Nonostante gli sforzi di fantasia scientifica di Eurostat – organismo europeo che ha deciso criteri di catalogazione dell’occupazione alquanto demenziali – e a dispetto degli sforzi estetici del presidente dell’Istat (Giorgio Alleva, renziano di ferro), l’occupazione in Italia cala. Soprattutto tra i giovani under-25 (37%, +1,8 in un solo mese).
Fine della favoletta governativa-Pd, non appena gli effetti droga degli incentivi alle imprese sono terminati o andati in saturazione.
Ma guardiamo i numeri, intanto. A maggio 2017 – scrive l’Istat – “la stima degli occupati cala dello 0,2% rispetto ad aprile (-51 mila unità) attestandosi, dopo il forte incremento registrato il mese precedente, ad un livello lievemente superiore a quello di marzo. Il tasso di occupazione si attesta al 57,7%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali”.
Disaggregando per età, si scopre che “Il calo congiunturale dell’occupazione, che si rileva principalmente per gli uomini, interessa tutte le classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Diminuisce il numero di lavoratori indipendenti e dipendenti a tempo indeterminato mentre aumentano i dipendenti a termine”.
Il quadro è insomma chiaro: lavorano soprattutto gli over-50 (+407.000), inchiodati dalla legge Fornero fino ai 67 anni, e calano tutti gli altri. Oltre alla variabile pensionistica, però, incide anche la professionalità: tranne che nei lavori di pura fatica, ovunque occorra una esperienza e un know how di medio livello, le aziende preferiscono tenersi un anziano esperto, anche se dal salario più alto, piuttosto che sostituirlo con un giovane (sarebbe facilissimo, vista l’abolizione dell’art. 18) a mezzo stipendio.
In secondo luogo, le assunzioni a termine (90.000) superano ormai nettamente quelle a tempo indeterminato (64.000), certificando così la preferenza delle aziende per il contratto usa-e-getta, altamente ricattatorio e a bassissimo salario, per tutte le mansioni di basso livello (sia manuali che “cognitive”, o più precisamente “mentali”).
Bisogna ricordare che i criteri Eurostat (e dunque anche Istat) sono decisamente generosi: si considerano “Occupate le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura, o che hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente”. Com’è evidente, un’ora di salario alla settimana – o anche nulla, se si lavora nell’azienda di famiglia – non fa di una persona un “lavoratore in grado di sostentare sé e la propria famiglia”, quindi si tratta di un volgare trucco retorico e antiscientifico.
Ma dove i criteri statistici danno il peggio di sé (il meglio, dal punto di vista capitalistico) è nella ripartizione tra “disoccupati” e “inattivi”. I primi sono le persone senza lavoro che ne stanno cercando uno, iscrivendosi alle agenzie del lavoro ufficiali. I secondi sono i senza lavoro che hanno smesso persino di cercarlo.
Unendo, com’è necessario fare, le due categorie, lo spettro della disoccupazione è tutt’altro che rassicurante: il tasso ufficiale di disoccupazione, infatti, sale dello 0,2% attestandosi all’11,3; gli “inattivi”, invece, sono relativamente stabili ma sulla percentuale astronomica del 34,8%. Di fatto, i senza lavoro in Italia raggiungono la percentuale choc del 46,1%. Quasi un cittadino su due, tra i 15 e 66 anni. In termini assoluti, oltre 20 milioni di persone.
Davanti a numeri così, anche se “abbelliti” da critesri statistici ufficiali, cìè persino chi osa scherzare dicendo che “la diminuzione degli occupati registrata a maggio non muta le tendenze di medio-lungo periodo dell’occupazione che continuano ad evidenziare, sia su base trimestrale che su base annuale, la crescita degli occupati e la diminuzione dei disoccupati”.
Nessuno, sui media mainstream, si ferma un attimo a ricordare che dopo 25 anni di eliminazione dei diritti del lavoro per “favorire l’occupazione giovanile” il risultato sta tutto in quel 37% di disoccupati tra i 15 e i 24 anni. Solo Grecia e Spagna hanno percentuali leggermente peggiori, mentre la Germania non ha di che preoccuparsi, visto che solo il 6,7% dei giovani è a spasso.
C’è da sottolineare come ad aumentare la disoccupazione giovanile concorreranno sicuramente due “misure” decise dal governo Renzi-Gentiloni: “l’alternanza scuola-lavoro”, che rifornisce le aziende di lavoro gratuito nelle mansioni più semplici (pulizie, fotocopie, lavapiatti, ecc, con rare e molto pubblicizzate eccezioni), e il “servizio civile”, altrettanto gratuito o quasi, che andrà a sostituire posti di lavoro in settori come i servizi alla persona, cura del territorio, ecc.
Quando vi dicono che “stanno pensando ai giovani”, prendete la prima pietra che vi capita a tiro…
Il rapporto completo dell’Istat: Occupati_disoccupati_maggio_2017
dio Conti
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