il Pil tedesco, dunque impossibile da “coprire” per qualsiasi soggetto, sia privato che pubblico.
Non male per il campione bancario dei “disegnatori di regole austere” che debbono valere per il resto d'Europa, no?
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