L’ultimo rapporto Censis Assogestioni sullo stato del risparmio in Italia, del quale potete leggere un resoconto dettagliato su MilanoFinanza, dice che il 43,7% degli italiani (si tratta sempre di analisi su campione – non dobbiamo dimenticarlo, come non dobbiamo dimenticare mai l’effetto performativo di questi dati) il 43,7% degli italiani comprerebbe titoli del nostro debito pubblico, mentre il 51,3% non li comprerebbe. Il 5%, invece, dice «Non so», «Non ho idea», «Non tengo tempo, ho la pentola sul fornello».
Le persone più propense ad acquistare i titoli di Stato si trovano nel Nord-Ovest (47,5%), si trovano tra le persone con reddito più alto (55,9%), tra i dirigenti e i quadri (59,3%). Si trovano, insomma, tra quelle persone che stanno meglio, che hanno più disponibilità economiche, che hanno meno preoccupazioni su come sbarcare il lunario, e che dunque sono meno soggette alle ansie quotidiane, più immuni a quei programmi ansiogeni che le TV commerciali, e a ruota quelle pubbliche, trasmettono a manetta da mattina a sera; quelle trasmissioni che fanno da sottofondo alla solitudine di molti anziani. Gli scettici si trovano in maggioranza tra gli operai (54,5%) e tra i residenti al sud (54%).
L’anno scorso mia suocera mi ha pregato di accompagnarla in banca. I suoi quattro Bot erano in scadenza e la banca l’aveva convocata più volte nella filiale. Le avevano consigliato di «sciogliere» i BOT, perché il conto titoli era in perdita.
Non vale la candela investire in titoli di Stato – le avevano detto. Ci sono molte alternative più redditizie, ci sono le polizze assicurative che garantiscono il capitale e un certo guadagno, eccetera.
Quando siamo andati in banca l’impiegata ci ha proposto dei titoli della Toyota denominati in dollari. Si tratta di un prodotto sicuro – ci ha detto. Si tratta di un investimento tagliato su misura proprio per voi. Abbiamo detto che non volevamo Assicurazioni, e che preferivamo i titoli di Stato, anziché le obbligazioni della Toyota.
Ho parlato io con l’impiegata. Si percepiva a pelle che ne sapeva a pacchi, e che era appena uscita da uno di quei brainstorming a resilienza spinta, con prossemica regolata, paratassi e asserzioni a raffica, con slide e proiettori a raggi laser, in cui ti insegnano a vendere debiti come fossero noccioline, e cose di questo genere.
Noi (io), per non fare brutta figura, abbiamo detto che la Toyota è sicuramente una grande e solida azienda, e che il dollaro è una moneta che regge il confronto con il Rublo e il Franco svizzero, ma che non volevamo fare la fine di quei vecchi passati dalle corse dei cavalli ai listini di borsa; che mettere i soldi nei Bot ci sollevava proprio da tutti questi patemi e incombenze; che siamo all’antica e che quando lo Stato fallirà, se fallirà, il nostro ultimo problema saranno i soldi piazzati sui Bot.
Non c’è stato verso di convincere l’impiegata. Titoli di Stato per noi non ce n’erano.
Dopo un consulto in famiglia abbiamo deciso di togliere i soldi dalla banca e di portarli alla Posta. A quel punto non volevamo più comprare i Bot, volevamo solo essere trattati con rispetto, e non da caproni pezzenti e ignoranti, quali in effetti siamo, sorpresi a cianciare su quattro miseri risparmi.
Questa vicenda (unica) di mia suocera non fa statistica, non è nemmeno esemplare, è solo la vicenda capitata ad una donna (una nonna di 80 anni) che passa parte del giorno con le nipoti, perché anche il pre- e post-scuola è diventato un lusso.
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