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Sempre più “Morti di fame” in Calabria

Negli anni Settanta e Ottanta Camigliatello era la Cortina dell’estremo Sud. Arrivavano turisti dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Campania – persino dalla Basilicata. Gli alberghi, distribuiti perlopiù sulla via centrale, erano appena sufficienti ad accogliere la marea di impiegati e di operai specializzati, di ragionieri e consulenti che, seppur tardivamente, volevano godere il lusso della vacanza invernale.

Il turismo aveva favorito un indotto alimentare fatto di salsicce al peperoncino piccante, soppressate, caciocavalli e sardella – il caviale di Cariati. I cosentini e i crotonesi erano di casa, agevolati dalla nuova superstrada che collegava i due importanti centri produttivi alla meta invernale. Li si riconosceva per l’atteggiamento squercione (spaccone) – sopratutto i cosentini, che consideravano la perla della Sila una diretta emanazione della loro eleganza interiore.

Noi della Sila Greca, che vivevamo ai margini della nuova realtà industriale (Crotone) o impiegatizia (Cosenza), frequentavamo Camigliatello nella stagione della semina e della raccolta delle patate, per un totale di 51 o 101 giorni (all’incirca), giorni sufficienti per ottenere 1) un’annualità contributiva inps, 2) il sussidio di disoccupazione, 3) la cassa malattia e 4) la maternità – il premio per il figlio, come impropriamente lo chiamavamo al paese. Premio che veniva ripagato abbondantemente con una emigrazione che non è mai cessata, soprattutto dalle mie parti.

Non si diventava ricchi, ma si tirava a campare, ci si costruiva una casetta, si mandavano i figli a studiare a Rossano Calabro. Soprattutto, ci si assicurava un’indipendenza economica per la vecchiaia.

Anche se i rimasti – i non emigrati – visti sotto la lente di chi era partito, apparivano come dei falliti, degli ignavi, arresisi ad un mondo al tramonto – «Ma qui non avete la Rinascente?», chiedeva con sprezzo mia zia, emigrata a Sesto San Giovanni».

Negli anni Novanta quel mondo di lavoro che sorreggeva l’economia di Camigliatello venne azzerato: il polo industriale di Crotone smantellato e mai ristrutturato, idem per il polo industriale di Taranto. Anche gli emigranti non mandavano più rimesse. Le loro paghe erano diventate così piccole da bastare appena per una decente vita metropolitana.

Nel 2011 Monti diede un giro di vite a quel compromesso raggiunto dalla Democrazia Cristiana, e che consentiva a molta gente, soprattutto donne, di avere un reddito minimo garantito, a fronte di un numero esiguo di giornate lavorative.

Non era il migliore dei mondi possibili. E strideva vedere uscire di casa alla stessa ora i forestali, che piantavano uno o due pini al giorno, quando andava bene, e i manovali, che costruivano le case agli emigranti, lavorando in nero, da mattina a sera, senza contributi, senza malattia, senza pensione, senza sindacato, senza alcun diritto.

Una mattina un ragazzo cadde da un’impalcatura e morì. Ricordo la madre accorsa di fretta e svenuta per il dolore, ricordo i miei vicini di casa, increduli – avevo 5 anni.

Eppure, quel mondo, con tutte le sue storture e i suoi difetti, difetti e storture che non abbiamo mai smesso di denunciare e combattere, oggi, dalla disgrazia in cui Camigliatello è piombato, si presenta al ricordo con il colore seppia della Picundria – della nostalgia.

Abbiamo grattato il fondo del barile. Abbiamo seguito alla lettera i consigli delle migliori menti passate da Chicago. A raccogliere le patate e le olive non ci sono più le genti autoctone, o, quando ci sono, sono a fianco di oriundi di mezzo mondo, pagati sull’unghia, a pareggio di bilancia tra domanda e offerta – pagati un euro, due euro, tre euro, quando va bene. E Crotone è ultima in quasi tutte le classifiche delle provincie italiane.

Non ci sono più turisti a Camigliatello. Il grande albergo di Croce di Magara, costruito vicino al bosco di pini giganti, cade a pezzi. Il caseificio è abbandonato e diroccato. È tutto in rovina – da anni. Pure la bellissima superstrada dei due mari è chiusa per lavori, impedendo ai cosentini di salire in montagna a ricordare i bei tempi andati, quando sciare sulle piste di Monte scuro e Botte Donato dava un senso di agiatezza.

Quando il mondo che ti circonda viene distrutto – lo dico a tutti quelli che si oppongono a che il Sud imbocchi la nuova Via della Seta – la ricchezza che credevi di avere se ne va con esso.

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