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L’economia del voucher non si tocca

Il lavoro nero è la vera cifra dell'imprenditore tipo, in Italia. E chiunque abbia fin qui detto, dagli scranni del governo, che l'avrebbe combattuto ha fatto esattamente il contrario. AL massimo si sono rese legali le forme di lavoro nero e precario che fino ad un certo punto erano illegali. Per esempio con il "pacchetto Treu" (1997, primo governo Prodi) e la "legge 30" (2003, governo Berlusconi), a dimostrazione che tra centrodestra e centrosinistra non c'è differenza sostanziale, solo qualche "olgettina" esibita in più.

Col governo Renzi, però, si sono raggiunte vette quasi inarrivabili di fantasia per le frottole. L'esplosione del fenomeno voucher – quei buoni stampati dall'Inps con cui un "datore di lavoro" può pagare anche ad ora i suoi dipendenti – ha giustamente fatto vedere che il lavoro nero resta una pratica di massa dell'impresa italica. E in molto casi l'orario di partenza di una prestazione pagata con voucher coincideva con quella di un incideente sul lavoro. Ossia, lavori in nero finché non ti fai male, poi ti "regolarizzo" per evitare guai. E' una misura del Jobs Act, quella cosa che secondo il governo ha "esteso i diritti a chi non li aveva"…

Una situazione intollerabile persino per i media mainstream nazionali, che ha portato il governo ad approvare un correttivo che sembrava perfetto: gli imprenditori (esclusi quelli agricoli) e i professionisti che pagano i lavoratori con i voucher hanno l'obbligo di inviare, almeno 60 minuti prima dell’inizio di ciascuna prestazione, un sms o un messaggio di posta elettronica all’Ispettorato nazionale del lavoro indicando «i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione».

Semplice ed efficace, non c'è che dire.

Naturalmente tutto si regge sul fatto che quelle comunicazioni siano raccolte e archiviate da un ufficio pubblico dedicato, in grado dunque di registrare e decidere – eventualmente segnalare per la sanzione – ogni voucher attivato, in tempo reale.

Per il governo Renzi, dunque, invalidare la sua stessa norma è stato un gioco da ragazzi. E' bastato non mettere in piedi alcun centro di raccolta degli sms e delle mai. Anzi, neanche sono stati resi noti i numeri o la pec di destinazione delle comunicazioni.

Come ha dovuto registrare con disappunto persino L'Espresso, "dalle 80 direzioni provinciali del lavoro, le filiali locali del Ministero, dicono tutte le stessa cosa: «Siamo subissati di telefonate ma non sappiamo cosa rispondere. A quale numero non c’è stato comunicato. Né tantomeno l’indirizzo di posta elettronica a cui spedire la mail»".

Il proverbio, antico, diceva "fatta la legge, trovato l'inganno". Ma supponeva che l'inganno fosse opera di cittadini propensi ad aggirare le regole, con arguzia e un certo gusto per il rischio. Qui l'inganno è organizzato dal governo stesso, per facilitare il compito degli "imprenditori", ossia quello di fregare i propri dipendenti (che, a voucher, non godono neanche di ferie, malattie, maternità, ecc).

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