L’Occidente neoliberista, diciamo spesso, è avviato su una china da cui non sembra in condizioni di riprendersi.
Non è difficile individuare la “colpa” di questa corsa verso il baratro. Se vogliamo dirla in termini marxiani, è una manifestazione della “caduta tendenziale del saggio del profitto”. Se vogliamo dirla in termini terra terra, si tratta dell’ormai incontrastata prevalenza della finanza sull’economia reale, ossia del “denaro creato col denaro”, senza passare più di tanto per la produzione.
Non dappertutto funziona in questo modo. Per esempio la Cina – oltre ad aver reagito in modo certamente più efficace e rapido alla pandemia – ha fatto quasi l’esatto opposto, investendo al massimo nello sviluppo del mercato interno tramite investimenti e aumenti salariali. Se non crei un “consumatore solvibile”, con un po’ di soldi in tasca, poi non puoi lamentarti che i consumi siano fermi o in calo…
L’Europa “tedesca”, bloccata dal neo-mercantilismo di Berlino, ha seguito per tre decenni la strada senza uscita dell’”austerità” e della deflazione salariale per rendere più “competitive” le esportazioni, e ora non ha strumenti efficaci per contrastare la crisi economica.
La cosa “curiosa” è che in realtà le scelte operate dalle banche centrali (Usa, Ue e Giappone), che influiscono sull’andamento delle monete, sono molto simili e tendenti ad aggravare – rinviando – la situazione, anziché risolverla.
Tutte, infatti, hanno messo in atto solo massicci quantitative easing tramite acquisto di titoli di Stato della propria aerea, in competizione reciproca. Nella speranza che evitando il crollo del sistema finanziario qualcosa potesse “sgocciolare” fino al sistema produttivo. Ma con il risultato, invece, di deprimere anche l’afflusso di capitali, perché gli interessi offerti sono ridicoli o addirittura negativi.
Anche qui la Cina ha fatto quasi l’opposto. E anche i risultati – investimenti di capitali esteri nel debito pubblico di Pechino – lo sono.
Se si segue una logica di sviluppo coerente sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda (consumi e salari), anche senza gridare al miracolo o al comunismo realizzato, la differenza si vede, si sente, si tocca.
Un’analisi più tecnica e precisa, come spesso accade, è fornita da Guido Salerno Aletta, in un editoriale per TeleBorsa.
Buona lettura.
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Uno Yuan debole, che però rende tanto
Svalutato per esportare meglio, attira i capitali stranieri con alti tassi di interesse
Guido Salerno Aletta
Il mondo delle monete è bello perché è vario.
La Fed, la BCE e la BoJ, per contrastare gli effetti recessivi della epidemia di Covid-19, immettono liquidità a manetta sui mercati finanziari comprando rispettivamente titoli di Stato del Tesoro americano, emessi dai Paesi aderenti all’euro e dal Tesoro nipponico.
Mentre proclamano ufficialmente l’obiettivo di evitare la deflazione dei prezzi al consumo, ottengono il risultato concreto di deprimere i tassi di interesse sui debiti pubblici, che sono in territorio negativo sulle emissioni decennali: i rendimenti delle obbligazioni statunitensi, giapponesi e tedesche sono rispettivamente dello 0,597%, 0,023% e -0,515%.
Comprando titoli di Stato, considerati “safe asset” dal mercato, creano una concorrenza tra gli investitori che si accontentano di tassi risibili pur di tenere i propri capitali al sicuro. Ne beneficiano i conti pubblici, portati in deficit per sostenere l’economia in recessione, poiché si finanziano a tassi estremamente convenienti. Nel caso dei tassi negativi pagati sui Bund a 10 anni, gli investitori pagano per essere creditori dello Stato tedesco: si accontentano di rimetterci sul capitale, piuttosto che rischiare con altri asset.
Un’altra conseguenza di questa immissione continua di liquidità è la disponibilità di risorse a costi irrisori per coloro che vogliono effettuare acquisti in Borsa: nonostante i pessimi risultati dell’economia reale e le prospettive non tranquillizzanti, i corsi azionari sono rimasti pressoché invariati. Il mondo della finanza non può che ringraziare le Banche centrali di Usa, Eurozona e Giappone.
L’articolo completo a questo indirizzo: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2020/08/03/uno-yuan-debole-che-pero-rende-tanto-1.html?p=4#.XylqbRnOM5l
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