Pizza bollente direttamente a casa, birra fresca pronta sull’uscio, sushi dal miglior “giapponese” con un click. Sì ok, ma la novità? La novità è che non si dovrà più dire grazie, o preparare qualche moneta per la mancia – per il pagamento della merce invece sembra tutto come prima…
Sbarcano infatti in Europa (ma tecnicamente non in Unione europea) i “rider robot”, o ciclofattorini automatici, ossia miniautoveicoli autonomi a sei ruote per la consegna del cibo a domicilio.
Succede per la precisione a Milton Keynes, 80 km a nord-ovest di Londra, nel Buckinghamshire, città con poco più di 200mila abitanti, la più grande della zona.
A rendere per la prima volta commerciale l’operazione in Inghilterra è stata la Starship Technologies, una startup – informa il The Guardian – di consegna autonoma creata nel 2014 da nientemeno che i due co-fondatori di Skype, e che sta testando i suoi minirobot per il raffreddamento della birra in pubblico sin dal 2015.
L’occasione neanche a dirlo si è presentata con il lockdown causato dal coronavirus, strade libere, lavoratori (non tutti) a casa e file lunghissime all’entrata dei supermercati per gli approvvigionamenti del beni di prima necessità.
«Siamo entusiasti che sia i residenti che i lavoratori possano ora godere di questo servizio economico e vantaggioso nel centro della città, e speriamo che in futuro renda Milton Keynes un luogo di lavoro ancora più attraente», ha detto Andy Curtis, capo delle operazioni nel Regno unito per la Starship.
Nel mondo del lavoro il progresso tecnologico sottoforma di automazione, robotica o intelligenza artificiale, ha riacceso – da alcuni ormai – un dibattito che ciclicamente è sempre emerso in concomitanza di importanti sviluppi potenzialmente “distruttivi di lavoro” per l’essere umano, o altrimenti detto, di disoccupazione tecnologica.
Il caso dei rider tuttavia è di particolare interesse perché fa parte di quel micro-settore, la logistica (di terra), al centro delle lotte più avanzate soprattutto nel nostro paese, che ha conosciuto e conosce condizioni di sfruttamento secondi forse solo a quello dell’agricoltura e che per caratteristiche intrinseche non può essere oggetto di delocalizzazione.
In queste lunghe settimane di quarantena il comparto della logistica non ha “abbassato le serrande” ma ha continuato a far correre i propri lavoratori su e giù per le strade del paese, fronteggiando l’impatto economico del Covid-19 grazie sia al protagonismo dell’e-commerce nei giorni di domicilio forzato, sia alla necessità di garantire la distribuzione dei prodotti di prima necessità – dal cibo ai farmaci.
In questo contesto, la concorrenza è feroce e le quote di mercato si conquistano puntando su prezzo e velocità di consegna.
Amazon ha fatto incetta di clienti garantendo proprio queste due condizioni, basando il proprio dominio sul possesso delle tecnologie che non permettono ai competitor di gareggiare con la propria organizzazione del lavoro, fino all’annuncio negli Stati uniti – in piena pandemia! – dell’assunzione di 100mila nuovi dipendenti per coprire il fabbisogno raggiunto nella nuova (e futura?) situazione.
Ma se nello scorso giugno aveva presentato a Las Vegas il primo modello di drone capace di effettuare consegne in mezz’ora in un raggio di 15 km, la consegna di “pizza e birra” necessità però di una “stabilità maggiore”, onde evitare figuracce col cliente: ecco dunque dove intervengono le sei ruote dei rider robot.
Il lavoro, sentiamo gridare da ogni angolo informativo del paese, è un “costo” che incide moltissimo sulle capacità di operare di un’impresa, e allora lo sviluppo tecnologico si tramuta in un vantaggio competitivo che permette a questa di aumentare i profitti, mediante l’abbattimento dei costi, a discapito della concorrenza.
Non è un caso che la figura del rider sia stata caratterizzata dall’assenza totale di tutta una serie di tutele che normalmente sono garantite ai dipendenti di un’azienda, come paga e orari minimi certi, assicurazione per l’infortunio, contributi previdenziali, accantonamento per l’uscita dal mondo del lavoro, ecc.
Ma per “giocare” sul prezzo del servizio, visto che non sarebbe stato possibile influire su quello della farina o del malto, le aziende di consegna a domicilio come Deliveroo, Foodora, Glovo ecc., organizzate con piattaforme digitali, scelsero di spingere al ribasso i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici impiegate, fino a non riconoscerli come “dipendenti”.
In Italia, la “vicenda dei rider” ha conosciuto un primo passo di omogeneizzazione nello scorso autunno, quando il Parlamento ha varato una serie di disposizioni che riconosce ai fattorini un inquadramento professionale, aprendo però la via alla creazione di una figura professionale a tutele minime per il lavoratore contrattualizzato tramite piattaforme digitali.
In questo quadro di lotta per i diritti da una parte, e per la conquista di un mercato in continua espansione dall’altra, lo sbarco del rider robot è l’esempio di come la ricerca e lo sviluppo in un contesto dominato dal dogma del profitto sia prevalentemente orientata alla diminuzione del costo del lavoro e all’eliminazione di ogni “attrito” alla remunerazione del capitale investito.
Questo è infatti il motivo ultimo che ha spinto i co-fondatori di Skype a iniziare il nuovo business. Ma un paradosso salta agli occhi: «speriamo che in futuro renda Milton Keynes un luogo di lavoro ancora più attraente» è la dichiarazione del chief-Uk della Starship. Ma attraente per chi?
Se fossimo nel migliore dei mondi possibili, l’utilizzo della robotica farebbe risparmiare ad ognuno di noi un’enorme quantità di tempo per la riproduzione sociale della specie e dell’ambiente circostante, lasciando ampio spazio alle attività ricreative e di godimento del progresso raggiunto.
Gli antichi greci lo chiamavano “ozio” ed era basato sul lavoro degli schiavi (esclusi dal privilegio di affrancarsi dal “negozio”, ossia dal mondo degli affari antitetico appunto all’ozio) atto a riprodurre il necessario affinché la classe degli aristocratici potesse prosperare.
Ebbene, la schiavitù in senso stretto in questo pezzo di mondo non esiste più, ma lo sfruttamento – e la disoccupazione – a cui gran parte della classe lavoratrice è ancora soggetta rimanda a quella divisione del lavoro funzionale al dominio dei pochi sulle spalle dei molti.
Il rider robot ispira in prima battuta di certo simpatia, ma sulla sua bandierina di circostanza è stampato uno slogan, invisibile, che in assenza di un’alternativa all’organizzazione sociale odierna, recita così: “se non puoi delocalizzarlo, robotizzalo”.
Purtroppo, per ora il dibattito oltremanica sembra invece concentrato su una questione ben più mondana: come divideremo il marciapiede quando i delivery robot impazzeranno per la città?
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa