In questi giorni si moltiplicano gli scioperi, le vertenze e le manifestazioni dei lavoratori dell’industria italiana. Dalla Whirlpool di Napoli, alla ex-Magneti Marelli in Emilia Romagna, fino alla ex-Embraco di Riva di Chieri e alla CNH-Industrial. Da Sud a Nord una nuova ondata di cassa integrazione e licenziamenti sta dando un ulteriore colpo al tessuto industriale italiano e soprattutto ai lavoratori di questo settore, senza che il governo sia in grado di dare soluzioni reali e con i sindacati confederali impegnati a contrattare al ribasso improbabili interventi da parte di qualche avventuriero straniero.
È una condizione tanto diffusa che merita di essere contestualizzata. La crisi e la guerra commerciale stanno colpendo anche le economie più forti, vedi la Germania, si impone quindi una maggiore razionalizzazione della catena del valore che va ad amplificare le disuguaglianze già presenti tra le diverse aree. Per ciò che riguarda il piano nazionale l’intenzione del governo è in piena continuità con l’austerity degli anni passati, tanto condannata quanto mai abbondonata è confermata nero su bianco nella nuova nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. C’è quindi poco da illudersi sui margini di spesa che lo stato italiano potrà riservare per l’intervento nell’industria e nell’economia del paese in generale. L’Unione Europea non ha concesso nulla né al governo giallo-verde né a quello giallo-blu, ciò evidenzia il fatto che qui da noi il processo di deindustrializzazione è teleguidato dall’esterno e procede su più livelli; quello continentale e quello nazionale.
Le dinamiche di trasformazione di FCA riflettono pienamente questo fenomeno, infatti mentre la vendita della Magneti Marelli va ad intaccare anche la virtuosa Emilia Romagna producendo 910 lavoratori in cassa integrazione, lo scorporo di CNH non risparmia né la Lombardia né tantomeno il Piemonte, tanto che la proprietà ha annunciato la chiusura dei cancelli a Pregnana Milanese e la trasformazione da polo produttivo a polo logistico dello stabilimento di San Mauro Torinese. Il risultato sono 330 esuberi in totale, più la cassa integrazione per gli altri.
CNH sarà divisa in due società, la “Off Highway” e la “On Highway”. Nella prima ci saranno le aziende che producono macchine agricole, quelle per l’edilizia e il movimento terre e quelle che producono veicoli speciali (formula con la quale si intendono soprattutto i mezzi da guerra), giusto per elencarne qualcuna: Case, New Holland, Steyr e Iveco Defence. Nella seconda saranno comprese le società che producono veicoli commerciali e motori, come Iveco, Iveco bus ed Fpt Industrial. Qual è l’obiettivo di questo scorporo? L’aumento degli utili per azione – che la proprietà intende portare da 0.86$ a 2$ entro il 2024 – il raggiungimento di un rendimento del capitale investito (Roic) del 20% a fine piano a fronte di un investimento iniziale di 13 miliardi di dollari e l’abbattimento dei costi.1
Il piano industriale di CNH si innesta – almeno a parole – sull’onda ambientalista che sta attraversando l’occidente, infatti l’azienda ha annunciato due investimenti strategici: uno in collaborazione con la start up Nikola di Phoenix (Arizona), per la produzione di motori a zero emissioni (ad idrogeno ed elettrici); e un altro nel campo dell’agricoltura digitale che tramite l’acquisto dell’australiana AgDna andrà a sviluppare una piattaforma per la gestione delle aziende agricole.
Il management del gruppo FCA da un lato descrive il piano industriale ai frequentatori di Wall Street e dall’altro dice agli operai della CNH di Foggia che non dovranno più produrre motori diesel per il gruppo Sevel, il ché significa 150mila pezzi in meno all’anno su un totale di 300mila prodotti attualmente. Allo stesso tempo trasformano le linee produttive di San Mauro Torinese in un magazzino fortemente automatizzato, lasciando a casa un terzo dei lavoratori. Questa è la dimostrazione plastica che la riconversione ecologica della produzione che hanno in mente le classi dominanti e l’automazione industriale le pagano i lavoratori.
E’ inutile sottolineare che John Elkann è entusiasta del piano industriale che ha intitolato “Transform 2 win” (Trasformare per vincere). Gli azionisti di Exor pure, tanto più che le commesse per Iveco Defence (soprattutto per i veicoli multiruolo come il Lince VTLM) stanno aumentando. Ai marines americani servono 200 anfibi nuovi, mentre nei capannoni di Bolzano – in cui non si parla per niente di riconversione della produzione – è già partita la costruzione di 1275 veicoli (4×4 blindati multiruolo denominati 12kN2) per l’esercito olandese, che si conferma cliente d’oro per Iveco Defence. Evidentemente la riconfigurazione dell’industria italiana ed europea è pienamente inserita in quelle dinamiche di competizione tra blocchi economici che per il momento si manifestano con i dazi di “cane pazzo” Trump, ma che in futuro potranno assumere caratteri ben diversi.
In questo contesto alcune aree si rafforzano, vedi Bolzano e il Nord-Est, mentre altre – vedi Torino e il Piemonte, ex-polo produttivo FIAT ormai in declino – arretrano inesorabilmente. La trasformazione di San Mauro Torinese in magazzino, la reindustrializzazione ancora tutta da definire della ex-Embraco, la vendita di Pernigotti in provincia di Alessandria sono solo alcune delle situazioni che stanno ridisegnando il volto di un Piemonte sempre più “meridionalizzato”.
Questo stato di cose rende necessaria la definizione di un progetto politico che – in coerenza con gli interessi delle classi popolari – non può che partire affermando che le nazionalizzazioni insieme alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario sono l’unica strada in grado d’invertire la rotta delle delocalizzazioni e degli effetti dell’automazione industriale, e di conseguenza modificare i rapporti di forza esistenti a vantaggio dei lavoratori.
2 https://www.ladige.it/news/business/2019/09/13/iveco-bolzano-fornir-1200-mezzi-blindati-difesa-olandese
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