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Draghi potrebbe guidare la “Via della Seta” europea per competere con quella cinese

Un Draghi contro il “Dragone”? Quando era ancora presidente del Consiglio dei Ministri e si avvicinavano le elezioni del Presidente della Repubblica, durante la conferenza di fine 2021 un giornalista chiese a Mario Draghi se fosse in corsa per quella posizione, o se aspirasse a qualche incarico. L’ex governatore della BCE rispose che era un “nonno al servizio delle istituzioni”, e ha ribadito anche alla fine dello scorso anno di non essere interessato ad alcun incarico nazionale o internazionale.

Del resto, la Commissione Europea si rinnoverà solo nel 2024, e in questa situazione di escalation militare sfuma anche un’altra possibilità. Sembra improbabile, infatti, che Stoltenberg, il cui mandato scadeva nel 2022, venga sostituito al vertice della NATO.

Ma quando si sente parlare con insistenza che non si è disponibili per ricoprire alcun ruolo, e quando lo si ripete anche dopo aver lasciato il governo da qualche mese, spesso significa che in realtà qualche ipotesi c’è.

In questi giorni stanno effettivamente uscendo indiscrezioni che vorrebbero Draghi alla guida del Global Gateway, il programma di investimenti presentato da Ursula Von Der Leyen nel settembre 2021 per sfidare la Belt and Road Initiative cinese. Si tratta di 300 miliardi di euro da spendere per progetti infrastrutturali che rafforzino i collegamenti della UE con Asia, Sud America e, soprattutto, Africa, da svilupparsi prioritariamente nei settori del digitale, dei trasporti, dell’energia, della salute, dell’istruzione e della ricerca.

L’obiettivo dichiarato è quello di spingere la competitività e garantire maggiore sicurezza nelle catene di approvvigionamento globali, ma anche quello di contendere alla Cina il primato nelle relazioni con quello che può essere definito il Sud del mondo.

Il quotidiano tedesco di economia e finanza Handelsblatt ha rivelato che diversi paesi europei vedrebbero in Draghi la figura ideale per guidare il piano, e anche Noah Barkin, managing director del gruppo ricerche e consulenza del  Rhodium Group, fornitore statunitense indipendente di ricerche in campo economico e sulle tendenze globali, ha parlato di questa possibilità nella sua newsletter di inizio gennaio.

Insomma, il nome del “nonno delle istituzioni” sembra venire da più fonti, e la sua guida sarebbe indirizzata pienamente nel solco delle esigenze del blocco euroatlantico. La sua visione economica, per cui le aziende zombie devono morire e lasciare posto a grandi agglomerati capitalistici capaci di competere con la Cina, era stata già esposta all’inizio del suo mandato a Palazzo Chigi. E gli investimenti che la UE vuole portare avanti per ridurre l’influenza cinese nel mondo, e rafforzare invece le capacità europee nella rottura del mercato globale, sembrano preludere più a politiche coloniali e predatorie che a uno sviluppo complementare.

Rimane il fatto però che si parla di indiscrezioni, e che quando si tratta di questi alti livelli della governance con impatto globale, gli equilibri sono sempre delicati. Bisognerà attendere dunque, ma è chiaro che il nome di Draghi mostra con chiarezza ciò che sottende al Global Gateway e cosa ci aspetta nell’inasprimento delle relazioni internazionali, con il grande nemico individuato in Pechino e nella sua proiezione strategica.

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