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La guerra si mangia il surplus italiano

Iniziamo dal comunicato di ieri della Banca d’Italia sulla Bilancia dei Pagamenti: “Nei dodici mesi terminanti in marzo 2022 il surplus di conto corrente è stato pari a 27,2 miliardi di euro (l’1,5 per cento del PIL), da 62,0 miliardi nello stesso periodo dell’anno precedente.

Il calo è dovuto soprattutto alla contrazione dell’avanzo mercantile (36,2 miliardi, da 68,2), che continua a risentire del maggior deficit energetico, e al peggioramento del deficit nei servizi (-11,5, da -7,3). E’ rimasto invariato il saldo dei redditi primari (a 21,8 miliardi) mentre è migliorato quello dei redditi secondari (a -19,3 miliardi, da -20,7)”.

Dunque lo scorso anno avevamo un surplus delle partite correnti pari a 62 miliardi, frutto soprattutto dell’avanzo mercantile (differenza tra export e import).

L’Italia negli ultimi anni, a prezzo di sacrifici, aveva raggiunto non solo il surplus ma anche una posizione finanziaria netta estera positiva (lo è ancora attualmente, riferito a fine dicembre, ultimo dato, a 133 miliardi).

Il mercantilismo (modello economico “orientato alle esportazioni” e non anche ai consumi interni) adottato negli ultimi 30 anni dava il suo frutto alla classe dominante ed era l’altra faccia di bassi salari, flessibilizzazione e precarietà lavorativa, tagli di servizi, tagli alla spesa pubblica.

Nel 1992 il Corriere della Sera titolava: “meno salari e pensioni, più export”, il desiderata di Guido Carli e di Mario Draghi, incessantemente portato avanti negli ultimi 30 anni da qualsivoglia governo.

Così, con la crescita e il benessere della popolazione sacrificati, la classe dominante si ritrovava con un surplus di parte corrente e tantissimi soldi, frutto di esportazioni e bassi salari, investiti nelle piazze finanziarie internazionali.

Nasceva quel blocco del 20% della popolazione che, forte di 4.500 miliardi di liquidità, moltissima investita all’estero, campava di rendita. Le vacanze, i locali e i ristoranti pieni, l’acquisto di beni di lusso erano frutto dei consumi di questa classe di rentier, spesso coincidente con “l’imprenditore”, che in questi decenni lesinava investimenti produttivi con la perdita di competitività tecnologica del Paese e bassa produttività totale dei fattori produttivi.

Quest’ultima veniva vigliaccamente addossata alla forza lavoro, quasi fosse fannullona (gli impiegati pubblici da decenni vengono pubblicamente etichettati così).

Negli ultimi 7 anni la posizione finanziaria netta estera, prima in pareggio, poi ampiamente positiva (si hanno più crediti che debiti nei rapporti con l’estero), dimostrava che la popolazione italiana viveva ampiamente sotto le sue possibilità, accontentata con il Rdc e con miseri bonus, quasi fossero elemosina.

Ora con la guerra si ritorna indietro, il surplus risulta più che dimezzato. Cercheranno, come negli ultimi 30 anni, di farci stringere ancor più la cinghia per importare meno, consumare meno ed esportare di più. Per la gioia della rendita finanziaria.

Questo il modello italiano degli ultimi 30 anni, che grida vendetta.

* dal blog PianoControMercato

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1 Commento


  • Maurizio

    Azioni di rivalsa proletaria

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