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Il futuro del dollaro e il messaggio chiaro degli Usa all’apparato industriale europeo

Ora si parla di guerra valutaria mondiale, con epicentro l’euro.

Una storia iniziata negli anni Sessanta, quando il generale De Gaulle volle la restituzione dell’oro francese detenuto in Usa. C’era la guerra del Vietnam, “burro e cannoni” era il credo americano, che smentiva il detto di Bismark secondo cui era impossibile averli tutt’e due contemporaneamente. La protesta giovanile americana infiammava gli Usa, il Vietnam si rivelò una trappola.

Finché nel 1971 Nixon non disancorò l’oro dal dollaro, “d’ora in poi il problema del dollaro“, dissero, “sarà un problema vostro“.

Nel frattempo, in ambito CEE, sin dalla metà degli anni Sessanta si preparava un assetto monetario continentale, sfociato poi nel Piano Werner del 1972. Gli Usa lo affossarono con la guerra del Kippur e la crisi petrolifera, facendo nascere il mercato dei petrodollari.

Ma in ambito europeo si continuava a discuterne, c’era l’asse Francia-Germania che voleva risolvere una volta per tutte il problema dell’esorbitante privilegio del dollaro. In tutto l’ambito occidentale il movimento operaio nel frattempo alzò la testa, le rivendicazioni e le lotte erano massicce, in Italia vigeva lo slogan “Vogliamo tutto!”.

La dirigenza occidentale non sapeva come far fronte a questo terremoto fino a quando, con Reagan e Volcker, si avviò una feroce stretta monetaria, seguita in ambito europeo, che distrusse sia il movimento operaio, sia l’assetto industriale.

Con il dollaro forte una parte dell’apparato industriale europeo, tramite l’export led, sopravvisse fino al 1992, quando, con il Trattato di Maastricht si posero le basi dell’euro. Guido Carli, nelle sue memorie, scriveva che “d’ora in poi l’euro sarebbe stata una valuta riconosciuta a livello internazionale, in un ambito più vasto dello stesso marco“.

Per edificare tale assetto si avviò una feroce deflazione salariale; l’asse era centrato sulla stabilità dei prezzi e non sulla massima occupazione. La nascita coincise con lo smantellamento iniziale dello Sme, a seguito della riunificazione tedesca e del vertiginoso aumento dei tassi di interesse della Bundesbank: come con la Fed, anche questa banca centrale prosciugò i capitali continentali, attirandoli in Germania, al fine di finanziare la riunificazione.

L’Italia crollò, non si è più ripresa da allora: il 25% dell’apparato industriale distrutto, privatizzazioni, smantellamento di enormi complessi industriali pubblici, fine della Prima Repubblica.

Sono passati 30 anni, e 41 dalla stretta di Volcker: allora c’erano la Persia e l’Afghanistan, ora si è soffiato, tramite la Nato, sul fuoco sul conflitto ad est. La storica liasion dell’asse tedesco-russo, che ha fatto la fortuna della Germania, si va spezzando, gas, petrolio materie prime subiscono aumenti vertiginosi.

In più la stretta di Powell copia la stretta della Bundesbank del 1992. Questa volta il lido d’approdo è il dollaro. Il dollaro forte provocherà la distruzione di quel che resta del capitale industriale americano, escluso il complesso militare industriale, tramite l’enorme deficit della bilancia commerciale, delle partite correnti e dell’esplosione del debito estero.

Contemporaneamente, la guerra in corso, provocherà la distruzione di una parte – quella che è rimasta dopo le delocalizzazioni – dell’apparato industriale europeo.

Sembra che gli Usa vogliano dire agli europei: “se devo crollare io, dovete crollare anche voi“. Un abbraccio suicida infernale.

Intanto il mondo, in altre parti, continua ad andare avanti, presto ci dimenticherà.

* dal blog Pianocontromercato

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