Sconfitta su tutta la linea, scompaginata al primo round “l’unità dei mediterranei” (più Irlanda, Belgio e Lussemburgo) che avevano inviato una lettera pressoché ultimativa – nelle intenzioni – per chiedere alla Ue di adottare eurobond per affrontare la catastrofe sanitaria e l’inevitabile “ricostruzione economica” post pandemia.
Il “fronte del Nord” – o l’”osso tedesco” (Germania, Olanda, Austria) – ha opposto la prevista e prepotente resistenza ad ogni cambiamento dello “spirito dei trattati” europei, inchiavardati con l’ordoliberismo fallimentare anche in tempi “normali”. Come se questa crisi fosse un malessere passeggero, da cui alcuni usciranno un po’ più deboli, altri meno, ma in fondo tutto resta “come prima”.
Una scommessa fondata sulla speranza, non su basi empiriche.
E’ un’ottusità strategica fondata però su solidissime basi materiali. L’Olanda, negli ultimi 30 anni, si è trasformata in un paradiso fiscale per multinazionali europee, garantendo livelli di tassazione ridicoli. Un affare, per un paese relativamente piccolo (17 milioni di abitanti) e già favorito dall’avere il più grande porto d’Europa (Amsterdam), istituzioni sovranazionali e attività finanziarie con lunga tradizione storica. Una perdita considerevole per il Paesi d’origine.
Qui, negli ultimi anni, hanno spostato la sede fiscale colossi anche italiani, come Fca-Fiat, Mediaset, Luxottica, ecc. Le basse tasse che pagano qui sono comunque miliardi regalati in cambio di protezione legale, senza neppure pretendere quelle infrastrutture o “facilitazioni” che invece richiedono ai Paesi in cui hanno stabilimenti produttivi.
La Germania, dall’unificazione in poi, ha ridisegnato le principali filiere produttive attorno ai propri colossi industriali, peraltro ormai tecnologicamente sorpassati rispetto agli Usa e soprattutto alla Cina, privilegiando le esportazioni rispetto al mercato interno (il che richiedeva compressione dei salari in tutti i Paesi delle filiere: fatto!).
L’adozione dell’euro, su una quotazione fortemente sottovalutata del marco tedesco, ha dato il via a questa operazione storico-strategica che ora sta saltando, come si era visto già prima dell’epidemia.
Il grande surplus così accumulato rispetto al Pil (il contrario del deficit che invece affigge tutti gli altri partner, com’è ovvio che sia in un mercato unico competitivo all’interno) ha reso il debito pubblico tedesco un privilegiato assoluto. Non per le presunte “virtù” dei tedeschi in fatto di risparmio, ma banalmente perché da anni viene rifinanziato a costo zero. Anzi, guadagnandoci qualcosa da quando i tassi di interesse sono diventati negativi.
Gente che ha da tempo questi vantaggi non ci pensa neanche a rinunciarci volontariamente. E questa è la vera base su cui poggia il rifiuto – ideologizzato nella narrazione rivolta all’opinione pubblica interna, contro “le cicale” o “i mafiosi” del Sud Europa – di ogni “mutualizzazione del debito” con altri paesi europei.
La riunione dell’Eurogruppo, ieri, era stata così significativamente anticipata da Angela Merkel: “Voi sapete che io non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli eurobond, ma ci sono così tanti strumenti di solidarietà che si possono trovare delle buone soluzioni“.
Trasformare un vantaggio di fatto in un’”opinione” più autorevole di altre è il segreto della politica di potenza, del resto…
Fatto sta che che, alla fine, il “compromesso” lascia l’Italia e gli altri “mediterranei” con nulla di concreto in mano, una bomba sotto il cofano e una promessa vaga.
Anzi, in quel nulla c’è potenzialmente un disastro. E parliamo ovviamente del Meccanismo Europeo di Stabilità, che alla fine sarebbe in teoria utilizzabile “senza condizionalità” (quelle che hanno consegnato la Grecia agli strozzini della Troika), ma solo per le spese mediche e sanitarie dirette o indirette legate al Covid-19. Il che è già una condizionalità piuttosto restrittiva.
L’Olanda comunque ha insistito nel pretendere che, in caso di richiesta per il sostegno economico vero e proprio, le linee di credito del Mes manterranno la serie di condizionalità previste dal fondo (peraltro guidato da Klaus Regling, lo “stratega dell’euro” per conto ella Germania).
In linea di principio, l’Italia non avrebbe dunque alcun interesse a richiedere prestiti da questo fondo. Un po’ perché le condizionalità anche eventuali sono pesantissime. Un po’ – o soprattutto – perché questo fondo dispone di spiccioli, in confronto alle necessità di finanziamento che questa crisi richiede.
Il limite è infatti fissato al 2% del Pil del Paese richiedente – per l’Italia dunque solo 35-36 miliardi, pur avendo contribuito con 70 – e quindi poco risolutivo rispetto a quanto già “impegnato” con i vari decreti “cura Italia” (fino a 400 miliardi).
In pratica, da qui non può arrivare nulla, anzi è anche meglio che non arrivi. Ma ormai l’accettazione del principio c’è stata, e dunque è facile prevedere che, nel momento in cui concretamente il governo italiano andrà a chiedere linee di finanziamento, la pressione dei “partner” del Nord Europa spingerà per l’adozione dei prestiti del Mes.
La previsione è facile, e già anticipata da Yanis Varoufakis, ex ministro dell’economia greco nel primo governo Syriza, quello abbattuto dopo la vittoria dell’Oxi al referendum contro il Memorandum della Troika: “Ed eccoci qui: Italia e gli altri piegati. Hanno accettato i prestiti del Mes che porteranno a austerità stringente il prossimo anno, pietosi prestiti per le imprese della Bei, uno pseudo schema federale di assicurazione sulla disoccupazione, più qualche pillola di filantropia. In cambio si sono impegnati a depressione permanente”.
Giudizio severo, ma incontestabile, vien da dire, visto che arriva da uno che alle riunioni dell’Eurogruppo c’è stato e non certo da comparsa.
Cosa resta? I già previsti “100 miliardi” teorici del fondo Sure, inventato da Ursula von der Leyen per finanziare gli ammortizzatori sociali per chi perderà il lavoro a causa della crisi. Ma, come si era già visto, in realtà questa cifra è spalmata sull’arco di dieci anni e dunque si riduce a 10 miliardi l’anno per tutta l’Unione Europea. A conti fatti, potrebbe bastare a coprire il reddito di sopravvivenza di meno di 10 milioni di disoccupati…
E infine i 200 miliardi della Banca Europea degli Investimenti, già previsti e concordati prima ancora della riunione dell’Eurogruppo, destinati a finanziare soltanto le imprese.
I media “europeisti” enfatizzano molto la “quarta gamba” tra gli strumenti per affrontare la crisi, ovvero il cosiddetto Recovery Fund, il fondo per la “ricostruzione” post pandemia, spuntato nelle discussioni – su proposta francese, prima che Macron abbandonasse gli altri Piigs per non perdere l’asse privilegiato con Berlino – al posto degli eurobond.
In linea teorica si dovrebbe trattare di qualcosa di simile, ancorché su un perimetro assai più limitato. Si dovrebbero o potrebbero infatti emettere dei titoli garantiti da tutti i Paesi dell’Eurozona, condividendo in prospettiva almeno una parte del debito.
Il condizionale è però d’obbligo. Il documento finale – il “compromesso” che fa da base per la discussione tra i capi di Stato e di governo, la prossima settimana – neppure lo nomina. Le cronache delle indiscrezioni riportano che ci si è accapigliati a lungo, tra i ministri dell’economia, per scrivere la parola “si istituisce” oppure “si discute”. E la differenza è palesemente enorme, tra quel che si fa e quello che “ci si ragionerà”.
Lo scontro si è chiuso, anche su questo punto, secondo gli stessi rapporti di forza generali: non se ne parla, ma sarà contenuto in una “lettera” al Consiglio Europeo. Se le poste funzioneranno…
La vittoria dell’”osso tedesco” è dunque completa, ma probabilmente suicida. E’ un gioco con la testa “di prima”, fatto sperando che il disastro economico mondiale europeo sia – sì – grave, ma “governabile” con gli strumenti che erano stati pensati in tutt’altra fase.
E di sicuro così non è. Due conti della serva siamo in grado di farli anche noi, in fondo. Ogni settimana di “normalità produttiva” apporta una crescita di ricchezza vicina al 5% del Pil. Ogni settimana di blocco totale – per quanto con molte “deroghe” pretese da e concesse alle aziende – si porta via una quota variabile, ma rilevante, di quella cifra.
Già ora la Francia deve registrare un catastrofico -6% nel primo trimestre. L’Italia attende con terrore i dati, e così la Spagna. Per ora si hanno solo i dati relativi a febbraio (quando tutto era ancora aperto!), che hanno fatto segnare un meno 1,2% rispetto a gennaio e un -2,4% rispettto allo stesso mese dello scorso anno. Già recessione, insomma, prima del blocco parziale della produzione.
Ma anche Germania e paesi alleati non troveranno molto di che godere dalla prossima pubblicazione Eurostat. La previsione – facile – è che la dimensione del disastro aumenterà con il passare delle settimane (ne sappiamo qualcosa, vero?), ed è già ora molto oltre i limiti degli “strumenti” di cui l’Eurogruppo ha discusso.
Le ricadute sulla “coesione sociale”, a quel punto, saranno ancora più vaste della pur altissima contabilità dei morti cui ci stiamo abituando.
Ci sono dei pazzi alla guida dell’Europa. E il peggio è che sono anche ciechi e sordi.
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angelo
Già…spero solamente che l’italia non faccia ricorso al mes , anche se le cose purtroppo per noi stanno andando in questa direzione . il sistema europa ormai ha dimostrato tutto la sua inadeguatezza (se mai ce ne fosse stato bisogno) a far fronte ad una emergenza di queste dimensioni , con regole e meccanismi contorti e dettati dalla ipocrita quanto beffarda e sprezzante Germania, pronta a speculazione e raggiri pur di arricchirsi a discapito degli altri .
L’unico modo per evitare tutto ciò ,sarebbe quello di andare via da questa trappola chiamata unione europea , ma la cosa è molto improbabile purtroppo per noi .
Marco Bersani
Sono completamente d’accordo. Aggiungo che anche sui fondi del Mes per le spese sanitarie ci sono le condizionalità. Sono state eliminate per l’accesso, ma rimangono inalterate al momento del rimborso. Il testo inglese dell’accordo lo chiarisce senza ombra di dubbio e tutte le dichiarazioni Pd-M5stelle su questo punto sono consapevolmente reticenti
Tiziano Cardosi
Cari/e, credo di parlare con le persone tra le più preparate a rispondere al disastro che ci si para davanti.
Da semplice militonto penso che il nostro compito adesso debba essere quello di indicare alle persone che ci sono possibilità di uscire da questo cul de sac che sembra invalicabile.
Ce la facciamo a fare di PAP un soggetto politico all’altezza della situazione?
Alternative non ne vedo, ma mi pare di intuire anche tanti limiti in questo nuovo movimento.
Grazie per il lavoro che fate.
Giorgio Boiani
Anch’io sono completamente d’accordo, solo segnalo una piccola svista: il porto più grande d’Europa è olandese, ma è Rotterdam.