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Abbandonare la Palestina equivale a rinunciare al diritto di resistenza contro ogni colonizzazione illegale?

Non dimentichiamo che il popolo palestinese è stato occupato e colonizzato illegalmente per oltre 75 anni, in totale violazione del diritto internazionale, del diritto umanitario internazionale e dei principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite.

Ad ogni bombardamento di Gaza, ad ogni attacco dei coloni, ad ogni imprigionamento amministrativo senza processo, voci si levano per denunciare queste violazioni, ma rapidamente un silenzio assordante le copre.

Ci siamo forse abituati a questa occupazione lunga e illegale di un popolo che ha già vissuto una Nakba, dopo la decisione dell’ONU di stabilire lo Stato di Israele appena nato sulle terre del popolo palestinese, una Nakba che ha suscitato così poco interesse in Occidente?

E cosa diremo di quella che si prospetta e che è stata chiamata così da un membro della Knesset, “In questo momento, abbiamo un obiettivo: Nakba! Una Nakba che eclisserà quella del 1948” (Ariel Kallner, membro della Knesset, Twitter (7 ottobre 2023)”?

Non ci siamo forse abituati anche alle morti nello Yemen, nella Repubblica Democratica del Congo, in Afghanistan, nel Sahara occidentale e in molti altri paesi in lotta per i loro diritti?

La colpa europea, che risale al fatto che durante la seconda guerra mondiale bianchi hanno ucciso altri bianchi, non ha mai smesso di accecare eticamente, moralmente, intellettualmente e politicamente gran parte del mondo bianco, compresi gli schieramenti di sinistra.

Difendere i diritti inalienabili del popolo palestinese non è antisemitismo: l’uso di questo termine attualmente nasconde molte altre idee razziste.

Nel loro appello a manifestare “per la Repubblica e contro l’antisemitismo“, il presidente del Senato e quello dell’Assemblea nazionale hanno specificato chiaramente: “La nostra laicità deve essere protetta, è un baluardo contro l’islamismo“.

Alea jacta est: le parole hanno un significato. Anche questa marcia, ancora una volta, è stata un pretesto per denunciare l’Islam e più in generale i musulmani che vivono in Francia, come se fosse ormai accettato una volta per tutte che non amano gli “ebrei”.

Dimenticano chi ha denunciato i francesi o i rifugiati di religione ebraica in Francia? Chi ha chiesto l’onore e la testa del Capitano Dreyfus? Chi disegnava caricature di Pierre Mendes France e quale giornale le pubblicava?

Una memoria troppo breve per essere onesta. Peggio ancora, questa memoria disonesta oscura il vero motivo dell’odio antisemita che ha portato al genocidio degli europei di religione ebraica: la difesa della supremazia bianca e della civiltà occidentale, quella stessa che oggi si identifica con lo Stato di Israele.

La Francia, cercando di redimersi moralmente, trova un nuovo colpevole, con la speranza che passi meglio visto che molti musulmani sono arrivati ​​dall’epoca dei “trenta gloriosi“. Un cinismo spaventoso ma un razzismo puro.

Il nostro paese è un paese con un’ideologia razzista e razzializzante. A seguito di questo appello irresponsabile, dovremmo preoccuparci per i nostri fratelli e sorelle di religione musulmana o identificati come tali, per i nostri fratelli e sorelle neri? Certamente.

Saremo pronti, perché oltre a noi chi li difenderà? Chi tiene conto del numero di aggressioni verbali islamofobe o negrofobe e di quella vissuta da un’amica, Louiza, nella metropolitana, il giorno della manifestazione contro l’antisemitismo, dove due giovani donne bionde le hanno lanciato un tagliente “torna da dove vieni!“?

Non sarebbe sufficiente porre fine all’antisemitismo rivendicando contemporaneamente la fine del razzismo anti-ebraico e l’applicazione piena e completa di tutti i diritti riguardanti la Palestina consacrati dalle istituzioni dell’ONU, compresa la Corte penale internazionale che ha ammesso, nel febbraio 2021, lo status di Stato per la Palestina, conferendole piena competenza sulla Cisgiordania, la Striscia di Gaza, compresa Gerusalemme Est?

Lo Stato di Israele è uno stato criminale che sta commettendo in questo momento, sotto i nostri occhi, un genocidio. Dico “genocidio” perché questa azione, anche se risponde a un attacco, è pianificata – il primo ministro e il portavoce dell’esercito israeliano hanno affermato che bisogna andare fino in fondo – è sistematica (radere al suolo il territorio di Gaza in modo massiccio affinché i palestinesi abbandonino le loro terre, le immagini parlano da sole) ed è sproporzionata (basta guardare il paesaggio lacerato, sventrato di Jabalya, Gaza City, Khan Younis, i campi agricoli arati dagli obici e dai carri armati, ascoltare il canto funebre del numero di morti, feriti in così pochi giorni).

Questa azione è compiuta nei confronti di un popolo per la sua cultura, la sua storia e la sua religione. E ciò di fronte a coloro che governano e decidono del futuro dei popoli, ma che, rifiutandosi di nominare esattamente ciò che sta accadendo, si rendono complici di atti criminali.

Questo ha un significato sul piano del diritto internazionale e delle norme di jus cogens.

Non c’è dubbio, da decenni i rapporti sono numerosi testimoniando che lo Stato di Israele uccide, tortura, imprigiona un popolo che lotta per il suo diritto all’autodeterminazione e alla sovranità politica.

A questi crimini di guerra dobbiamo aggiungere, dal bombardamento della Striscia di Gaza, quello del genocidio. Il termine “genocidio” è appropriato, nonostante coloro che definiscono questo genocidio un’azione legittima con il pretesto che questo Stato ha il diritto di difendersi!

Tutti coloro che ci guidano e sembrano sapere così bene cosa è bene per i popoli, specialmente per quelli che lottano per il loro diritto all’autodeterminazione e alla sovranità politica, avrebbero forse dimenticato il significato degli articoli 2§4 e 51 della Carta delle Nazioni Unite e del loro argomento? Dovremmo ricordarlo loro?

Così i coloni israeliani, che hanno dovuto abbandonare terre che non appartenevano loro, potranno tornarvi da vincitori.

Questo genocidio è compiuto nei confronti di un popolo diventato ‘terrorista’ secondo i termini assunti da coloro che decidono chi deve essere punito per la minaccia immaginaria del “conflitto delle civiltà” che rappresenta. E ciò è diventato sistematico dal 11 settembre 2001.

Coloro che predicano “la legge e l’ordine” ma anche un nuovo ordine mondiale sotto il segno del liberalismo si sono gettati in questa breccia sperando così di avere le mani libere per ripetere ciò che i loro antenati avevano realizzato schiavizzando gran parte del continente africano, rubando terre che non appartenevano loro e eliminando, attraverso il genocidio, le popolazioni che vivevano su quelle terre; ciò ha poi permesso una colonizzazione sistematica di molte popolazioni e paesi.

Così come gli stati schiavisti e i coloni si consideravano intoccabili con il Codice nero in tasca, allo stesso modo lo Stato di Israele si considera, a sua volta, intoccabile grazie allo slogan di “la legge e l’ordine” di cui si avvale il suo protettore nordamericano sostenuto dai suoi seguaci dell’Unione Europea.

Oggi è “la legge e l’ordine“, vale a dire armi e violazioni, a parlare per primo; una volta che tutto è distrutto, le negoziazioni possono iniziare, senza alcun fondamento legale e al di fuori di qualsiasi quadro.

E ci diranno che la democrazia è stata salvata! Quale cinismo e quale disprezzo per i popoli in lotta, per i loro diritti alla dignità! E quale decadenza per l’umanità che aspira all’Umanità.

Per ora, dobbiamo accontentarci di un’umanità disumana.

È più che urgente non lasciare che l’energia della resistenza venga assorbita da discorsi costruiti su approssimativi bugie istituzionali.

Questi metodi sono utilizzati da coloro che hanno capito di trovarsi su una pendenza discendente e che la loro unica opzione, per continuare a dominare, è dividere, reprimere, ridurre la libertà di espressione, addirittura imprigionare se necessario, affinché cessino gli sforzi della resistenza e della solidarietà politica internazionale.

Il popolo palestinese sta combattendo, resistendo per la sua vita, per i suoi diritti, tra cui il diritto al ritorno. Possiamo accontentarci della deplorevole posizione delle forze governative e dei partiti di destra francesi? Certamente no.

Al genocidio visibile si aggiunge una carestia organizzata dallo stato di occupazione. I palestinesi sono accerchiati da una morte certa se la comunità internazionale non si sveglia molto rapidamente!

Bisogna fare più pressione che mai su questo stato criminale per un cessate il fuoco che non sia dato come una elemosina. Il diritto a una vita dignitosa è un diritto fondamentale. Attentare alla vita, decidere della vita o della morte dei palestinesi è un crimine di guerra.

In parallelo a questo cessate il fuoco, la comunità internazionale deve consentire al procuratore della Corte Penale Internazionale di avviare indagini affinché i criminali siano giudicati. Non dimentichiamo che lo Stato di Palestina ha ottenuto lo status di Stato riconosciuto dalla CPI nel febbraio 2021.

Si può girare la questione in tutti i modi; si può essere amici di Israele o antisionisti – per coloro che assimilano antisionismo e antisemitismo, ricordiamo che per il primo si tratta di un’ideologia politica e per il secondo di una delle espressioni del razzismo – tuttavia la Palestina sta lottando per la sua dignità e per il futuro del mondo che, senza di essa, si sta dirigendo verso l’incertezza del futuro, o con essa verso un mondo in cui la regolamentazione dei rapporti di forza avrebbe un senso a condizione che avvenga una riforma sostanziale dell’ONU alla quale dovrebbe essere aggiunto l’abbandono di istituzioni come l’OMC, il FMI o la Banca mondiale…

Dobbiamo evitare di pensare al mondo senza la Palestina, sarebbe un segno molto negativo per i popoli che dipendono dagli aiuti allo sviluppo o dai prestiti concessi dal FMI o dalla Banca mondiale; potrebbero trovarsi alla mercé del loro vicino avido di ciò che possiedono, delle loro risorse naturali e dei loro vantaggi climatici.

In questo contesto, cosa accadrà allo Stato di Haiti, per il quale alcuni stati, tra cui gli Stati Uniti, la Francia, il Canada, ma anche altri come quelli della Caricom tra cui Barbados, Belize, hanno attivamente sostenuto l’intervento armato, sotto la responsabilità del Kenya e sotto l’egida dell’ONU, che ha preferito, ipocritamente, delegare le proprie responsabilità a uno Stato terzo?

Mettere in discussione i principi fondamentali che, da un lato, hanno prevalso alla creazione delle Nazioni Unite e, dall’altro, sono stati rafforzati dalle aspirazioni dei popoli alla conferenza di Bandung, significherebbe garantire il ritorno a un futuro molto incerto: l’instaurazione della legge del più forte e l’impunità istituzionalizzata.

Non è forse questo che ha prevalso con il trasporto transatlantico forzato, la schiavitù e l’uso della razza come mezzo per gerarchizzare l’umanità?

Dopo l’abbandono della Palestina e la rioccupazione di Haiti da parte di un esercito straniero, quale sarà il prossimo passo verso l’ignominia e l’irrazionalità?

 * Fondazione Frantz Fanon

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