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Un trattato scaccia l’altro, se non sei nella “gabbia”

Uno dei difetti principali della “politica” in Italia è la visione ristretta all’orto di casa. Una marea di soggetti, specie quelli di “sinistra radicale”, non va con l’analisi al di là dei confini nazionali, preferendo spesso quelli comunali.

Come sa ogni montanaro, non puoi stabilire in che direzione andare se non hai una precisa cognizione del territorio che devi attraversare, della praticabilità o meno di certi percorsi, dell’esistenza o meno di sentieri, corsi d’aqua, ecc. Anche se non li vedi dal tuo punto di osservazione e se ancora non ci sei arrivato.

Insomma: per far politica bisogna per forza di cose avere uno sguardo ampio, che tiene – sì – il paese in cui vivi e operi “al centro” dell’attenzione, ma considera anche “il contesto” e le specifiche relazioni che lì si stabiliscono.

Prendiamo questa notizia snobbata dai media mainstream: il ministro al commercio estero britannico, Liz Truss , ha espresso la volontà di far entrare il regno unito nel grande blocco di libero commercio denominato TPP, Trans Pacific Partnership e recentemente evoluto in CPTPP, Comprehensive and Progressive Agreement for Trans Pacific Partnership.

Si tratta di un blocco che comprende paesi dell’aerea del Pacifico, dall’Australia, al Canada, al Vietnam, a Singapore, al Messico, alla Nuova Zelanda e che presto dovrebbe allargarsi ad altri paesi, ed il cui interscambio è pari a 10 mila miliardi di euro.

Perché ci dovrebbe interessare? Per un buon motivo: nel mondo stanno cambiando, in questi anni, parecchi equilibri che sembravano eterni. Quelli nuovi vengono “consolidati” in trattati, quasi sempre unicamente economici.

Tra le “novità” più rilevanti abbiamo segnalato per tempo il Rcep, diventato il più importante trattato commerciale del mondo per dimensioni di Pil (un terzo del totale) e per paesi coinvolti (c’è la Cina, non gli Usa, e riguarda comunque il Pacifico).

Il CPTPP cui aderisce ora Londra è una sorta di “risposta occidentale” a quello disegnato intorno alla Cina, ed è interessante notare che coinvolge alcuni degli stessi paesi (Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Nuova Zelanda, Australia) che partecipano anche al Rcep. Ma la sua composizione è anche la dimostrazione che i trattati commerciali sono assai meno vincolanti di quelli politico-economici (se ne possono firmare diversi, per ogni paese).

Per la Gran Bretagna è un passaggio necessario dopo la Brexit. E proprio l’uscita dall’Unione Europea – per quanto “laterale” e borbottosa fosse la partecipazione britannica – ha reso possibile questa adesione. Tra le altre cose (su tutte i vincoli alle politiche di bilancio, che inchiodano tutti gli Stati a politiche di austerità, qualunque sia il ciclo economico da affrontare), l’Unione Europea impedisce infatti ai singoli stati di concludere accordi commerciali esterni, essendo questa materia esclusiva di Bruxelles.

Se si mettono insieme già questi due elementi (politiche di bilancio bloccate e impossibilità di accordi strategici extra-Ue) si comincia a percepire cosa sia “la gabbia” disegnata a Bruxelles. Quella che ha macinato in questi anni anche le due forze sedicenti “euroscettiche” che avevano trionfato alle lezioni del 2018 (M5S e Lega).

Di nuovo qualcuno, ingenuamente, potrebbe chiedere: e a noi che ce ne importa? Beh, noi consigliamo di ricordarvi sempre della Grecia del 2015, guidata da un governo di sinistra, con un premier che veniva dal movimento no global, che stava a Genova nel 2001, e con un ministro dell’economia scelto tra le menti più fini del “pensiero economico non ortodosso” (ossia non neoliberista).

Quel governo, che tanto aveva fatto sperare, rimase inchiodato dentro la gabbia anche perché non aveva alcuna possibilità di fare accordi alternativi con altri paesi o gruppi di paesi. Strozzato dalla Troika e senza via di fuga…

Siete ancora sicuri che il mondo intorno a voi non sia importante per la politichetta di casa nostra?

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