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Il lato cattivo nascosto nelle buone parole. Sul salario minimo la CGIA sbaglia

Le elaborazioni della CGIA di Mestre (Confederazione degli Artigiani), ottengono da sempre una larga pubblicità. Talvolta meritata, altre volte meno. Sul salario minimo, destinato finalmente ad entrare e dirimere l’agenda politica, la confederazione degli artigiani di Mestre, come direbbe Mao Tse Tung, dice alcune cose giuste e una sbagliata: quella fondamentale.

Secondo la Cgia il problema delle basse e bassissime retribuzioni in molti settori del mercato del lavoro, è dovuta al fatto che dei 985 contratti di lavoro presenti in Italia, circa il 40% circa è sottoscritto da sigle sindacali “fantasma” che non rappresentano nessuno, ma diventano il refugium peccatorum per molti imprenditori spregiudicati che riescono ad “aggirare” i Ccnl sottoscritti dalle sigle sindacali più rappresentative.

E fin qui si dice una cosa vera (ad esempio nel verminaio dei servizi alle imprese e simili) e una cosa sbagliata. La rappresentanza di un sindacato infatti andrebbe misurata sulla sua rappresentatività tra i lavoratori dell’azienda e non su quella imposta dall’alto dal monopolio della rappresentanza da parte di CgilCislUil.

Secondo la Cgia questa è “Una pratica sempre più diffusa che consente a tanti titolari d’azienda di applicare contratti con paghe orarie da fame, spesso senza riconoscere nessuna voce aggiuntiva alla retribuzione, riducendo ai minimi termini l’indennità di malattia, il monte ore permessi e l’accesso alla formazione professionale”. E’ avvenuto ad esempio in alcune aziende dei rider o della logistica o, ancora, nel verminaio delle ditte di pulizie.

La Cgia dice ancora una cosa sbagliata nelle pieghe di una richiesta sentita molte volte: “il problema di basse retribuzioni nette in Italia resta. Per renderle più consistenti siamo convinti che non sia sufficiente normare solo la rappresentanza sindacale: bisogna tagliare anche le tasse e i contributi. Una operazione che è iniziata con il Governo Renzi ed è proseguita, in modo del tutto insufficiente, con gli esecutivi Gentiloni e Conte 1”, dice ancora la Cgia che ribadisce come “quel salario minimo che la politica vorrebbe fissare a 9 euro esista già”.

Sarebbe interessante sapere a chi tagliare tasse e contributi, se cioè ancora una volta alle aziende o ai loro dipendenti. Fino ad oggi – ed oggi ancor di più visto il taglio dell’Irap alle imprese annunciato da Draghi all’assemblea di Confindustria – i tagli ci sono stati solo sul versante delle imprese.

E poi la CGIA si arrampica sugli specchi per giungere ad una conclusione iperbolica: “Le buste paga attuali già prevedono di fatto una retribuzione di 9 euro lorde all’ora. Se oltre alla liquidazione o al Tfr aggiungiamo anche le quote retributive riconducibili ai contratti integrativi regionali e/o aziendali, al welfare aziendale e alle altre indennità non incluse nelle tabelle retributive dei rispettivi contratti di riferimento il minimo salariale è ben sopra i 9 euro lordi all’ora, anche nell’artigianato”.

Ora, chiunque abbia maneggiato un minimo la materia sa che le retribuzioni di moltissime lavoratrici e lavoratori è scesa a 5-6 euro l’ora e molto spesso contrattualizzate. In alcuni casi (agricoltura e servizi) si scende ancora più giù cioè a 3/3,5 euro l’ora.

Il ragionamento della CGIA si avvicinerebbe alla verità se lo si affronta in termini di salario sociale (cioè diretto, indiretto e differito), cosa che metterebbe le questioni su un piano completamente diverso – e più veritiero – ma che svelerebbe come negli anni il salario sociale di tutte le lavoratrici e i lavoratori dipendenti abbia subito dei tagli feroci e profondi. Una politica avallata da tutti i governi dal 1992 in poi e tuttora perseguita con le controriforme pensionistiche, fiscali e l’abrogazione della scala mobile sui salari nel 1993.

Infine, ma non per importanza, la CGIA cade su una buccia di banana parlando dei pericoli “dell’effetto di trascinamento” se venisse il salario minimo per legge.

“Chi ritiene sia necessario introdurre per legge il salario minimo non tiene conto anche dell’effetto trascinamento che questa misura comporterebbe. Se, infatti, si ritoccasse all’insù la retribuzione prevista dai Ccnl per i livelli più bassi, portandola a 9 euro lordi, la medesima operazione dovrebbe essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Diversamente, molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale con i colleghi assunti con livelli inferiori, pur svolgendo mansioni superiori a questi ultimi”, afferma il rapporto della CGIA.

E qui casca l’asino, o meglio si rivela la natura “prenditoriale” di una  organizzazione come la CGIA di Mestre. Infatti l’introduzione per legge del salario minimo metterebbe un “pavimento insuperabile” (più che un tetto) alle basse e bassissime retribuzioni dei lavoratori, sottraendola appunta alla contrattazione aziendale taroccata e quella nazionale diventata complice.

E se in basso c’è un limite invalicabile, i salari ricomincerebbero a dover salire verso l’alto, non certo per l’invidia di chi vedrebbe i colleghi ai livelli più bassi retribuiti più dignitosamente, ma perché il lavoro si paga.

E allora se tutti i giorni i bollettini ci parlano di boom delle esportazioni e della produzione manifatturiera italiana, è conseguenza che chi questo boom lo sta creando materialmente (spesso in totale assenza di investimenti), venga retribuito di più e dignitosamente.

 

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1 Commento


  • giorgino

    Ragionando circa l’effetto pavimento che rincula verso l’alto le categorie lavorative soprastanti, e non se ne puo dubitare , in quanto la CGIA di Mestre teme che il minimo salariale spinga verso l’alto le retribuzioni delle fascie piu qualificate, allora la CGIL ostile al minimo salariale ( o bramosa di contrattarlo come ogni altro contratto) è davvero un potere dello stato borghese, come la magistratura, l’esecutivo etc

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