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Neil Young è uscito dal Racket dello Streaming

Neil Young è uscito da Spotify. «O lui o me; o il mio catalogo Rock & Roll Hall of Fame o il podcast sconclusionato di disinformazione di Joe Rogan». Alla fine Neil Young è uscito dal Racket.

Spotify non è un’azienda musicale – ha scritto il cantautore Damon Krukowski sul suo blog «Dada Drummer Almanach». Spotify non apprezza la musica – scrive.

Questo è ciò che il gesto di Neil Young ha chiarito a molte persone, e a molte di più questa settimana. Il successo finanziario di Spotify dipende dalla percezione della musica come priva di valore.

L’Azienda svedese usa il modello dell’Arbitrage Pricing e sfrutta il Capital Asset pricing Model (CAPM), ma il risultato finale è ottenere un prodotto a costo zero da rivendere per fare profitti.

Se questo non è sfruttamento, cos’è lo sfruttamento?

Spotify, scrive Krukowski, “sminuisce continuamente il valore della musica. La offre gratuitamente sulla sua piattaforma. Ci dicono che siamo fortunati ad essere pagati. Insistono sul fatto che senza il loro servizio ci sarebbe solo pirateria e reddito zero. Si tratta di una bugia. Si tratta di disinformazione. Neil Young lo sa bene. Non ha dubbi sul valore della sua musica al di fuori di Spotify“.

Ma qual è il valore della musica?

La cosa più significativa, scrive infine Krukowski, è che Spotify non investe nulla nella musica. A differenza di un’etichetta discografica, di un editore o della maggior parte di chiunque altro nell’industria musicale, Spotify non dedica nemmeno un dollaro dei suoi profitti allo sviluppo di nuove registrazioni.

Ci sono molti modi per realizzare il valore della musica oggi“, dice. “Ci sono mezzi fisici, ci sono download a pagamento, ci sono altri servizi di streaming che pagano il doppio o il triplo delle royalties offerte da Spotify“.

Insomma, vuol dire Krukowski, là fuori c’è un mercato libero, basta aprire gli occhi. Basta uscire da Spotify per rendersene conto.

Il fatto è che Spotify è nata proprio in quanto il mercato discografico tradizionale era stato enormemente trasformato dalle nuove tecnologie di produzione e distribuzione della musica. Non c’è nessuno status quo ante da ripristinare.

Spotify è nel mercato, fa parte del mercato – è il mercato. L’idea di un mercato in cui ognuno riceva il giusto compenso è un mito. Il mercato è un piano empirico di strutture microfisiche.

Quando Neil Young esce da Spotify, non esce dal mercato. Si sposta da un segmento dove ha meno forza contrattuale in uno dove la sua forza è maggiore. Nel complesso, il mercato è costituito da un insieme di transazioni a somma zero – il bilancio, di diritto, è sempre in pareggio. Ciò che uno incassa, un altro scuce.

Da questo punto di vista, l’operazione «Neil Young» è di una ipocrisia stratosferica. In più, offre una legittimità postuma (dunque non necessaria) al vecchio sistema della distribuzione musicale (il cosiddetto sistema delle Major) basato sugli stessi criteri di mercatismo su cui si basa Spotify.

Da fisiocrate consumato mi piacerebbe pensare che il valore viene da chi semina ciclicamente – dalla terra – e che tutto il resto è rendita; che tutto il resto è una cresta (finanza) sul lavoro di chi – tutti i santi giorni – si dà da fare nella produzione.

Mi piacerebbe pensare che il reddito si divida tra Profitto, Salario e Rendita, e che Spotify, insieme agli scrocconi federati alla piattaforma, si collochi sul versante della Rendita. Mi piacerebbe pensare così, e niente contraddice questa convinzione, se non la massa di alcuni milioni di lavoratori che seminano arte e raccolgono fuffa.

E ciò non è dovuto al loro scarso appeal sul mercato (zero valore di scambio), come vogliono far credere i microfisici, e nemmeno all’assenza di talento (zero valore d’uso), ma ad un canone, fatto da un 1/3 di vitalismo creazionista d’accatto, un 1/3 di romanticismo nicciano e 1/3 di empirismo liberista, che negli ultimi 70 anni ha puntellato un sistema della rendita musicale in cui la musica più gettonata è anche la musica che ha valore – dove valore = creazione = volontà di potenza.

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7 Commenti


  • Donatik

    Al di là di tutte le condivisibili riflessioni contenute nell’articolo mi sembra che l’elemento rilevante, nella decisione di Neil Young, sia il fatto che Spotify abbia dato risalto alle posizioni novax di Rogan con cui Sotify ha stipulato un accordo quinquennale da oltre cento milioni di dollari. Posizioni apertamente osteggiate da Neil Young e di cui non c traccia nellarticolo di cui sopra

    https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/musica/2022/01/27/neil-young-fuori-da-spotify-dopo-polemica-con-no-vax_822e5fc7-c179-4b90-8b7c-6e0695f0201e.html


  • Sutter kaine

    Non ci cascate, sono miliardari capitalisti falsi e ipocriti. Tutta la generazione degli anni 60 è così. Ideali falsificati contrapposti a grandi insegnamenti. Sono sempre loro e neil nn è un lottatore, e una persona che ha paura di perdere la sua millesima piscina. Spotify è bello e all’avanguardia e da possibilità infinite. Semplicemente l ascoltatore nn deve togliersi un rene per comprare un disco. Il copyright è tristezza e il mercato vecchio erra solo un’altro braccio del capitalismo più cruento.


    • Redazione Contropiano

      Due affermazioni insopportabili nello stesso commento: ” Tutta la generazione degli anni 60 è così” è semplicemente falso (ci sono le classi sociali e le storie individuali di migliaia di persone); “Spotify è bello e all’avanguardia e da possibilità infinite”, dopo quello che viene detto nell’articolo (non investe neanche un dollaro in musica) è il segno della subordinazione mentale al grande capitale.


  • WarezSan

    Quante supercazzole ho letto e quanti “concetti” supportati dal nulla.
    Young è solo un altro trombone come tanti, ormai inutile nell’universo digitale del 2022 in cui tutto è riproducibile.
    L’autoreferenzialità dell’autore è quasi più insopportabile della sua ampollosità.


    • Redazione Contropiano

      Anche la tua supera qualsiasi livello di sopportazione…


  • Antonio

    I commenti di questo articolo sono l’amara verità del nostro tempo.
    Espressioni di menti votate al superficiale ed al vuoto di senso.
    Vi immaginate un quadro di Leonardo veduto in un vicolo per 10euro?
    Roba di secoli fa. Una crosta che va bene per il fuoco.
    No è?
    Piero Manzoni ha cagato in un centinaio di scatolette che si vendono a 70,000euro cadauna.
    E non volete spendere 10euro per un album?
    Volete la roba gratis? E tanto vale la musica oggi. Niente. Salvo eccezioni e talenti da scovare.
    Il popolo di Amazon, azienda che fattura quanto una nazione e non paga un cazzo di tasse. I fautori di un mondo economico, povero e terrorizzato.
    L’inverno è arrivato.
    L’articolo è bello e scritto con sapere ed anche un po’ di emotività idealistica, che condivido.
    Inoltre è evidente e lodevole lo sforzo di non voler toccare il nervo scoperto dei dementi che litigano per i vaccini.


  • Zuma67

    “Spotify …è il segno della subordinazione mentale al grande capitale.” [Cit.]
    Credo che questa sia la chiave di lettura di tutto. Le considerazioni da fare quindi devono partire da qui.
    Non lo scopriamo adesso che il mondo specie nella fase di globalizzazione è (praticamente) solo mercato e le leggi del mercato sono stringenti, asfissianti, sono spesso ingiuste e incomprensibili ma riflettono quello che siamo, tracciano la direzione, formano in qualche modo il pensiero (che lo riteniamo giusto oppure no!).
    Questo è degenerante e degradante quando prendiamo in considerazione qualsiasi “prodotto”.
    Quando il “prodotto” coincide con una creazione dell’intelletto o è quello che si definisce arte, il problema si ingigantisce ulteriormente, per tanti motivi ma forse perchè non essendo “fisico”, quindi impalpabile, sembra quasi che non esista.
    In pratica è di difficile definizione e nello stesso tempo lo si può definire in molteplici modi e anche il valore che gli si può attribuire è ugualmente aleatorio.
    Questo è il nostro tempo. Non resta molto da fare o si accetta e ci si nutre delle contraddizioni che genera oppure ci si scontra come ha fatto Neil Young, traendone le conseguenze del caso che non è detto siano solo negative: certo non è una scelta di comodo e semplice da attuare. Le mediazioni, auspicabili richiedono tempo e spesso non se ne ha a disposizione.
    E’ bello comunque pensare e constatare che i cambiamenti epocali da qualsiasi parte si osservino, sono sempre accompagnati da voci “contro” che se come nel caso di Young sono poco piu’ che gocce nel mare, contengono il sacro seme del dubbio, motore di tutte le cose.
    E’ una speranza alla quale rimanere aggrappati per non affogare nell’omologazione.

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