E’ tornato il contafrottole. Di ritorno dall’America, quasi mettendo i piedi sulla scrivanie della spalla Fazio, ha ricominciato a promettere il contrario di quel che ha fatto. Soprattutto in materia di lavoro giovanile.
Non ci attaccheremo qui alla contestazione dei numeri (“600mila occupati in più”), buttati lì con la nonchalance di chi sa che tanto nessuno ci fa caso, visto che Inps e Istat spesso danno cifre diverse persino tra loro, che il mestiere ce l’hanno. Non ci metteremo nemmeno a cercare di interpretare frasi senza alcun senso (“"contesto la risposta grillina al problema. Garantire uno stipendio a tutti non risponde all'articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. I reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione", invece "serve un lavoro di cittadinanza"). Come hanno notato in molti, infatti, “il lavoro di cittadinanza” è uno slogan inventato da Berlusconi un paio di settimane fa. Poteva risparmiarsi i soldi del viaggio…
Noi qui vogliamo occuparci soltanto dell’immonda sceneggiata fatta sulle politiche di “promozione” del lavoro che, quando e se riconquisterà la poltrona di premier, vorrebbe mettere in campo. Bisogna decodificare un po’, perché la recita è stata persino eccessiva (battute, faccette, falsetti), ma ne viene fuori un’idea chiara di cosa sia il lavoro nella sua testa (più precisamente: in quella di chi l’ha scelto come attore a Palazzo Chigi).
"[Negli Usa ho fatto] Una opportuna chiacchierata con i principali esponenti della rivoluzione digitale. Rivoluzione in corso e che fa paura, perché si perderanno posti di lavoro. Non sono d'accordo con Veltroni: con la macchina a vapore c'era lo stesso atteggiamento. Il vero discrimine nella politica di oggi non è la preoccupazione per l'innovazione, ma come la politica risponde. Il grande messaggio, nel mondo, è trovare un paracadute per chi non ce la fa. Ma non il reddito di cittadinanza, con il papi-Stato che paga per tutti. Io invece dico provaci, ti do una mano, ti faccio fare corsi di formazione. Ma non la rassegnazione, dobbiamo dare stimoli. Poi qualcuno non ce la farà, ma non va bene l'atteggiamento che lo Stato provvederà a tutti".
A parte la retorica “energetica”, ci sono tre cose chiare:
a) no a qualsiasi forma di assistenza sociale (reddito di cittadinanza o assegni di disoccupazione per lunghi periodi, del resta già molto “accorciati”);
b) nessun interventi statale nella produzione, a qualsiasi livello; la creazione di nuovi posti di lavoro – polizie a parte – spetta “al mercato”, ossia alle imprese;
c) politiche attive tese promuovere l’autoimprenditorialità, “chi ha idee”.
Schema molto americano, non c’è dubbio. La domanda che vi chiediamo di fare a voi stessi è una sola: per chi può funzionare questo schema? E subito dopo: per quanti?
In pratica, Renzi risolve la questione del lavoro giovanile così: non state a casa ad aspettare che qualcuno ve lo offra, muovetevi. Anzi, inventatevelo. Facile a dirsi, a quanto pare un po’ difficile a farsi. Aprire una startup innovativa è cosa per pochi. Pochi persino rispetto a quanti riescono a conseguire una laurea in materie scientifiche. Per quei pochi, trovare un finanziamento dell’idea non è certamente facile, in Italia. E un ambiente più favorevole, persino un finanziamento statale, potrebbe tornare utile.
Vabbeh, ma risolti i problemi di raccolta fondi per qualche decina di startup, gli altri milioni di giovani a spasso come li aiutiamo? Con i “corsi di formazione” fatti da aziende private che guadagnano proprio facendo corsi di formazione che non ti insegnano niente? Oppure corsi regionali che ti preparano per mestieri che intanto scompaiono?
Datevi da fare, mettetevi in competizione tra di voi, qualcuno arriverà al traguardo del benessere o addirittura della ricchezza… Le nostre periferie metropolitane sono piene di ragazzi che si danno da fare. I più risoluti spacciano, qualcun altro rubacchia, qualcuno/a si prostituisce. Iniziativa privata, certamente… Difficile dire in tv che è questo il risultato della competizione, vero?
Sia chiaro: qui nessuno pensa che il reddito di cittadinanza sia la soluzione sistemica e strategica per le generazioni a venire. E’ una rivendicazione concreta in questo tempo di transizione, peraltro neanche troppo “destabilizzante” il sistema capitalistico (tanto che è stato proposto anche da diversi “imprenditori innovativi” della Silicon Valley, compreso – in qualche misura – il Bill Gates che propone di “tassare i robot”).
Ma non risolve il problema del futuro globale: la quantità di posti di lavoro “normali”, con l’automazione della produzione e di molti servizi, e persino dell’assistenza domestica, sta già ora drasticamente riducendosi (fenomeno aggravato, ma non “provocato”, dalla stagnazione). Crolla insomma la quantità di lavoro socialmente necessario per riprodurre e far sviluppare l’umanità. In regime capitalistico, dove bisogna per forza garantire la massima profittabilità per le imprese, questo implica che i pochi “fortunati” che trovano un lavoro debbono accettare orari più lunghi e “flessibili”, salari più bassi, diritti inesistenti. Mentre tutti gli altri debbono orientarsi verso l’arte di arrangiarsi e sopravvivere, se ce la fanno.
Se chi crea lavoro sono soltanto le imprese e i singoli, con lo Stato che guarda e garantisce soltanto il “rispetto delle regole”, il destino è segnato.
A meno che…
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Manlio Padovan
Molti anni fa, era l'ottobre del 1951, fui costretto ad iscrivermi ad un Istituto Tecnico Industriale Statale perché la politca per favorire i nuovi padroni aveva deciso, e lo decisero tutti sia a destra che al centro che a sinistra, di sostenere in ogni modo l'industria e in quel settore c'era praticamente, come in effetti fu, la possibilità di trovare una occupazione.
Il mio desiderio e la mia attitudine avrebbero richiesto la frequentazione di un Istituto Tecnico Agrario: cosa che era nelle intenzioni fino al giorno prima della iscrizione all'ITIS; furono affissi perfino manifesti in città (Padova) per propagandare le nuove sorti del paese; i centri di orientamento ( ce n'era uno in via Facciolati ) stabilivano per tutti che l'unica scuola per lavorare era un ITIS. Però poi, con tanto di diploma, eravamo assunti come operai alle Officine Galileo, un mio collega addirittura come manovale specializzato(!?) alla Italcementi; mentre i ragionieri, tutti, venivano assunti come impigati cat. IIIA.
Sappiamo tutti come fu trattata l'agricoltura nel nostro paese (basterebbe leggere la parole con le quali Vittorini pronunciò la sua condanna del mondo della campagna e della sue lingue in quella nota a pagina 112 "Notizia su Stefano D'arrigo" comparsa su Il menabò di letteratura numero 3 del 1960 in cui si pubblicava il racconto "I giorni della fera" che in seguito avrebbe dato come risultato quel capolavoro mancato che è ORCYNUS ORCA: questo per dare un riferimento scritto). Chissà se chi leggerà potrà capire! Perché bisogna immaginare le frustrazioni e a scuola e sul lavoro! Una vita perduta,porcamadonna!
Dovrei farla lunga per essere appieno capito; ma mi limito a far presente che la passione per l'agricoltura era in me così forte che, rottemi le palle dell'industria, prima di arrivare alla pensione feci proprio l'agricoltore e oggi con orgoglio leggo sul mio libretto di pensione che c'è scritto agricoltore. Sarebbe bastata una seria programmazione economica; ma a nessuno interessava, perché a tutti interessavano gli interessi dei nuovi padroni…dopo che s'erano comportati criminalmente nel nostro meridione! Perché erano sempre quelli.
Non sto cercando pietà; ma la politica saprà mai avere il rispetto che meritano le attitudini personali?
Scusate lo sfogo.