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Capitali in fuga, la vigliaccheria dei “ricchi”

Inarrestabile, prosegue la corsa della “posizione finanria netta” dell’Italia verso il pareggio. Lo dice il Bollettino economico della Banca d’Italia, che registra un misero -45 miliardi, appena il 2,6% del Pil. Tre mesi fa il dato era di 67 miliardi, pari al 3,9%.

Ma di cosa stiamo parlando? Della differenza tra capitali italiani in uscita e capitali provenienti dall’estero (non necessariamente “stranieri”, perché esiste anche il fenomeno del rientro).

Cosa significa? Che i prestiti esteri sono praticamente ininfluenti sulla crescita del paese, mentre i “possidenti” italiani preferiscono di gran lunga portare le proprie fortune fuori piuttosto che investirle qui. Non sempre si tratta di una scelta intelligente – pensate a quelli che stanno investendo da anni in Bund tedeschi, rimettendoci, perché convinti di dover “stare sul sicuro”, ma spesso è semplicemente invetimento in azioni estere o fuga verso paradisi fiscali.

Il secondo significato è parimenti semplice. Questo è un paese ricco, che non sa cosa fare della propria ricchezza.

Il che è anche un bel po’ sbagliato, perché mai come in questo caso tutti noi cittadini italiani NON stiamo affatto “sulla stessa barca”. Chi ha patrimoni liquidi da portare altrove lo fa, chi non ha neanche i soldi per arrivare a fine mese fa la fame.

Ma i ricchi, a dirla chiara, tutto fanno meno che investire qui. Nel mondo fantasioso della “politica” – sia di destra che sedicente “democratica” – ci si straccia invece le vesti ripetendo che bisogna “aiutare le imprese” e “invogliare i capitali esteri a investire qui”, come se mancassero risorse “indigene”.

E’ la stessa Banca d’Italia a spiegarlo, con linguaggio più tecnico: Il miglioramento è dovuto sia all’avanzo complessivo di conto corrente e conto capitale, sia soprattutto agli aggiustamenti di valutazione sulle ingenti attività estere di portafoglio: queste sono costituite per circa il 60 per cento da azioni e quote di fondi comuni, che hanno beneficiato del recupero dei mercati finanziari internazionali nel primo trimestre dell’anno”.

Al contrario, paesi come gli Usa (-35%) e la famosa Spagna (-86%) sono quasi totalmente dipendenti dai capitali esteri. La spiegazione migliore resta fin qui quella di Pasquale Cicalese, da noi pubblicata ad aprile, di fronte a dati simili.

Di certo, però, se si vuole davvero individuare il “malato d’Europa” bisogna guardare a quel che avviene altrove. Per esempio in quella Germania che dà lezioni a tutti mentre, in casa, fa esattamente il contrario. Soprattutto in materia di salvataggio delle banche private (vietato dappertutto), e ora alle prese con il sostanziale fallimento di Deutsche Bank, esposa – da sola! – a una quantità di prodotti derivati di valore più che dubbio per quasi 20 volte il Pil tedesco. Avete letto bene: una sola banca ha un potenziale “buco” che – una volta esploso – non basterà a tutti i tedeschi lavorare per venti anni per riempirlo… Ma lo Stato tedesco sta da tempo accumulando surplus – deprimendo l’economia di tutta Europa – per avere munizioni sufficienti per tamponare il botto ed evitare il disastro totale…

Malevolenza nostra? No. Leggete quel che ha detto, soltanto ieri, Gian Maria Gros Pietro, presidente di IntesaSanPaolo: “Deutsche Bank Continua a essere un gigante in termini di problema, e’ un problema gigantesco e speriamo che venga risolto”. 

E’ da quelle parti che possono vere origine “tempeste sistemiche”, proprio a causa delle dimensioni colossali di certi istituti. “Da noi – ha proseguito Gros Pietro – i crediti deteriorati sono scesi sotto la metà, nello stesso tempo le banche italiane sono quelle che hanno fatto le maggiori operazioni di consolidamento e di aggregazione. Ci sono degli altri rischi sistemici che potrebbero interessare tutto il sistema bancario europeo mentre le crisi bancarie italiane sono state pagate esclusivamente con i soldi degli italiani, in larga parte con i soldi delle banche italiane, quelle sane”.

Una situazione che la Bce conosce bene, anche se ha sempre tenuto un atteggiamento “strabico”, sopravvalutando i pericoli delle banche italiane (esposte soprattutto per i prestiti a imprese e famiglie), mentre ha avuto, diciamo così “una difficoltà ad affrontare altri fenomeni come quelli degli attivi illiquidi e dei derivati difficilmente valutabili”.

Viviamo in questo mondo di pazzi, fatto di potenti indebitati che pretendono di spiegare agli altri come si fa a fare i soldi, mentre l’unico modo che ormai conoscono è scappare con la cassa…

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1 Commento


  • Gringoni

    La storia è vecchia… I tedeschi dopo l’unificazione, fatta a spese anche delle altre nazioni partner,perseguono i loro interessi al di sopra di tutto e tutti; addirittura prima dei francesi.
    La loro presunta e millantata serietà ,che non deve essere invidiata nemmeno dai napoletani,ha trovato riscontro nella vicenda delle emissioni taroccate delle auto diesel vendite meglio Usa.
    Le banche le hanno salvate col contributo comunitario , così come il Marco convertito in euro venne calcolato non certo in favore del Belpaese.
    Diciamo che hanno persone più attente e capaci di sfruttare le risorse comunitarie, rispetto ai politici italiani, molto spesso succubi della aristoburocrazia di Bruxelles….

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