La “zona rossa” si è estesa su tutte le borse del pianeta. E no, non stiamo parlando dell’allargamento delle misure di prevenzione comunicate dal premier Conte su tutto lo stivale tre giorni fa, e neanche della sospensione di quasi tutte le attività commerciali annunciate in diretta ieri sera. Semmai tutto il contrario, perché lungi dall’esserci un blocco degli scambi, in tutti i mercati azionari del mondo tutti stanno vendendo tutto. Panic selling lo chiamano oltre oceano, ossia vendere le propri quote azionarie di una data società perché non si prevedono più margini di profitto all’orizzonte.
Eccola allora la “zona rossa”, quella dei board dove controllare gli indici dei listini più importanti, tutto contrassegnati dalla pesantissima freccia rossa verso il basso che indica “perdite”, sempre più rilevanti, in alcuni anche del 20% nella sola ultima settimana, come per il FTSE MIB e l’IBEX 35, indice rispettivamente delle borse di Milano e Madrid, Italia e Spagna.
Ma nel resto dell’“Europa che conta” non ride nessuno, nel momento in cui scriviamo infatti Londra, Francoforte e Parigi segnano tutti perdite di almeno il 6%, un’enormità in poche ore di aperture dei listini, così come in crisi nera è Wall Street, intorno al -5% i suoi tre indici più importanti, in pieno scivolone a seguito di quello registrato prima (per motivi di fuso orario) anche dai mercati asiatici.
Un’apertura di questo tipo era prevedibile dopo che ieri l’Organizzazione mondiale della sanità ha elevato l’emergenza coronavirus a livello di pandemia, condizione che obbliga i governi dell’intero pianeta a implementare alcune misure di sicurezza prima riservate ai focolai colpiti dalla “sola” epidemia. Come se non bastasse, il blocco di buona parte delle attività commerciali in Italia è un precedente che non fa ben sperare per le economie dei maggiori paesi capitalistici, probabilmente costretti nelle prossime settimane a delle misure di questo genere – sempre che non scelgano il Pil sulla vita, come in parte ha fatto il nostro governo.
A questo, si aggiunga la guerra del petrolio iniziata la scorsa settimana a Vienna, dove interessi geopolitici si esprimo sui listini del prezzo del greggio, crollato letteralmente in pochissimi giorni dopo la rottura del fronte russo-saudita e il consequenziale riflesso sulla capacità statunitense di reggere la produzione con il barile sceso alla soglia dei 30$ in seguito alla massiccia immissione dell’oro nero sul mercato da parte del principe Mohammed bin Salman.
A niente sono servite le paroline in italiano spese ieri dalle Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che insieme all’annuncio di una manovra da 25 miliardi (di cui 20 in deficit “gentilmente concesso” da Bruxelles) da parte del governo italiano, avevano fatto appena respirare per un giorno Piazza Affari. E scarso successo sembrano avere il taglio, a sorpresa per tempistiche, di 50 punti della Bank of England sui tassi d’interesse e la finanziaria fortemente espansiva annunciata sempre nella giornata di ieri a Westminster.
Oggi è attesa la mossa della Bce, chiamata a sostenere i mercati con ingenti immissioni di liquidità sula scia delle mosse già effettuate da altre banche centrali, come la Fed (che per prima operò un taglio drastico del tasso d’interesse), dell’Australia, del Canada e della Nuova Zelanda, a cui si aggiunge la Bank of Japan che ha assicurato «ogni azione indispensabile al riguardo».
Una montagna di moneta verrà immessa nel circuito finanziario per cercare di non far crollare per l’ennesima volta il castello di carta della finanza, le cui fondamenta fiduciarie poco possono dinanzi ai duri fatti della realtà, come è quello di un virus che ha già infettato 100mila persone sul pianeta, and counting…
Non sarà la politica monetaria a salvarci, neanche sta volta, e se lo farà, sarà solo un palliativo fino alla prossimo terremoto. Il crollo dei listini, come fu quello del 2007-2008 e o delle “dot com” (molto minore in realtà) al cambio millennio, sono espressioni di un sistema socio-economico incapace si superare le proprie contraddizioni perché basato sulla creazione di ricchezza fittizia, non corrispondente a nessun valore concreto.
Solo l’anno scorso, le borse mondiali in media avevano registrato un rally (corsa positiva al rialzo) del 25%, ossia il valore delle azioni scambiate nei mercati azionari erano aumentati del 25% in un anno, una follia nelle condizione di guerra commerciale e generale depressione (se non per la Cina e l’India) delle economie del resto del pianeta.
Questo significa che non si produceva ricchezza reale, ossia nella trasformazione degli oggetti del mondo, il valore d’uso generato per la riproduzione sociale era decisamente inferiore a quello che si apponeva sulla carta dei mercati azionari, che di quel valore invece dovrebbe esserne la rappresentazione. Quello che sta crollando allora, ancora una volta, è il fumo su cui i maggiori proprietari di capitale hanno fondato il “gioco” del chi resiste di più, del chi nella guerra azzecca l’azzardo vincente.
Qualcuno di grande può anche cadere, come successo per Lehmann Brothers 12 anni or sono, ma questo non ferma il gioco, è solo un riassestamento delle forze in campo – si legga, accentramento della ricchezza. Tendenza al monopolio, si sarebbe detto una volta.
Questo fumo tuttavia, seppur creato dal nulla, intossicherà le popolazioni di tutti i paesi, con la perdita di lavoro, restrizioni delle tutele sociali, chiusure di molte piccole e medie imprese, insicurezza reddituale che si trasforma per forza di cose in quella della vita. Per l’occasione, il virus suo malgrado cala la carte delle precarie condizioni di salute in cui operare quotidianamente.
Mercati in picchiata dunque, allerta rossa in tutti i listini. Senza costruzione dell’alternativa, a pagare saremo di nuovo tutti noi, magari tramite gli helicopter money delle banche centrali (è il nostro potere d’acquisto che si svaluta), noi lavoratori, pensionati, studenti, piccoli commercianti. Per quanto ancora?
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