La pandemia, tra le altre cose, ha evidenziato i limiti culturali del “peniero unico” neoliberista occidentale. Così sicuro, dopo la vittoria del 1989, da rinchiudere nel cassetto delle cose inutili ogni forma di critica e interrogazione all’esistente.
In questo vuoto di pensiero le idee sono state ridotte a slogan pubblicitari. A frasi senza sottostante né significato concreto. L’idea di libertà, che pure era stata un punto di forza del liberalismo borghese, ne ha fatto le spese più di altre.
A metà strada tra significati retorici (il rito elettorale, sempre più ristretto tramite soglie di sbarramento e costi abnormi) e arbitrio delle imprese, nella cultura di massa si è solidificato un significato asociale che rende problematica, se non impossibile, ogni azione razionale che comporti qualche obbligo, oltre ad astratti diritti inesigibili.
Per cominciare a discuterne…
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Cerca di prendere il centro del dibattito pubblico sul come uscire dalla pandemia una concezione adulterata della libertà, una sua definizione «apofatica», come nella teologia negativa di sant’Agostino.
Per questo padre della Chiesa l’essenza divina, infatti, può essere intuita per via negationis; possiamo, in altre parole, solo dire ciò che l’Essere non è.
Eppure all’origine di questa ricerca ontologica, prima ancora che teologica, dalla quale poi discende l’idea di libertà, troviamo la posizione di Parmenide che afferma, pur fermandosi a questo, che l’Essere è e non può non essere.
Su questa stessa posizione, Plotino muove un passo ulteriore ed essenziale: noi possiamo ricongiungerci all’Essere, in altre parole conoscerLo. La teologia cristiana, invece, lo esclude, mantenendo una distanza sostanziale, gerarchica, tra Creatore e creato.
Da queste antiche polarizzazioni sono discese, nel corso dei secoli, altrettante concezione della libertà; oggi ritroviamo alcune di esse, non a caso, nelle posizioni di una destra estremista ed oscurantista che afferma ciò che libertà non è, senza peraltro offrire nessuna risposta a ciò che invece essa può e deve essere.
Non vi è alcun dubbio, infatti, che la pandemia abbia catalizzato nel modo più tragico, a suon di centinaia di bare anonime, (ce lo siamo già scordato?) pulsioni negative, autodistruttive, profonde, che sono il vero substrato di un bioliberismo che si nutre, come un enorme buco nero, delle ansie apparentemente senza nome della modernità.
A nessuno pensiamo sia sfuggito il senso di vera e propria frenesia collettiva che questa fragilissima normalità, data peraltro da una campagna vaccinale di massa e decisamente partecipata dalla maggior parte dei cittadini, ha portato.
Provate ad uscire di casa un qualunque giorno, a cercare un ristorante con un tavolo libero senza prenotazione, a fare lo stesso tragitto di sempre in macchina, e vi accorgerete chiaramente che c’è un senso di urgenza nell’immergersi tra la folla, nel traffico, nei centri commerciali, come se si vivesse permanentemente il giorno prima del Giudizio Universale.
Poco, troppo poco, questo sentiment collettivo è stato studiato per collocarlo nel giusto posto della crescita da boom economico che il Paese sta vivendo – anche se da pargonare ai dati negativi del periodo precedente.
Ed è su questo terreno che le destre neofasciste, più o meno dichiarate, costituzionali o meno, costruiscono il loro consenso verso una libertà oscura, negativa, degenerativa, cercando il rovesciamento del senso di partecipazione, del dovere civico, dell’appartenenza ad una comunità di intenti, nel suo contrario atomizzato e individualista.
Coerenti con le ragioni più inconfessabili della biopolitica, il dominio dei corpi stessi, le destre ed i teorizzatori delle varie «dittature sanitarie», svolgono la loro diuturna opera di denaturazione di una idea positiva di libertà, cioè della possibilità di connettersi dell’individualità all’essere collettivo senza perdere la propria identità.
Forse un esempio mutuato dalla fisiologia ed uno dalla simbologia esoterica potrà illuminare la differenza tra le folle vocianti e scomposte che urlano la loro pretesa di decidere ognuno per sé, organizzate in realtà dalle formazioni neofasciste o guardate con malcelata simpatia dei “sovranisti” che vedono in questo il germe della decomposizione europea, e la grande massa che consapevolmente si riconosce in una idea positiva del suo esserci.
Il primo esempio è quello delle cellule del nostro corpo: esse sanno, da viventi, quando fermare la loro espansione per creare un tessuto vitale. Quando questa coscienza vitalistica viene meno si sviluppa il cancro.
L’altro esempio è il melograno; tutti lo ammiriamo per la bella forma sferica, perfetta, armonica. Ma quando lo apriamo vediamo che ognuno dei suoi chicchi ha adattato la sua unica ed irripetibile forma a quella degli altri, appunto per formare l’insieme.
Se non si vive la libertà in questo modo, sarà impossibile uscire dalla pandemia di oggi, al contempo prevedendo ciò che l’ha generata e che potrebbe innescarne di nuove: il nostro arbitrio nei confronti dell’ambiente, ancora una volta la libertà oscura di fare ciò che ci pare a tutto il vivente.
A questo punto possiamo affermare che il «libertismo», l’idea di libertà di Marca fascista, si presenta come una vera e propria eterotopia foucaultiana, un luogo cioè che ne inverte e falsifica la sua natura stessa.
Ha certamente ragione Slavoj Zizek quando afferma: «Verrebbe da credere – in tempi come i nostri, in cui il virus ci minaccia tutti – che la posizione dominante dovrebbe essere il desiderio di sapere, di comprendere pienamente come funziona il virus per riuscire a controllarlo e a fermarne la diffusione. Invece ciò che osserviamo sempre più spesso è una variante della volontà di non saperne troppo, perché questa conoscenza potrebbe limitare il nostro stile di vita quotidiano».
Citando infine sant’Agostino, che in fondo ha, come tutti i difensori dei dogmi di ieri e di oggi, denaturato e sottomesso il suo pensiero a delle affermazioni apodittiche, egli racconta nelle Confessioni di come i torrenti impetuosi che si formano a seguito delle piogge tropicali, spesso travolgano i cerbiatti smarriti di fronte a tanta furia.
Narra ancora, e con commozione, d’aver osservato come i cervi adulti, a rischio della loro stessa vita, incrocino le proprie corna nodose e ramificate con quelle lisce e lineari dei cerbiatti, per traghettarli e salvarli da sicura morte.
Ecco che in questa immagine, al tempo stesso altamente simbolica e mondana, si rispecchia la più profonda, autentica e poetica essenza della libertà.
* da il manifesto
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Gianni Sartori
Mi attacco qui. In merito alla recente “raccolta di firme prestigiose” a difesa di Nicola Rao per la sua mancata nomina a direttore. Personalmente mantengo qualche dubbio sul valore storico della sua ricerca sui fascisti (il ciclo della . cosiddetta – “Celtica”, in realtà un richiamo alla Charlemagne, all’OAS, a Ordre Nouveau, anche come variante della “svastica tonda”). A parte quindi qualche obiezione sull’uso improprio della – sempre cosiddetta – “Celtica” (sia del simbolo che del nome) da parte di fasci, il suo lavoro mi era apparso, oltre che troppo benevolo, comprensivo (in fondo “sdoganante”) verso costoro, anche non esente da imprecisioni.
Per esempio, evocando presunte analogie tra la “nuova” destra e la lotta di liberazione del popolo irlandese 8in realtà si tratta di un volgare tentativo di strumentalizzazione, se non peggio visti i rapporti tra i “fuoriusciti” di TP e i fascisti inglesi, a loro volta legati ai fascisti unionisti filoinglesi – “lealisti” -dell’Irlanda del Nord), Nicola Rao, scriveva impropriamente “Bobby Sands e dopo di lui altri 15 detenuti dell’Ira morirono di fame…”.
Almeno due dati imprecisi, l’appartenenza all’Ira di tutti i prigionieri e il numero dei morti. Poco più avanti, alimentando l’equivoco sulle affinità tra neofascismo e lotta di liberazione irlandese, riporta che nel 1981 “i muri di molte città italiane furono coperti da manifesti e scritte, tutti firmati rigorosamente con una croce celtica, di solidarietà e di appoggio alla causa dei repubblicani irlandesi”. Falso. Manifesti e scritte erano soprattutto di sinistra (autonomi, “Lotta continua per il comunismo” etc). Quelli di Terza Posizione (TP, estrema destra), erano firmati con la runa “dente di lupo” (detta anche “nodo di rune”). E’ disponibile in proposito un’ampia documentazione fotografica.
Potrei continuare, ma tanto per dare un’idea del “metodo”.
(per ulteriori elementi, vedi “Fascisti, tenete giù le zampe dall’Irlanda” per quanto datato)
GS
Redazione Contropiano
Molto interessante, ma decisamente fuori tema…
Paolo
“Habeas corpus”!
Giovanna Tripodi
Il nodo della questione è: lo Stato deve assumersi la responsabilità della vaccinazione? Se si il vaccino deve esplicitamente essere reso obbligatorio per legge. Oggi il vaccino è surrettiziamente obbligatorio ma lo Stato declina le responsabilità . Non a caso il cittadino sottoscrive preventivamente la ” liberatoria “. PS.: dello stato della sanità in Italia prima o poi qualcuno dovrà rendere conto.
WALTER GAGGERO
Articolo molto “filosofico”e incomprensibile , forse non vi rendete conto che non tutti i lavoratori hanno fatto filosofia, a pubblicarlo.
Col Manifesto non ho più rapporti da ” FACCIAMOCI DEL MALE”,
Redazione Roma
Qualche volta occorre fare uno sforzo in più, anche per noi
walter Gaggero
iosono iscritto a PAP mi piacerebbe partecipare alle vostre iniziative …ma la mia amica Viola non si sente più?
walter Gaggero
ma non sono in Italia .
Mauro
Fango voleva fare un uovo tutto rosso e levigato ma il programma erano cubi con lo stemma dello stato…
Redazione Roma
Ricky Gianco lungimirante