I tossicodipendenti danno di matto quando l’abituale dose di droga viene cancellata o ridotta. E così sta avvenendo sui mercati finanziari in seguito alla comunicazione, da parte della Bce, di voler metter fine agli acquisti di titoli (di stato e non) e anzi alzerà i tassi di interesse.
Di fatto, Christine Lagarde e il board di Francoforte hanno deciso di seguire la Federal Reserve statunitense sulla via della “lotta all’inflazione”, che si attesta ormai all’8% sia negli Usa che in Europa. Questo significa la fine del quantitative easing (soldi stampati dalle banche centrale per inondare proprio i mercati finanziari e impedire il loro crollo; una pratica che dura da subito dopo la crisi del 2008).
Al contrario, la Bce dovrebbe cominciare a vendere i titoli precedentemente acquistati, contribuendo così alla caduta del loro prezzo.
E qui sta la prima differenza, dal punto di vista degli effetti, rispetto alla politica monetaria Usa. Lì infatti, essendo un solo stato federale, i titoli di stato sono emessi dal dipartimento del Tesoro di Washington, senza differenziazioni interne. Qui nell’Unione Europea, invece, ogni “vendita” cade in misura disomogenea sui titoli emessi da ben 27 Stati diversi.
E sappiamo ormai tutti benissimo che la caduta di prezzo è relativamente bassa per i titoli dei paesi con poco debito pubblico (ritenuti più “sani”) e progressivamente più alta per quelli di paesi con alto debito, tra cui l’Italia.
E’ lo spread, bellezza, che torna a mordere come ai vecchi tempi nonostante che a Palazzo Chigi sia insediato l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, che fu proprio l’inventore del quantitative easing. Non c’è più gratitudine, signora mia…
Abbiamo già visto che questa inflazione è relativamente indifferente al livello dei tassi di interesse, perché causata da uno shock da offerta, ovvero l’aumento dei prezzi degli idrocarburi e di diverse materie prime, anche alimentari (il grano, in primis), per la guerra in Ucraina, le sanzioni contro la Russia e altri paesi (limitando così le fonti di fornitura), la siccità in molti paesi produttori, i lunghi lockdown che hanno reso introvabili alcuni componenti, ecc.
Ma comunque l’aumento dei tassi va a incidere sui prestiti all’economia reale, sui mutui, le vendite al consumo, i salari (se non agganciati all’inflazione), sugli stessi titoli di stato, specie quelli a rendimento fisso e non inflation linked.
Dinamiche che svuotano le tasche di lavoratori e piccoli risparmiatori, gonfiando al tempo stesso le tasche di chi può muovere miliardi, invece che spiccioli, e che dunque può comportarsi come un market mover: provocare i movimenti che tornano a proprio vantaggio. Tipo far crollare le quotazioni di alcune azioni e obbligazioni per poi acquistarle a prezzi stracciati. Magari con il meccanismo delle “vendite allo scoperto” (con cui si vendono titoli che non si hanno ma che ci si fa “prestare”).
I mercati hanno così decisamente interpretato come mosse da “falco” quelle della Banca centrale europea: fine dal primo luglio del piano di acquisti, rialzo di 0,25 punti a giugno, poi un successivo ritocco a settembre, ancora da definire ma che potrebbe anche essere di mezzo punto percentuale.
Oltre settembre la Bce è incline a intraprendere un percorso più graduale, meno aggressivo di quello della Fed, ma comunque considerato pericoloso dai mercati, che decisamente non hanno gradito lo scudo antispread solo parziale annunciato a salvaguardia dei Paesi più indebitati, come dimostra il rendimento del decennale italiano, volato al 3,72%, il top dal 2014.
Intanto l’inflazione, come ampiamente previsto, continua a crescere, indifferente alle politiche monetari pensate per domarla.
Gli apprendisti stregoni della finanza hanno creato un mostro (trasformando la finanza da un “servizio utile” in un “settore industriale indipendente”). E il rischio serio è che ora ne verremo tutti divorati nella “grande correzione” di valori gonfiati dalle iniezioni di liquidità praticate per un decennio.
In piena guerra, per di più….
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Maurizio
Burn the bankers eat the rich and bonomi