La primavera dovrebbe portare una ventata di aria fresca, ma a leggere i giornali in questi giorni è sconcertante leggere come, dopo anni di austerità e miseria e nonostante pandemie e guerre, i guardiani dell’ortodossia continuino a riproporci le solite ricette.
Il 23 maggio la Commissione europea ha pubblicato i Country Reports, cioè le relazioni con cui la Commissione manifesta i risultati del proprio monitoraggio sulle condizioni economiche e sociali degli Stati membri, esprimendo una serie di consigli con cui di fatto prende avvio il processo di sorveglianza delle politiche di bilancio (ma non solo) degli Stati.
Una sorveglianza che, nell’ambito del piano di ripresa post-pandemica, è legata a doppio filo all’erogazione dei fondi del programma Next Generation EU e, quindi, al PNRR.
Come ha ricordato, infatti, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, in riferimento alle raccomandazioni specifiche per ciascun Paese, “finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti”.
Ovviamente, ce n’è anche per l’Italia, e a leggerlo cascano le braccia.
Già in prima pagina, il report ci dice “chi siamo e da dove veniamo”, e forse è l’unica cosa per cui dobbiamo ringraziarlo perché con un semplice grafico ci ricorda, cancellando l’insopportabile retorica dei vari “migliori” che si sono succeduti, che dalla crisi finanziaria del 2008 non solo il divario con le altre economie europee è drammaticamente aumentato, ma addirittura la pandemia coglie l’Italia con un PIL reale inferiore ancora del 3% rispetto al livello pre-2008.
Il resto è storia recente: la caduta del PIL più importante in Europa durante il 2020, un “rimbalzo” che – a differenza di quanto accade negli altri paesi – è largamente insufficiente a recuperare il terreno perso, la linea del PIL che con la guerra torna a farsi orizzontale e a un livello sempre inferiore al 2008; insomma, 15 anni in cui abbiamo perso terreno non solo in senso relativo ma anche assoluto.
Quello che il report, guarda caso, si dimentica di dire è che in questi quindici anni – e in particolare dal 2011 fino all’inizio della pandemia – siamo stati fra gli alunni più diligenti nello svolgere i “compiti a casa” (leggi: applicare le misure di austerità con continui avanzi primari e eliminare quel poco di misure sociali che restavano), applicando fedelmente i “consigli” che ci ritrovavamo nei report degli anni precedenti: insomma, una lettura che a voler essere onesti equivale a una bocciatura del “maestro”, e non dell’allievo.
Ma tant’è: il report dedicato all’Italia fa allegramente spallucce e ci ripropone la solita ricetta fatta di tagli, riforme e (unica novità) “aspettando il PNRR…”.
Continuando nella descrizione dell’esistente, gli estensori del report si rammaricano che – anche a causa delle misure non temporanee adottate negli ultimi due anni – il deficit pubblico continuerà a superare la magica soglia del 3%, rimpiangendo i bei tempi (per loro) del 2019, quando lo avevamo ridotto all’1,5% anche grazie a una serie impressionante di avanzi primari.
Eppure oggi sappiamo bene questo cosa ha significato durante la pandemia, ad esempio in termini di carenza di servizi, personale ospedaliero, posti letto oppure di classi pollaio e strutture fatiscenti (giusto per citare due settori fra i più colpiti).
Si continua con gli immancabili “squilibri macroeconomici eccessivi”. Squilibri che si traducono, nel linguaggio della Commissione, come “eccessivo debito pubblico”. Un debito pubblico da tagliare in maniera indiscriminata, soprattutto attraverso la riduzione della spesa pubblica. Andando, così, ad aggravare la già drammatica situazione dei servizi pubblici in Italia e la disoccupazione. Quest’ultimo, evidentemente, è uno squilibrio che la Commissione può tollerare.
Inoltre, si cita la “debolezza strutturale del mercato del lavoro”, anche se pure la Commissione deve riconoscere che la parziale ripresa del livello occupazionale dopo la pandemia è dovuta essenzialmente attraverso il lavoro precario.
Last but not least, il report ci ricorda che l’Italia è fra i paesi europei maggiormente dipendenti dal gas russo, e che quindi verosimilmente accuserà maggiormente i contraccolpi economici della guerra.
Se questo è lo stato dell’arte, lo sguardo sul futuro è se possibile ancora più deprimente: detto della necessità di riprendere la marcia verso il pareggio di bilancio (e con buona pace di chi esulta per la sospensione del patto di stabilità: del resto, se noi siamo i migliori, l’austerità ce la autoinfliggiamo da soli…), tutte le speranze sembrano essere riposte nelle proprietà salvifiche del PNRR, rispetto al quale si ricorda che l’Italia è il maggior beneficiario in termini assoluti e uno dei soli quattro paesi ad avere richiesto l’accesso anche ai prestiti.
Messo da parte che – come abbiamo già spiegato altrove – quest’intervento è largamente insufficiente quando non apertamente contraddittorio, quello che impressiona davvero è vedere in fila le varie “riforme” associate al PNRR: taglio della burocrazia per guarire una pubblica amministrazione “non sufficientemente reattiva alle esigenze delle imprese” (sic!), riforma del pubblico impiego (e l’esempio portato è quello degli esperti a tempo determinato assunti proprio per la gestione del PNRR), liberalizzazioni (in particolare per i servizi pubblici, vedi trasporti locali, acqua, spazzatura, etc.)…
Insomma tutta roba già vista e sentita, e purtroppo spesso anche già applicata, al punto che ne conosciamo fin troppo bene gli effetti nefasti per la nostra qualità della vita.
Per il resto, poco altro, fra cui un sistema fiscale da riformare spostando il peso maggiormente sulle imposte sui consumi (e sono messe nel mirino in particolare le aliquote agevolate, cioè lo strumento per cercare di mitigare gli effetti di un’imposta strutturalmente regressiva) e sugli immobili (inclusa la prima casa).
La Commissione europea comunque è in buona (anzi, cattiva) compagnia: il 17 maggio si è conclusa la missione annuale di sorveglianza in Italia del Fondo Monetario Internazionale, e anche in questo caso, prima di andare via, gli esperti hanno ritenuto opportuno lasciarci qualche consiglio.
Oltre a richiedere come un disco rotto “una credibile duplice strategia per ridurre significativamente l’elevato disavanzo e debito nel medio termine”, questo rapporto si concentra maggiormente sulle conseguenze economiche della guerra mettendo in chiaro che “la risposta fiscale allo shock energetico dovrebbe essere più contenuta rispetto a quanto avvenuto per la pandemia”.
Le “soluzioni” in questo caso sono individuate nel piano REPower EU (quindi praticamente nulla) e sui bonus sociali (vedi il recente e largamente insufficiente decreto Aiuti).
in questo caso, la cosa più interessante sta in quello che il rapporto non dice: in presenza di bollette impazzite, passi pure dare qualche spicciolo a quelli più a terra, ma guai a richiedere un intervento più profondo e strutturale dello Stato nel regolare il mercato; perfino i timidi interventi su alcune voci delle bollette come accise e oneri di sistema vengono sconsigliati perché “sebbene questo riduca immediatamente i prezzi per famiglie e imprese, l’efficienza energetica è disincentivata e i vantaggi sono a beneficio di tutti i consumatori”.
In conclusione, Commissione europea e Fondo Monetario internazionale richiamano all’ordine, riproponendo di fatto le stesse ricette grazie alle quali ci siamo fatti trovare senza strumenti davanti al disastro della pandemia.
Noi sappiamo che il miglioramento della nostra qualità della vita passa per una strada esattamente opposta: rilancio della spesa sociale da parte di Stato ed enti locali (che vuol dire anche spesa corrente ad esempio per pagare medici, infermieri, maestri, etc.), politiche ambientali ed energetiche coerenti, contratti di lavoro stabili e salari decenti, un sistema fiscale realmente progressivo.
Mai come oggi, per raggiungere questi obiettivi, abbiamo bisogno di liberarci da “cattivi consigli e consiglieri” del passato, anche nella forma autoimposta dalla politica nostrana.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org
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E Sem
Stiamo parlando di uno stato ormai fallito: l’ unico e ultimo obbiettivo e’ la rapina legalizzata dei patrimoni dei soci di minoranza.
Pip
Amara ma realistica considerazione, quella che avete fatto