Nel pieno dell’esplosione dell’epidemia legata al Coronavirus, tutti sembrano concordare sull’esistenza di un serio pericolo di insufficienza di strutture e macchinari, quali respiratori e posti letto in terapia intensiva, che prima o poi metterà gli operatori del sistema sanitario nella posizione di dover scegliere a chi somministrare i trattamenti o meno, innalzando in questo modo la mortalità della malattia per ragioni che nulla avrebbero a che vedere con l’aggressività specifica del Covid-19. È datata 14 marzo la dichiarazione dell’assessore al welfare della Lombardia, Giulio Gallera, su un numero ormai limitatissimo di posti di terapia intensiva nella regione, del tutto insufficienti a fronte dei nuovi malati registrati ogni giorno.
A tal riguardo si sta accendendo una polemica politica sui motivi di tale incapacità del sistema ospedaliero di assorbire il numero crescente di pazienti gravi. Su una cosa sembrano essere tutti d’accordo: il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è evidentemente inadeguato per affrontare questa situazione. Tuttavia, due posizioni distinte emergono dal dibattito circa tale inadeguatezza.
Da più parti si è sottolineato che la causa principale di tali difficoltà siano i tagli alla sanità pubblica effettuati nel corso degli ultimi anni. Sul fronte opposto, invece, le cause sarebbero da ricercare nella cattiva gestione dei finanziamenti pubblici (la cui erogazione sarebbe addirittura cresciuta negli ultimi anni), attribuibile all’inadeguatezza dei dirigenti del settore sanitario e al malaffare. Proviamo a districarci in questo dibattito.
Partiamo, innanzitutto, da un dato incontestato: il SSN si sta rivelando, ad oggi, gravemente inadeguato ad affrontare questa situazione emergenziale. Il dato italiano sul numero dei posti letto è allarmante: nel 2017 (ultimo dato disponibile) c’erano 3.2 posti letto ogni mille abitanti (in discesa dai 3.9 del 2010). Si tratta di un dato impietoso se rapportato alla media OCSE (4.7), e soprattutto a Francia (6) e Germania (8). Dal 2010 al 2017 è crollato il numero delle strutture ospedaliere, passate da 1.165 a 1.000 (-14.2%), e il numero complessivo dei posti letto, passati da 244.310 a 210.907 (-13.7%, che diventa -30% se partissimo dal 2000).
Dal nostro punto di vista, questo declino è figlio di un disegno politico ed economico ben preciso, comunemente definito come austerità: si tratta di un processo di privatizzazioni e riduzione della spesa pubblica portato avanti dai governi di tutti i colori degli ultimi trent’anni, sotto la spinta del processo di integrazione europea, e la cui realizzazione ha subito una violenta accelerazione a partire dalla crisi scoppiata nel 2008.
Il sistema sanitario è inadeguato perché decenni di tagli hanno ridotto il personale medico e infermieristico, i posti letto, i macchinari e i servizi, all’interno di un più ampio progetto politico che sta disintegrando lo stato sociale per favorire l’accumulazione di profitti di pochi. Non ci stupisce che, in questi giorni, coloro che hanno favorito, messo in pratica e promosso l’austerità siano in evidente imbarazzo e provino a nascondere le loro responsabilità storiche e politiche.
In particolare, il responsabile economico di Italia Viva, Luigi Marattin, ha dichiarato che la storia dei tagli alla sanità sarebbe una bufala e che, al contrario, i finanziamenti pubblici al SSN sono quasi raddoppiati negli ultimi 20 anni. Luigi Marattin, così come il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova, basa le sue dichiarazioni sui dati della spesa sanitaria corrente (ossia, la spesa in costi per il personale e consumo di beni non durevoli) in termini nominali. Così computata, in effetti, la spesa per il SSN mostra una certa crescita che sembrerebbe protrarsi, sebbene a ritmi modesti, anche negli anni della più dura austerità, dopo il 2011. Su questi dati, Marattin conclude che la colpa dello stato emergenziale del SSN andrebbe quindi attribuita alla cattiva gestione delle risorse.
Il grafico a cui fanno riferimento Marattin e il ministro Bellanova si basa su dati forniti dal Ministero della Salute. I dati OCSE qui riportati in Figura 1 confermano il trend evidenziato da Marattin: in termini nominali la spesa corrente in sanità è aumentata piuttosto sensibilmente fino al 2008, e successivamente, sebbene a ritmi meno elevati, è continuata a crescere.
FIGURA 1. Fonte: Elaborazioni su dati OCSE, banca dati Cofog (spesa governativa per funzione). Miliardi di euro a prezzi correnti. Dalla spesa complessiva (total government expenditure) sono stati sottratti gli investimenti.
Tuttavia, calcolare il finanziamento al sistema sanitario facendo riferimento a dati in termini nominali significa non tenere in considerazione l’andamento dei prezzi dei beni e servizi acquistati dalla pubblica amministrazione nel comparto sanitario. Nel corso degli anni presi a riferimento si è verificata infatti una crescita del livello dei prezzi nell’economia che ha svalutato l’entità di quegli stanziamenti. Per giunta il tasso di inflazione annuo specifico del settore sanitario è risultato costantemente maggiore rispetto a quello medio dell’economia (dal 2000 al 2015 i prezzi medi nell’economia italiana sono aumentati di circa il 25%, mentre la crescita dei beni e servizi del comparto sanitario è stata del 37%), contribuendo così a svalutare ancor di più i valori nominali del finanziamento.
Per queste ragioni, al fine di valutare l’andamento della spesa pubblica in sanità è opportuno considerare il finanziamento al sistema sanitario in termini reali. Perché è questo il dato che conta? Qualsiasi grandezza economica deve essere valutata in termini reali nella sua evoluzione temporale, dal momento che 1 miliardo di euro nel 2000 non equivale a 1 miliardo nel 2020, poiché l’aumento dei prezzi fa sì che nel 2020 la stessa cifra in termini nominali non permetta di acquistare le stesse quantità di beni, servizi e forza lavoro. Per quanto riguarda il settore sanitario, la crescita molto marcata dei prezzi di farmaci e strumentazione medica insieme alla dinamica più lenta della spesa sanitaria nominale hanno provocato una continua riduzione della quantità di farmaci, attrezzature e servizi medici a disposizione del SSN.
Considerando il valore deflazionato, ovvero in termini reali, della spesa pubblica sanitaria, ottenuto utilizzando l’indice dei prezzi di un paniere di beni e servizi sanitari, la dinamica di tale grandezza cambia drasticamente (Figura 2).
FIGURA 2. Fonte: Elaborazioni su dati OCSE, banca dati Cofog (spesa governativa per funzione). Miliardi di euro a prezzi costanti (base 2015). La spesa in termini nominali presentata in Figura 1 è stata deflazionata utilizzando il deflatore dei prezzi della sanità disponibile a questo link.
Ecco come i valori in termini reali mostrano chiaramente che, dopo una fase di crescita nel primo decennio del nuovo secolo, a partire dal 2011 vi sia una fase di contrazione costante della spesa sanitaria, causata dall’applicazione delle severe politiche di austerità di matrice europea avviate dal governo Monti e poi proseguite. Si tratta di un taglio di circa 26 miliardi, pari al 12%, dal livello di spesa del 2009 a quello del 2018, che si traduce in termini pro-capite in un taglio di quasi 400 euro pro-capite.
Inoltre, il dato finora preso in esame non tiene conto degli investimenti pubblici in sanità, ossia dell’acquisto da parte dello Stato di beni durevoli, quali strutture e macchinari, capaci ad esempio di incrementare i posti letto o di mantenere elevati standard di attrezzature (che, ad esempio, se non rinnovate possono soffrire di obsolescenza). Anche in questo caso, dall’analisi condotta in termini reali registriamo un costante decremento degli investimenti annui (Figura 3), che passano dai 6.1 miliardi del 2009 ai 3.4 del 2018 (-44%). Il dato è ancora più eclatante se facciamo riferimento ai soli investimenti nel comparto ospedaliero, quello più sotto pressione in questi giorni, diminuiti da 3 a 1.3 miliardi (-56%).
FIGURA 3. Fonte: Elaborazioni su dati OECD, Cofog (spesa governativa per funzione). Miliardi di euro a prezzi costanti (base 2015). La spesa per investimenti (gross capital formation) è stata deflazionata utilizzando il deflatore degli investimenti complessivi.
Nel complesso, l’entità dello sforzo pubblico (spesa corrente più investimenti) nel comparto sanitario è caduta dal 2008 del 13%, da 136 miliardi a 118 miliardi annui.
Il taglio di risorse risulta ancora più vistoso se si considera che nel corso dell’ultimo ventennio si è verificato, in Italia come in molti altri paesi del mondo occidentale, un significativo invecchiamento della popolazione: una parte cospicua della spesa sanitaria è infatti rivolta alla popolazione anziana, e ciò significa che per garantire un pari livello di servizi, ceteris paribus, la spesa sarebbe dovuta aumentare in termini reali, anche solo per assecondare tali mutamenti demografici.
Inoltre, l’evoluzione tecnologica – particolarmente marcata nel settore sanitario – comporta anch’essa un aumento dei finanziamenti nel tempo, indispensabile per l’adozione delle nuove apparecchiature, che permettono ad un sistema di cura di evolversi al passo con i tempi, e l’affinamento di tutte le competenze specifiche necessarie.
Come se non bastasse, le risorse destinate ad acquistare farmaci e materiali sempre più costosi sono state in parte individuate attraverso la riduzione del monte salari di medici e infermieri. Ecco perché negli ospedali si registra una carenza sempre più preoccupante di infermieri e personale infermieristico (meno 36.000) e medico (meno 8.000). Regioni e aziende sanitarie per raggiungere l’equilibrio di bilancio hanno tagliato gli organici. Non stupisce affatto che il settore sanitario risulti, insieme a quello assistenziale, il peggiore in termini di gap occupazionale rispetto alla media europea: all’Italia, nel 2017, mancavano 1 milione e 435 mila addetti per raggiungere il medesimo tasso di occupazione settoriale dell’aggregato UE15.
Infine, vediamo che altri grandi paesi europei hanno aumentato la spesa nominale in modo molto più marcato di noi nel periodo di riferimento. L’andamento più recente ha ulteriormente allontanato la spesa sanitaria pubblica italiana rispetto a quella di altri paesi europei, dove non sono stati effettuati simili tagli in termini reali, in un contesto di applicazione meno ferrea delle politiche di austerità finanziaria. Nel 2018, la spesa pubblica nel settore sanitario corrisponde in Italia al 6.8% del PIL (il 7.4% nel 2009), contro l’8.1% della Francia (8%), il 7.2% di Germania (7.1%) e l’UE15 (7.5%).
Abbiamo visto come i vari Marattin stiano provando, in ogni modo, a negare l’evidenza, a negare cioè che la responsabilità dell’inadeguatezza del nostro SSN sia da imputare alle politiche di austerità. È l’austerità che ha decimato gli ospedali, riducendo i posti letto ed il personale medico, una scelta tutta politica che ora rischiamo di pagare cara.
Chi oggi prova a sviare l’attenzione, dall’austerità a qualche altra presunta causa del declino del sistema sanitario nazionale (una vaga mala gestione per Marattin, addirittura quota 100 per Boeri!), lo fa per vergogna, perché davanti all’emergenza sanitaria non ha il coraggio di sostenere apertamente un progetto politico che impone il sacrificio di molti per il profitto di pochi. Ma basta fare qualche passo indietro, uscire dall’emergenza di queste settimane, per imbattersi in dichiarazioni inequivocabili che vanno nella direzione opposta.
Emblematico, da questo punto di vista, il libro pubblicato da Carlo Cottarelli nel 2015 dal titolo “La lista della spesa: la verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare”. Nel capitolo 12, dedicato alla spesa sanitaria, Cottarelli rivendica apertamente che l’Italia avrebbe fatto “meglio della Germania”: siamo stati “più virtuosi dei tedeschi” perché “la spesa sanitaria è cresciuta negli ultimi decenni (…) meno di quanto sia avvenuto nella maggior parte degli altri paesi avanzati”. E ancora: “Che è successo negli ultimi anni? Siamo stati anche più virtuosi: dal 2008, la spesa è rimasta praticamente costante rispetto al Pil, nonostante il Pil (in termini reali) scendesse”.
Cottarelli concludeva: “Il fatto che la spesa sanitaria sia aumentata meno che negli altri paesi avanzati dimostra che il Servizio sanitario nazionale ha funzionato bene”, aggiungendo una chiosa significativa: “almeno in termini di contenimento dei costi”. Ecco il punto. Oggi, intimiditi, ci raccontano che la spesa pubblica per la sanità non si è mai ridotta, ma prima di questa epidemia, tronfi, rivendicavano con toni altisonanti il contenimento della spesa sanitaria. L’epidemia è un fatto naturale, la difficoltà che il sistema sanitario ha nel contenerla è invece una loro responsabilità politica. Lasciamo che i medici combattano il Covid-19, ma spetta a noi combattere contro il virus dell’austerità.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
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Mario Bianchi
Leggendo le parole scritte da Cottarelli nel 2015 mi verrebbe da dire: usciamo (per ora solo) in terrazza per bestemmiare e incazzarci e non per cantare pezzi di Jovanotti o, peggio ancora, quell’inno sciagurato che ci ritroviamo (che come diceva Carmelo Bene, “porta pure male”). Bisogna prepararci alla lotta una volta passata la pandemia, perché di tornare al solito schifo di vita e di società ci siamo rotti i coglioni.