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Tutto quello che mangiamo ha un “prezzo”

Come fa un pollo del supermercato a costare anche tre volte meno del pollo del contadino? Cosa c’è dietro questa enorme differenza? Quando i consumatori potranno mangiare sano, rispettando i diritti dei lavoratori e la dignita’del lavoro  dei contadini produttori di cibo?

Da anni la discussione sulle modalità di accesso al cibo sano è al centro del dibattito sui costi di produzione per un sistema agricolo  sostenibile. Al momento per ottenere un cibo, sano, genuino e soprattutto rispettoso dei contadini produttori di cibo il prezzo finale appare inavvicinabile per la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle famiglie medie, costrette a fare la spesa nei discount o nella GDO  fornitori di cibo a prezzo basso.

Ma cosa c’è dietro questa differenza?

Andiamo per ordine: chi fa il prezzo sul banco del supermercato?  Il prezzo di un prodotto alimentare viene definito sulla base della possibilita’di prelevare il massimo profitto per chi controlla la catena di distribuzione. Detto diversamente, generalmente il prezzo sul banco del supermercato e’ in media 5 volte piu’alto di quanto pagato al produttore agricolo.

l’Unione Europea attraverso la PAC (Politica Agricola Comunitaria) sovvenziona con notevoli sussidi economici le grandi aziende agroalimentari. Le grandi Aziende Agroalimentari accordandosi con la Grande Distribuzione Organizzata , GDO, impongono le quantità e il tipo di prodotti che noi consumatori a basso reddito saremo costretti a comprare.

La produzione industriale di cibo, come gli allevamenti, scaricano molti costi di produzione sullíntera comunita’ – cioe’noi paghiamo molti dei danni provocati sia dall’agricoltura industraile che dallíndustria agroalimentare (inquinamento, viabilita’, servizi esterni..). Quindi i costi di produzione per un prodotto industriale si riducono essenzialmente ai soli costi del lavoro e dellénergia. Un esempio; il costo di produzione  al chilo di un pollo industriale e’intorno a 50 centesimi di euro , venduto allíngrosso alla  GDO almeno a 1 euro al kg. Al consumatore arriva ad un prezzo di almeno 5€ e oltre.

Oltre a questo esiste un’altra lunga catena dello sfruttamento: tutto inizia sui campi, la coltivazione intensiva e gli allevamenti industriali, accellerano e violentano con un uso indiscriminato di prodotti chimici dannosi verdure ed animali, successivamente braccianti migranti o italiani sono sfruttati dai proprietari o dagli utilizzatori dei terreni che incuranti di leggi e regolamenti prosperano con il  lavoro nero, ricatti e vessazioni sui lavoratori, catena debole della catena.

 Il secondo passaggio avviene nella logistica e nel trasporto, nel passaggio dai campi alle aziende di trasformazione, entra in gioco un altro settore ad alto livello di sfruttamento, anche qui diritti dei lavoratori e condizioni salariali sono ancora una variabile dipendente dall’arroganza dei padroni, terzo ed ultimo passaggio avviene nella GDO,  facchini, magazzinieri, commessi subiscono il ricatto padronale, pochi diritti, salari bassi, turni disumani .La somma di questa catena  dell’orrore porta sulle nostre tavole cibi a basso prezzo e di pessima qualità – va ricordato che la qualita’di un prodotto alimentare e’proporzionale al lavoro impiegato: piu’ci lavori , piu’e’buono – tanto che si è sempre più propensi a pensare che  aumento recente di alcune malattie dell’uomo trovino ragione nella cattiva alimentazione dovuta dai prodotti alimentari a buon mercato.

MA COME FANNO I LAVORATORI DIPENDENTI, I PRECARI, I DISOCCUPATI A NUTRIRSI IN MODO SALUTARE E GENUINO ?

Da tempo numerosi piccoli produttori agricoli e consumatori consapevoli hanno iniziato una serie di azioni necessarie a contrastare la logica sopradescritta. Consumo sostenibile, km zero, agricoltura biologica, SOVRANITA’ ALIMENTARE sono concetti che pian piano son divenuti patrimonio di una parte della popolazione. Questa consapevolezza si scontra con gli attuali alti costi di sistemi agricoli sostenibili, giusti e capaci di realizzare prodotti di qualita’.

MA PERCHE’ I PREZZI SONO COSI’ ALTI? TUTTA COLPA DEI CONTADINI ?

Pensiamo di no, come detto prima si parte da lontano; la discriminante destinazione dei fondi europei della PAC in favore dell’agroindustria crea il primo dislivello, ma non si ferma alle sovvenzioni; le numerose disposizioni e regolamenti che vengono imposte  a livello sanitario, a livello normativo e fiscale senza alcuna distinzione tra grandi produttori e piccoli contadini incidono in termini proporzionalmente esagerati sull’operato del contadino storicamente abituato al rapporto con il proprio campo piuttosto che con il commercialista o con la ASL di turno. A questo aggiungiamo la precarietà della produzione, condizionata sempre dalle condizioni metereologiche, a differenza dell’agroindustria, e dalla incertezza della possibilità di vendere tutta la merce prodotta.

Il problema di un cibo sano. di un prezzo giusto e di un lavoro ben retribuito per braccianti e contadini diverrà sicuramente un tema centrale del secolo corrente, come per l’energia pulita, e tutte le tematiche ambientaliste, che da problematica di nicchia son divenute parte integrante della sfera socioeconomica di ogni comunità, il problema della alimentazione sana diverrà una problematica sempre più importante e sarà vista come giusta relazione con la natura, difesa contro il crescente avvelenamento della nostra salute causata dal cibo spazzatura, instaurazione di una giusta relazione tra i diversi attori della sistema agroalimentare.

La possibilità di abbassare il PREZZO di un prodotto alimentare sano dipende, a parer nostro, dalle politiche pubbliche ed in particolare dalla modifica delle leggi, dei regolamenti che regolano il settore, ma con ugual  importanza da un processo politico culturale che deve far crescere in grossi settori dell’opinione pubblica la consapevolezza che il mangiar sano è un diritto legato alla  difesa della salute, alla  difesa della natura, al  rispetto dei soggetti che operano in tutti gli aspetti della sistema agroalimentare.

I tentativi fin’ora fatti da esperienze di autorganizzazione e di commercializzazione e distribuzione di cibo sano, hanno concretamente posto le modalità per affrontare la questione.

Le esperienze dei Gruppi di Acquisto Solidale, GAS, numericamente ancora deboli per condizionare il mercato hanno avuto il merito di dare delle prime risposte, le Esperienze di SOS Rosarno, di Sfruttazero, di Contadinazioni danno l’indicazione che, pur con molta fatica, si può costruire un processo armonico.

Confrontarsi con le diverse contraddizioni, che oggi la società capitalistica ci propone, non puo’ sfuggire dal porre all’attenzione dei lavoratori in genere su ciò che si nasconde dietro ogni pollo, o ogni arancio o pomodoro che finisce sulle nostre tavole.

Denunciare con forza le discriminazioni politico-economiche che  si effettuano a livello di accordi internazionali, leggi nazionali e locali proprio sul tema del cibo, costruire percorsi rivendicativi sull’utilizzo di cibo sano nelle scuole e nelle mense aziendali, condizionare le politiche locali per incidere sul processo di produzione e distribuzione del cibo, organizzare dove possibile ed in accordo con produttori consapevoli momenti di informazione, educazione e soprattutto di distribuzione dei prodotti della terra deve essere uno dei punti salienti della costruzione di una Confederalità sociale come risposta alle nuove condizioni dello scontro di classe.

*Centro Internazionale Crocevia

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