Ieri è iniziata l’era della Lagarde alla Bce e già si segnalano scontri feroci.
In un’intervista resa pubblica il giorno prima, la Signora ha dichiarato che Germania e Olanda dovrebbero spendere il surplus di bilancio e delle partite correnti per infrastrutture, istruzione e digitale, con un’economia sostenibile.
Allo stesso tempo, il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, boccia il piano della Lagarde per un “Qe-verde”, ossia un’immissione maxi di liquidità per la transizione energetica e per il cambiamento climatico, ma che sottende fortissimi aiuti di stato alle industrie europee, soprattutto tedesche e francesi, per sostenerne la competizione mondiale.
L’Unione Europea, taccagna da più di venti anni, sia in ambito pubblico che privato, si accorge di essere il vaso di coccio della triade Asia-Cina-Usa e di essere fortemente indietro nei social network, nel digitale, nelle auto ibride, nelle telecomunicazioni e nell’intelligenza artificiale.
La Lagarde vorrebbe imitare la Bank of Japan, che da trent’anni sostiene le politiche fiscali del Giappone e finanzia i big dell’economia nipponica a tasso zero o addirittura negativo; che ha perciò permesso all’industria giapponese di rimanere all’avanguardia e di tener testa agli americani.
In questi trent’ anni vi è poi stata la rivoluzione industriale cinese, prima in settori a basso valore aggiunto, che hanno falcidiato produzioni di altri paesi, quali l’Italia, e poi, a seguito della Legge sul Lavoro del 2008, in settori ad alto valore aggiunto, tanto da diventare una “minaccia sistemica” per gli Usa e per la stessa Europa.
Le economie di scala, la politica fiscale fortemente espansiva, la reflazione salariale, il forte sostegno all’istruzione, la creazione di giganti pubblici attraverso una politica industriale mirata, hanno permesso al colosso asiatico di detenere il 29,5% della produzione industriale mondiale. Nel mentre, quella dell’Ue passava dal 25 al 15%.
Il Giappone ha tenuto testa, soprattutto nel settore automobilistico, a questa trasformazione mondiale, cosa che non è avvenuto in Germania, Francia e Italia.
L’Italia in ogni caso, a differenza della Germania che vede quest’anno le esportazioni calare, riesce a destreggiarsi sia in settori ad alto valore aggiunto come farmaceutica e macchinari (con la formula taylor made, personalizzata, a differenza della stardardizzazione tedesca), sia in beni di consumo, dove sembra riconquisti quote di mercato mondiale. Ma in ogni caso galleggia, prova che negli ultimi tre trimestri, a differenza di quanto si stimava, non è andata in recessione (il dato tedesco si avrà nei prossimi giorni).
Lagarde fa un gioco politico. Da Presidente del Fmi era a Washington e ha potuto studiare l’Asia, si rende conto che l’Ue è molto indietro. Ma sono grida al vento, niente cambierà in eurozona perché, culturalmente, non vi è flessibilità mentale e non si vuole ammettere che bisogna cambiare. La “stabilità dei prezzi”, a costo della deflazione, è il tarlo delle classi dirigenti europee.
Ora arriva la prima spia: ieri in Svizzera è uscito il dato dell’inflazione. Il paese elvetico è entrato ufficialmente in deflazione (-0.3% anno su anno) e di solito anticipa il Nord Europa. In Italia è allo 0.3%, In Francia allo 0.7%, i prezzi alla produzione in Spagna sono calati questo mese del 3.3%.
Questo dopo l’immissione nel sistema finanziario, da parte di Draghi, di 2.750 miliardi di liquidità, che è andata per gran parte verso lidi americani, garantendo il boom di Wall Street e il conseguente pagamento delle pensioni americane (i fondi pensione sono investitori di prima fascia…).
Quando e se in quel paese scoppierà la crisi, questa verrà girata agli operatori finanziari europei, che hanno finanziato, per l’ennesima volta – non memori del 2007 – anche prodotti finanziari fasulli, che non sono ora in possesso degli americani ma degli europei.
Nel frattempo la deflazione si abbatterà di nuovo nell’eurozona, che non ha e non prevede politiche fiscali espansive.
Vladimiro Giacchè, nel libro Titanic, vedeva l’eurozona come il gioco dei 10 piccoli indiani. Si abbattono i più piccoli, fino ad arrivare ai più grossi. Qualora Trump volesse estendere i dazi anche alle auto europee, assisteremmo ad una depressione, se non si cambia registro. E per cambiare registro occorre abbattere, a favore della domanda interna europea, l’assurdo livello di surplus delle partite correnti dell’eurozona.
Non crediate che sia una “virtù” del solo Nord Europa. Ad agosto l’Italia presentava un surplus delle partite correnti pari al 2,9% del pil (viviamo molto al di sotto delle nostre possibilità), mentre, se dovesse continuare con questo trend, quest’anno avremo il record del surplus della bilancia commerciale, vale a dire la differenza tra import ed export.
Massa finanziaria, assieme al risparmio, immolato nel mercati finanziari mondiali, arricchendo altri paesi. La Lagarde non ha un compito facile.
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