Negli ultimi giorni, da un lato si sta aggravando sempre più l’emergenza sanitaria a livello nazionale e mondiale (addirittura l’Oms ha dichiarato lo stato di pandemia mondiale, cosa successa solo altre tre volte prima d’ora), dall’altro lato si registra un cambiamento netto delle politiche economiche messe in campo dal nostro governo.
Ogni ora, infatti, giungono dichiarazioni e aggiornamenti che superano limiti che sembravano insuperabili o, più correttamente, che ci volevano far credere che lo fossero.
L’ultima decisione presa fino ad ora – ma lo scenario potrebbe cambiare rapidamente – è quella di un piano straordinario di 20 miliardi (25 miliardi se si considerano tutti gli oneri) finanziato con un deficit dell’1,1% del PIL per far fronte alla situazione. L’importo è stato cambiato, mercoledì 11 marzo, con una Nota di aggiornamento alla Memoria del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio presentata il 10 marzo al Parlamento, in cui si chiedevano solo 6,35 miliardi di euro (7 miliardi se si considerano tutti gli oneri), corrispondenti a circa lo 0,3% del PIL.
Per poter richiedere questa misura però il governo sta passando attraverso una procedura assurda, che deve sottostare al famoso articolo 81 della Costituzione, ossia l’obbligo al pareggio di bilancio, fatto approvare dal governo Monti nel 2012 in caso di un “evento eccezionale”.
L’evento eccezionale, con riferimento all’ordinamento dell’Unione europea, può essere o una grave recessione economica, oppure, come in questo caso, un evento straordinario al di fuori del controllo dello Stato.
La procedura prevede, per prima cosa, di sentire la Commissione europea e poi l’obbligo di individuare immediatamente la copertura dei nuovi oneri. Nella stessa Memoria si fa notare che “nel quadro costituzionale precedente alla riforma del 2012 un intervento simile ‒ cioè l’adozione di misure di urgenza finanziate in disavanzo – avrebbe prefigurato una deroga al principio di copertura delle leggi di spesa”, ed inoltre non avrebbe richiesto un voto qualificato da parte del Parlamento per autorizzare il maggiore indebitamento, indicando la misura e la durata dello scostamento, e definendo il piano di rientro.
Per darci un’idea della straordinarietà della misura, nella stessa nota si riportano i casi in cui in passato, l’Italia ha beneficiato della clausola dell’ordinamento europeo per eventi eccezionali: con riferimento ad aiuti ai rifugiati nel 2015 (0,03%), nel 2016 (0,06%) e nel 2017 (0,16%); per esigenze di sicurezza nel 2016 (0,06%); per eventi sismici nel 2017 (0,19%); per interventi tesi a contrastare il dissesto idrogeologico e a mettere in sicurezza la rete viaria italiana, a seguito del crollo del ponte Morandi nel 2018, di circa lo 0,2% di PIL.
Si afferma anche che il Ministro dell’Economia, con una lettera al Vicepresidente della Commissione Europea e al Commissario per gli Affari economici (che, ricordiamoci, è Paolo Gentiloni), ha già informato preventivamente le istituzioni europee dei contenuti della Relazione al Parlamento. Nella loro risposta i tecnici europei prendono atto dell’intenzione del Governo italiano, si riservano di condurre successivamente una valutazione delle richieste che arriveranno e sottolineano che, trattandosi di una spesa una tantum, sarà esclusa “per definizione” dal calcolo del disavanzo strutturale.
La richiesta dovrebbe “rispondere alle necessità del servizio sanitario, preservare la capacità produttiva del sistema economico e le sue potenzialità di crescita”, agendo su tre fronti:
1. un incremento delle risorse destinate al sistema sanitario pubblico, al sistema della protezione civile e alle forze dell’ordine per fronteggiare l’emergenza sanitaria;
2. misure di contrasto ai disagi sociali ed economici conseguenti al rallentamento e alla sospensione delle attività produttive (sostegno dei redditi, salvaguardia dell’occupazione, potenziamento degli ammortizzatori sociali, rafforzamento del congedo parentale);
3. sostegno anche attraverso la concessione di garanzie sui debiti delle imprese, alle aziende dei territori e dei settori produttivi colpiti in termini di riduzione del livello di attività e di fatturato.
Le misure preannunciate verranno delineate in modo più preciso da un Decreto-legge che verrà adottato dal governo venerdì 14 marzo e che mobiliterà i primi 12 miliardi.
Nella Memoria, vengono poi riportate a grandi linee delle analisi qualitative sul contesto macroeconomico di riferimento. I dati più interessanti sono:
– Si sottolinea come l’epidemia da coronavirus si sta diffondendo durante una fase del ciclo economico internazionale già in peggioramento: la dinamica del PIL era rimasta moderata negli Stati Uniti e si era ridotta nell’area dell’euro (allo 0,1% congiunturale) e in Cina; il Giappone aveva registrato una forte contrazione (-1,6% congiunturale).
– La diffusione del coronavirus ha avuto immediate ripercussioni sul prezzo delle materie prime, in particolare quello del petrolio, che dall’inizio di gennaio fino a venerdì scorso si è ridotto di oltre il 30%, con conseguenti ripercussioni sui mercati azionari, che hanno registrato forti perdite.
– I mercati finanziari sono rimasti inizialmente pressoché stabili, ma dopo il 20 febbraio hanno avviato una fase più volatile, con forti perdite a partire dall’ultima settimana di febbraio. Diverse banche centrali, tra cui quella cinese, la Riserva Federale, la Banca del Canada e quelle di molti altri paesi minori, hanno ridotto i tassi ufficiali o immesso liquidità nei mercati attraverso misure di acquisti di titoli. La BCE aveva diramato un comunicato nel quale si è dichiarata pronta a intervenire.
– La settimana scorsa sono stati diffusi i nuovi indici PMI relativi al mese di febbraio. In diversi casi si sono registrate forti flessioni, collocandosi nella maggior parte dei casi ampiamente sotto quota 50, ovvero segnalando una contrazione dell’attività economica. Di particolare rilievo è il caso del PMI cinese, crollato a 40,3 nella manifattura (da 51,1) e addirittura a 26,5 nei servizi (da 51,8). Valori così bassi non venivano registrati dalla crisi globale finanziaria.
– Tali segnali fanno temere il possibile avvio di una recessione globale.
Per quel che riguarda la situazione italiana, più nello specifico, le informazioni congiunturali più recenti si riferiscono alle rilevazioni aggiornate fino alla terza settimana di febbraio, quindi prima dell’aggravamento dell’emergenza sanitaria in Italia, e apparivano coerenti con una dinamica produttiva debole, ma sostanzialmente nulla. Verosimilmente tutti gli indicatori congiunturali registreranno invece cali eccezionali in marzo, per via della rapida intensificazione dall’emergenza sanitaria.
Una quantificazione degli effetti macroeconomici dell’epidemia COVID-19 non viene fatta, vista l’eccezionalità dell’evento. Vengono però rintracciati i possibili effetti macroeconomici sull’economia italiana seguendo almeno tre possibili canali di trasmissione:
- L’interruzione delle catene del valore per il settore manifatturiero, sia a livello internazionale – ossia derivante dal blocco delle attività produttive in Cina, ormai molto integrato nelle filiere produttive internazionali. (la causa della delocalizzazione produttiva viene individuata dallo stesso testo nello “scopo di beneficiare del minore costo del lavoro nei paesi emergenti”) – sia a livello nazionale, derivante da eventuali restrizioni delle attività.
- Il freno alle attività turistiche, nel cui settore si prevede che difficilmente il recupero potrà essere completo.
- Gli effetti sui servizi non turistici, tra cui si nominano la ristorazione, la logistica, le attività connesse all’intermediazione creditizia e ai servizi finanziari, il comparto dei servizi professionali (attività legali e di contabilità, di consulenza gestionale, studi di architettura e d’ingegneria, collaudi e analisi tecniche, pubblicità e ricerche di mercato), che a loro volta poi potrebbero ricadere sul settore manifatturiero, già colpito dal blocco delle catene globali del valore.
Rispetto a quando è stata scritta questa Memoria, le eventualità previste dal punto uno di sono declinate nella scelta del governo Conte di sospendere solo una parte delle attività commerciali, in maniera decisamente insufficiente per garantire la salute dei lavoratori, rivelando la propria subalternità a Confindustria e al Dio PIL.
La Memoria conclude riconoscendo che, in casi come questo, lo spazio di manovra del Governo presenta alcuni limiti. “Riguardo alla politica di bilancio, affidarsi solo alle politiche nazionali rischia di lasciare un’eredità difficilmente gestibile in futuro, soprattutto nei paesi che partono da una situazione finanziaria vulnerabile con impatti sfavorevoli anche sull’intera area euro. Sarebbe fondamentale, fin d’ora, affiancare all’azione dei singoli Paesi modalità di intervento definite a livello dell’intera euro zona, inclusa la possibilità di emettere debito con garanzia europea. Lo stesso strumento potrà essere usato una volta terminata l’emergenza per sostenere la ripresa del sentiero di crescita.” Insomma, l’adozione di “eurobond”, garantiti da tutta l’Unione (e quindi anche dai paesi del “grande Nord”), almeno in via temporanea.
Si può, quindi, vedere come, davanti ad una comprovata esigenza di fare spesa pubblica in una fase di crisi, l’elemento che più intralcia è l’Unione Europea, che mantiene l’ultima parola sulla possibilità di un paese di aumentare il proprio deficit, e che dalla sua fondazione ha fatto del rigore di bilancio la sua bandiera.
E’ la stessa Unione Europea che negli ultimi dieci anni ha formulato ben 63 raccomandazioni ai paesi membri perché tagliassero la spesa sanitaria o privatizzassero/esternalizzassero i servizi sanitari. D’altronde, proprio in nome dell’austerità e della “sostenibilità” del debito pubblico l’Italia ha dal 2008 ad oggi significativamente indebolito e sotto-finanziato il Sistema Sanitario Nazionale, cosa che ci ha portato alla condizione di fragilità con cui dobbiamo affrontare questa pandemia.
Nella specifica analisi della Memoria, di cui abbiamo riportato qui alcuni passaggi chiave, emerge come il governo stia premendo per andare incontro alle esigenze sanitarie e di tutela economica, ma che questo non può essere fatto senza rompere con le regole europee o senza che queste si discostino improvvisamente (e difficilmente, senza una forte pressione) dal sentiero di rigidità fiscale.
Questo sentiero permette infatti uno scostamento troppo piccolo e per troppo breve tempo dal pareggio di bilancio. La misura, per quanto possa sembrare eccezionale, richiede comunque di essere considerata una tantum e di essere finanziata sul mercato.
Il primo elemento comporta che non si può fare una politica di programmazione di lungo periodo, cosa fondamentale se vuole essere efficace. La retorica dell’”eccezione” è lo strumento con cui le classi dirigenti europee stanno mettendo le mani avanti per lasciarsi aperta la strada ad un ritorno alle vecchie politiche di austerità una volta che la crisi sia passata, magari anche inasprite a causa delle peggiori condizioni in cui ci troveremo. Quello che bisogna invece ribadire sin da oggi è che il cigno nero del coronavirus ci ha dimostrato che è possibile far fronte alle emergenze con strumenti adeguati, che è soltanto una questione di volontà politica, e che tali strumenti devono essere strutturali.
Il secondo elemento, invece, comporta il fortissimo rischio di dover finanziare queste misure a tassi troppo alti, eventualità che si conferma andando a vedere l’aumento dello spread e il comportamento dei mercati. Una situazione che potrebbe degenerare velocemente se risulterà vero quanto si evince dall’andamento della curva dei rendimenti sui titoli USA.
In questa faccenda avrà un ruolo centrale la Banca Centrale Europea, che dovrà decidere se intervenire subito garantendo di fatto i titoli di stato dei paesi membri della UE, oppure temporeggiare come ai tempi della crisi 2010/2011, con il serio rischio di un’implosione finanziaria. Anche in questo caso è importante sottolineare come la posizione difficile dell’Italia non sia causata da una necessità naturale, ma dall’impalcatura istituzionale dell’unione monetaria, che non permette alla BCE di fungere adeguatamente da prestatore di ultima istanza.
Dobbiamo inoltre ricordarci che tutto ciò sta avvenendo in un periodo in cui la BCE sta creando dal nulla 20 miliardi di euro al mese attraverso il Quantative Easing.
Considerando, come riconosciuto nella stessa Memoria, la possibilità di una recessione globale e il recentissimo annuncio di Conte della chiusura delle attività commerciali, gli strumenti individuati rimanendo dentro le regole dell’Unione Europea non basteranno. Sembra che in molti, anche a livello di classe dirigente/politica, si stiano rendendo conto di questa contraddizione insanabile fra la magnitudine delle misure necessarie, ed un’impalcatura istituzionale fondata sulla competizione interna anziché sulla “solidarietà continentale”.
Significativa in questo senso la discussione riguardo la spesa in deficit finanziata da eurobond, presente anche nella stessa Memoria, proposta da alfieri del neoliberismo di prim’ordine, come Carlo “mani di forbice” Cottarelli.
Non è possibile ad oggi prevedere se queste contraddizioni porteranno all’implosione di tale impalcatura istituzionale o ad una ridefinizione, dettata dalla necessità di sopravvivenza, da parte delle classi dirigenti europee di alcuni pilastri sui quali si era fondata finora la costituzione della UE come macro-polo in grado di competere nell’arena globale.
Quello che dobbiamo fare noi è ribadire con forza che se un sistema non è in grado di garantire sicurezza, salute e benessere alle persone che lo compongono, quel sistema va abbandonato, rotto, e sostituito con uno migliore.
Il cigno nero del coronavirus sta mostrando i limiti di questo sistema con una chiarezza cristallina. Sta a noi, ribadendo la necessità di un’alternativa, individuare la strada per realizzarla.
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Paolo
La domanda è sempre quella: “perché abbiamo firmato questi trattati?”