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“Shut in economy”. Scenari distopici per il dopo pandemia

Oggi siamo immersi e costretti a vivere le nostre giornate nel tentativo di ridurre e sconfiggere la pandemia del coronavirus. Lo siamo nel nostro e in decine di altri paesi. Sotto i nostri occhi sono cambiate rapidamente abitudini, parametri di riferimento ma anche fattori strutturali dell’economia, della società e della civiltà del dopoguerra. Abbiamo detto che ci sarà un prima e un dopo immensamente diversi tra loro e nulla sarà come prima.

Ma alle domande sul dopo emergenza si può rispondere in modi molto diversi. Noi agiamo per una cambiamento radicale delle priorità e dei rapporti sociali che hanno determinato le nostre vite da decenni, sicuramente vogliamo seppellire il modello sociale capitalista emerso dagli anni ’80, quelli in cui il sanguinoso dogma liberista decretò che “non esiste la società, esistono gli individui” e che quindi è il mercato e la competitività che regolano e autoregolano i rapporti sociali.

Altri, e non sono nè saranno nostri compagni di strada, cominciano a individuare un modello di relazioni sociali e di produzione che salvaguardino questo dogma adeguandolo però alle nuove condizioni, anzi cercando di mettere a loro vantaggio le nuove condizioni. Il futuro che disegnano è segnato da una accentuazione delle disuguaglianze ancora maggiore, rese più dolorose anche dai fattori climatici e patologici che viene sintetizzata come Shut in Economy. E delineano quelli che possiamo definire come scenari distopici, cioè di una immagine piuttosto inquietante del futuro che però è solo una anticipazione della realtà.

Qui di seguito riproduciamo un interessante articolo uscito sul quotidiano economico Milano Finanza che commenta, attraverso la rivista del MIT di Boston (il “mitico” Massachussets Institute of Technology) un rapporto dell’Imperial College britannico, siamo cioè nel “cuore” dei think thank del modello liberista anglo/statunitense.

Buona lettura, ma cominciate a preparare le unghie e i denti.

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Non torneremo più alla normalità. Ecco come sarà la vita dopo la pandemia

di Gabriele Capolino (da Milano Finanza)

Il distanziamento sociale, sostiene un’analisi del MIT Technology Review, durerà ben più di qualche settimana. Lo dimostra una simulazione dell’Imperial College di Londra. In un certo senso, accompagnerà la vita e il lavoro di tutti per sempre. Con un’esplosione dei servizi di una nuova Shut-in Economy

Per fermare il coronavirus dovremo cambiare radicalmente quasi tutto quello che facciamo: come lavoriamo, facciamo esercizio fisico, socializziamo, facciamo shopping, gestiamo la nostra salute, educhiamo i nostri figli, ci prendiamo cura dei nostri familiari”. Così comincia un’analisi di Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine della prestigiosa università americana) dedicato ai cambiamenti nella vita personale e nel mondo del business  che la pandemia finirà per cristallizzare anche dopo che sarà attenuata. “La maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito, e lo farà presto,  che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più”.

Lichfield parte dalla constatazione, a cui si è arreso anche il governo inglese, che ogni Paese abbia bisogno di fare come l’Italia, cioè appiattire la curva dei contagi: imporre un distanziamento sociale per rallentare la diffusione del virus per evitare il collasso del sistema sanitario. Ciò implica che la pandemia deve durare, attenuata, fino a quando non ci sarà un numero sufficiente di persone che hanno avuto il Covid-19 in modo da lasciare la maggior parte degli altri immuni (supponendo che l’immunità duri per anni, cosa che non sappiamo) o che nel frattempo non si trovi un vaccino.

Quanto tempo ci vorrebbe e quanto devono essere draconiane queste restrizioni sociali? Trump ha detto che “con diverse settimane di azione mirata, possiamo svoltare l’angolo e capovolgere la situazione in fretta”. In Cina, sei settimane di isolamento cominciano ad alleggerire la situazione, ora che i nuovi casi sono caduti in prescrizione.

Ma non finirà qui. Finché qualcuno nel mondo avrà il virus, le epidemie continueranno a ripetersi, senza controlli rigorosi per contenerle. In un rapporto di martedì 17, i ricercatori dell’Imperial College di Londra hanno proposto un metodo di controllo: imporre misure di distanziamento sociale più estreme ogni volta che i ricoveri nei reparti di terapia intensiva (ICU) iniziano ad aumentare, e rilassarli ogni volta che i ricoveri diminuiscono.

Nel grafico 1 all’inizio di questa pagina, la linea arancione è quella dei ricoveri in terapia intensiva. Ogni volta che superano una soglia, per esempio,  100 alla settimana, il paese dovrebbe chiudere tutte le scuole e la maggior parte delle università, adottando il distanziamento sociale. Quando scendono sotto i 50 ricoveri, queste misure verrebbero revocate, ma le persone con sintomi o i cui familiari hanno sintomi rimarrebbero comunque confinate a casa.

 

Periodi ripetuti di distanziamento tengono sotto controllo la pandemia. Fonte: Imperial College

Come si misura la “distanza sociale”? I ricercatori la definiscono così: “Tutte le famiglie riducono del 75% i contatti al di fuori della famiglia, della scuola o del posto di lavoro”. Significa che ognuno fa tutto il possibile per ridurre al minimo i contatti sociali e, nel complesso, il numero di contatti diminuisce del 75%.

Secondo questo modello, concludono i ricercatori, il distanziamento sociale e la chiusura delle scuole dovrebbero essere in vigore per circa due terzi del tempo, attivo due mesi e un mese in pausa, fino a quando non sarà disponibile un vaccino, il che richiederà almeno 18 mesi (se funziona).

Diciotto mesi !? Sicuramente ci devono essere altre soluzioni. Perché non costruire più unità di terapia intensiva e trattare più persone contemporaneamente, per esempio?

Beh, nella simulazione dei ricercatori, non risolve il problema. Senza il distanziamento sociale dell’intera popolazione, anche la migliore strategia di mitigazione  (che significa isolamento o quarantena dei malati, dei vecchi e di coloro che sono stati esposti, più la chiusura delle scuole) porterebbe comunque a un’ondata di malati gravi otto volte superiore a quella che il sistema statunitense o britannico possono affrontare (nel grafico 2 è la curva blu più bassa; la linea rossa piatta è il numero attuale di posti letto in terapia intensiva). Anche se si impostassero fabbriche per sfornare letti e ventilatori e tutte le altre strutture e forniture, si avrebbe comunque bisogno di molti più infermieri e medici per prendersi cura di tutti.

 

In tutti gli scenari, senza un diffuso distanziamento, il numero di casi di Covid travolge il sistema sanitario. (Fonte Imperial College)

Si potrebbe allora imporre restrizioni per un solo lungo periodo di cinque mesi? Non va bene neanche così: una volta eliminate le misure di distanziamento, la pandemia scoppierebbe di nuovo, solo che questa volta sarebbe in inverno, il momento peggiore per sistemi sanitari già troppo tesi.

E se si decidesse di essere brutali, fissando una soglia molto più alta del numero di ricoveri in terapia intensiva oltre la quale innescare il distanziamento sociale, accettando quindi che molti più pazienti muoiano? A quanto pare non fa molta differenza. Anche negli scenari meno restrittivi dell’Imperial College, saremmo nel sacco in più della metà del tempo.

 

Se per cinque mesi si impone un completo distanziamento e altre misure, poi revocate, la pandemia ritorna. (Fonte Imperial College)

Quindi, sostiene Lichfield, non si sta parlando di un’interruzione temporanea. È l’inizio di uno stile di vita completamente diverso.

Vivere in uno stato di pandemia

Secondo Technology Review, a breve termine ciò sarà estremamente dannoso per le imprese che contano su un gran numero di persone che si riuniscono in massa: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, gallerie d’arte, centri commerciali, fiere dell’artigianato, musei, musicisti e altri artisti, luoghi sportivi (e squadre sportive), sedi di congressi (e produttori di congressi), compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici, scuole private, centri diurni.

Per non parlare dello stress dei genitori spinti a far studiare a casa i loro figli, delle persone che cercano di prendersi cura di parenti anziani senza esporli al virus, delle persone intrappolate in relazioni extramatrimoniali, e di chiunque non abbia un ammortizzatore finanziario per affrontare le oscillazioni del reddito.

Ci sarà comunque una stagione di adattamento: le palestre cominceranno a vendere attrezzature per esercizio a casa e fare sessioni online, vedremo un’esplosione di nuovi servizi di quella che si può già definire la Shut-in economy. Ci si può consolare con il fatto che le nuove abitudini diminuiranno l’impatto ambientale dei viaggi, favoriranno il ritorno a filiere produttive locali, a un maggior ricorso al camminare e alla bicicletta. Ma lo sconvolgimento di molte, molte imprese e mezzi di sussistenza sarà impossibile da gestire. Uno stile di vita da recluso non è sostenibile per periodi così lunghi.

Quindi come possiamo vivere in questo nuovo mondo? Una parte della risposta , spera Lichfield, sarà nel miglioramento dei sistemi sanitari, con la costituzione di unità di risposta alle pandemie in grado di muoversi rapidamente per identificare e contenere le epidemie prima che comincino a diffondersi. Poi occorre sviluppare la capacità di aumentare rapidamente la produzione di attrezzature mediche, kit di test e farmaci. Sarà troppo tardi per fermare la Covid-19, ma sarà d’aiuto per le future pandemie.

A breve termine, probabilmente troveremo compromessi imbarazzanti che ci permetteranno di mantenere una certa parvenza di vita sociale. Forse le sale cinematografiche toglieranno metà dei loro posti, le riunioni si terranno in sale più grandi con sedie distanziate, e le palestre richiederanno di prenotare gli allenamenti in anticipo, in modo che non si affollino.

In definitiva, verrà ripristinata la capacità di socializzare in sicurezza, sviluppando modi più sofisticati per identificare chi sia a rischio di malattia e chi no, e discriminando legalmente chi lo è.

Si possono vedere i primi segnali nelle misure che alcuni paesi stanno prendendo. Israele utilizzerà i dati di localizzazione dei cellulari, con cui i suoi servizi segreti rintracciano i terroristi, per rintracciare le persone che sono state in contatto con i portatori noti del virus. Singapore effettua una ricerca esaustiva dei contatti e pubblica dati dettagliati su ogni caso conosciuto, tutti tranne l’identificazione delle persone per nome.

Naturalmente nessuno sa esattamente come sarà questo nuovo futuro. Ma si può immaginare un mondo in cui, per salire su un volo, forse si dovrà essere iscritti a un servizio che tracci i vostri spostamenti attraverso il vostro telefono. La compagnia aerea non sarebbe in grado di vedere dove siete andati, ma riceverebbe un avviso se foste stati vicini a persone infette o a punti caldi della malattia. Ci sarebbero requisiti simili all’ingresso di grandi spazi, edifici governativi o snodi di trasporto pubblico. Scanner della temperatura installati ovunque, e il vostro posto di lavoro potrebbe richiedere l’uso di un monitor che misuri la vostra temperatura o altri segni vitali. Dove i locali notturni chiedono una prova dell’età, in futuro potrebbero chiedere una prova di immunità,  una carta d’identità o una sorta di verifica digitale tramite il vostro telefono, che dimostri che siete già guariti o che siete stati vaccinati contro gli ultimi ceppi del virus.

Ci si adatterà anche a queste misure, così come ci si è adattati ai sempre più severi controlli di sicurezza aeroportuale in seguito agli attacchi terroristici. La sorveglianza invasiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare per la libertà fondamentale di stare con altre persone.

Come al solito, però, il vero costo sarà sostenuto dai più poveri e dai più deboli. Le persone che hanno meno accesso all’assistenza sanitaria, o che vivono in zone più esposte alle malattie, saranno ora più frequentemente escluse dai luoghi e dalle opportunità aperte a tutti gli altri. I gig-worker, quelli che fanno lavoretti e sono molto in giro, come autisti, idraulici, istruttori di yoga freelance,  vedranno il loro lavoro diventare ancora più precario. Gli immigrati, i rifugiati, i clandestini e gli ex detenuti dovranno affrontare l’ennesimo ostacolo all’ingresso nella società, prevede Lichfield.

Inoltre, a meno che non ci siano regole severe su come viene valutato il rischio che possiate ammalarvi,  i   governi o le aziende potrebbero scegliere qualsiasi criterio: per esempio, siete ad alto rischio se guadagnate meno di 50.000 dollari all’anno, vivete in una famiglia con più di sei persone e in alcune precise parti del Paese. Ciò provocherebbe un margine per la distorsione algoritmica e la implicita discriminazione, come è successo l’anno scorso con un algoritmo utilizzato dalle compagnie di assicurazione sanitaria degli Stati Uniti, che finiva per favorire inavvertitamente i bianchi.

Il mondo è cambiato molte volte, e sta cambiando di nuovo. Tutti noi dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare e di creare relazioni. Ma come per tutti i cambiamenti, ci saranno alcuni che ci perderanno più degli altri, e saranno quelli che hanno già perso troppo. Il meglio che possiamo sperare, conclude l’analisi di Lichfield,  è che la profondità di questa crisi costringa finalmente i Paesi e gli Stati Uniti in particolare, a porre rimedio alle palesi ingiustizie sociali che rendono così intensamente vulnerabili ampie fasce della loro popolazione.

https://www.milanofinanza.it/news/non-torneremo-piu-alla-normalita-ecco-come-sara-la-vita-dopo-la-pandemia

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1 Commento


  • Daniela

    Stupendo scritto, non concordo in tutto ma quasi!

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