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Povertà sanitaria in aumento. Anche questo “ce lo chiede l’Europa”

Se non si dispone di un reddito sufficiente alla propria sussistenza, ossia alle minime condizioni materiali atte a garantire la riproduzione “biologica” dell’esistenza, allora da qualche parte il paniere della spesa deve essere ridimensionato, cominciando magari prima dai beni superflui (ma non è detto, la pubblicità ha fatto passi da gigante sul conferimento di un certo status acquisito con l’acquisto di una data merce), per poi arrivare per cause di forza maggiore a quelli indispensabili, come cibo di qualità, indumenti adatti alle stagioni invernali, o i medicinali.

È facile immaginare come questa logica si possa riscontrare, poniamo, in un paese che nelle ultime decadi è stato guidato da una classe dirigente che ha scelto di bastonare il potere d’acquisto dei propri cittadini pur di stare all’interno di un sistema che garantisse un ruolo, anche se secondario – a dispetto delle potenzialità iniziali –, nella competizione internazionale.

Il settimo Rapporto sulla povertà sanitaria in Italia, presentato ieri a Milano dalla Fondazione Banco Farmaceutico e BFResearch (presentazione avvenuta al Centro Congressi di Confcommercio, quasi a segnare il documento di rilevanza economica più che sociale, in ossequio all’“ideologia economicistica” dominante) certifica proprio le suddette scelte suicide della gestione del sistema-Italia per mezzo dell’aumento della cosiddetta povertà sanitaria nel paese.

Nel 2019 mezzo milione di persone (473.000 per la precisione) per ragioni economiche non ha potuto acquistare i farmaci di cui avrebbe avuto bisogno”.

Le difficoltà non si concentrano solo sulla fetta di popolazione inquadrata nella soglia della povertà assoluta, ossia il livello di reddito con cui non si possono disporre delle risorse necessarie per il proprio sostentamento, soglia definita dall’Istat come il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali (in Italia, nel 2018 comprende 5 milioni di individui secondo i dati Istat).

Ma si estende anche alla fascia (e oltre) della povertà relativa, cioè quella che incontra comunque difficoltà nell’acquisizione di beni o servizi relativamente al livello di benessere medio della nazione o della macro regione economica. Infatti, complessivamente 12,6 milioni di individui (in Italia la povertà relativa colpisce 9 milioni di persone, il 15% della popolazione) sono stati costretti a limitare la spesa per visite mediche e controlli di prevenzione.

La differenza è netta. Ogni cittadino mediamente spende poco più di 800 euro all’anno per curarsi, a differenze dei soli 128 di chi è povero. Se inoltre si focalizza lo sguardo sulla spesa delle famiglie povere per i servizi odontoiatrici (2,19 contro 31,16 euro), per l’acquisto di articoli sanitari (0,79 contro 4,42 su base mensile) e per i servizi ospedalieri (4,61 contro 19,10), il quadro diventa decisamente allarmante.

Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus, afferma nell’incontro che “senza migliaia di enti e associazioni che in tutta Italia offrono assistenza socio-sanitaria gratuita agli indigenti, il quadro sarebbe ancora più drammatico” (fonte Ansa).

Come esclamerebbe il vecchio saggio del villaggio, “cornuti e mazziati”. Non solo infatti anni di austerità hanno ridotto sia i salari, sia, tra gli altri, i fondi a disposizione del Servizio sanitario nazionale, ma si riconosce anche la necessità di affidarsi al lavoro gratuito per ottemperare alle necessità basiche della popolazione (evidentemente con scarsa possibilità di successo e non sarebbe potuto essere altrimenti), contribuendo così ad alimentare il circolo vizioso tra assenza di reddito e mancanza di cure

Dunque, si tagliano i fondi, si riduce l’occupazione, quella che rimane si fa più precaria e povera, e allora uno degli effetti è che una persona su cinque è costretta a rinunciare o a rimandare una prestazione sanitaria nel momento del bisogno.

Forse ci si potrebbe almeno consolare col fatto che i conti siano in ordine, stando sempre alle regole che hanno imposto questa logica a perdere. E invece no: “donne e alcool”, ci hanno imputato i campioni dell’evasione fiscale olandesi, mentre i tedeschi si scoprono solidali solo quando le loro banche tremano al mal di capitalismo, si legga, competizione feroce. Cornuti e mazziati, appunto.

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