Menu

Il «There Is No Alternative» di Visco su inflazione e salari

Si è concluso ieri 12 febbraio il Warwick Economics Summit del 2023 – il forum internazionale organizzato da più di vent’anni all’Università di Warwick – in cui studenti universitari incontrano alte figure dell’economia mondiale.

L’11 febbraio è intervenuto all’evento anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, con una relazione dal titolo significativo: Monetary policy and the return of the inflation.

In queste pagine Visco sembra voler quasi fare la parte della colomba rispetto alle politiche monetarie messe in campo da Christine Lagarde, in quanto governatrice della BCE. Invita alla prudenza sul rialzo del tasso di interesse, in particolare su quello che devono corrispondere gli istituti bancari quando ricevono soldi dalla Banca Centrale, portato al 3% all’inizio di febbraio.

L’economista italiano, infatti, non nasconde quello che in molti dicono da tempo, ovvero che l’inflazione che stiamo sperimentando ha ragioni molto diverse da quelle per cui la stretta monetaria è pensata, ovvero una eccessiva offerta di moneta.

Dopo aver fatto una breve storia dell’inflazione negli ultimi 50 anni, glorificando il trentennio della globalizzazione durante il quale le banche centrali hanno assunto maggiore indipendenza dalla politica (e dunque dagli indirizzi espressi nel voto democratico), Visco ha esposto le differenze di fondo tra la spinta inflazionistica statunitense e quella dell’eurozona.

A suo avviso, i meccanismi del debito e dell’incontro tra domanda e offerta non si sono modificati di molto dalla fine del 2021 nei paesi europei. L’inflazione alle nostre latitudini non deriva tanto dalle ingenti iniezioni di moneta del periodo peggiore del Covid e dai colli di bottiglia creatisi nel mercato con il ritorno a una certa normalità delle attività economiche, quanto dallo shock energetico e dalle difficoltà di approvvigionamento alimentare causati dalla guerra in Ucraina.

Il problema principale, tuttavia, è stato la sottovalutazione generalizzata delle recenti tensioni geopolitiche”, mentre tanti commentatori hanno proceduto a “puntare il dito contro i presunti ritardi della banca centrale nell’uscire dal QE e nell’avviare la stretta monetaria” – traducendo per comodità il testo in inglese.

Dunque, Visco sostiene, e si impegna a dimostrarlo dati alla mano, che l’offerta di moneta è stata gestita bene dalla BCE, e che il persistere dell’inflazione deriva unicamente dai tempi fisiologici del mercato nell’adeguamento dei prezzi.

Le analisi per il 2023, che Visco riporta in alcuni grafici, prevedono che l’inflazione dovrebbe riassorbirsi entro l’anno, e perciò dal vertice della Banca d’Italia invitano alla cautela sui rialzi dei tassi, per evitare la recessione. Non bisogna però farsi troppe idee strane su questa affermazione, che potrebbe sembrare incredibilmente attenta alle difficoltà che vivrebbero migliaia di famiglie.

Probabilmente il governatore cerca di fare qualche pressione sulle istituzioni europee perché è preoccupato per i conti pubblici del paese e per il forte impatto che l’aumento del costo del denaro potrebbe avere sui prestiti alle PMI italiane.

A riprova della cautela da utilizzare, argomenta che il pericolo che questa fiammata inflazionistica perduri nel tempo è prevenuto dalla modificazione di alcuni aspetti fondamentali dell’economia rispetto ai tempi dello shock petrolifero del 1973, tra cui la stabilità di cambio data dall’euro, l’indipendenza della BCE (che ha il solo obiettivo di regolare l’inflazione e non l’occupazione), e la rimozione delle forme di indicizzazione automatica.

Qui vediamo tornare a pieno titolo il rappresentante del capitale e la visione neoliberista in ogni suo crisma: la spirale inflazionistica è data dalla rincorsa dei salari all’inflazione, e perciò va evitato qualsiasi meccanismo di adeguamento dei primi alla seconda.

Da una parte, Visco ricorda che i rischi di instabilità finanziaria sono alti nella UE, a causa della “architettura incompleta – in particolare la politica fiscale decentrata e i ritardi nel completamento delle unioni bancarie e dei mercati dei capitali –”, e che perciò bisogna continuare gli acquisti di titoli di debito per evitare tensioni.

Dall’altra, è ovvio che l’aumento dei prezzi abbia eroso il potere di acquisto di ampie fasce della popolazione, ma in un certo qual modo la miseria del lavoro povero e della precarietà, l’assenza di una una lotta di classe accesa e di strumenti per tenere retribuzioni e pensioni al passo dell’inflazione, permettono di non spingere l’acceleratore sulla stretta monetaria.

In soldoni, per Visco è un bene che i salari siano bassi e fissi al palo, perché ciò facilita la ricerca della stabilità dei prezzi, considerata come precondizione per il funzionamento del sistema economico. Nel suo modo di pensare, la povertà non è un problema, è una soluzione.

I lavoratori devono pagare di tasca propria l’instabilità di un modello che annaspa, mentre capitali e rendite sono addirittura aiutati a prosperare.

L’economista italiano, in conclusione del suo contributo, arriva a dire qualche parola sugli aumenti salariali, e li lega però indissolubilmente ad un contemporaneo aumento della produttività, al di là di qualche misura contingente per alleviare le situazioni più critiche.

Un obiettivo del genere, però, diventa irraggiungibile quando la stretta monetaria che, seppur cautamente, sostiene persino lui, ha come effetto inevitabile la riduzione degli investimenti. Ma non c’è solo questo.

Visco ripropone ancora la stessa ricetta che sentiamo da decenni, e che ci ha condotto sull’orlo del baratro economico, sociale, ambientale e di guerra che viviamo oggi. E soprattutto ha portato i salari reali italiani a diminuire tra il 1990 e il 2020, mentre la produttività è aumentata, nonostante tutto, a dimostrazione di come questo non si traduca in una ripartizione più giusta della ricchezza prodotta.

Solo la lotta può farlo, partendo da una campagna per un salario minimo di almeno 10 euro (ma l’inflazione sposta l’asticella, inevitabilmente). E prima poi riportando nel dibattito pubblico la proposta di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, che secondo molti ha anche effetti positivi non solo sui redditi dei lavoratori, ma anche sulla produttività stessa.

In conclusione, è lo stesso governatore di BankItalia a dire che è troppo presto per dire se quella che lui ha descritto sarà davvero la dinamica che vivremo, con la riduzione del prezzo dell’energia e poi dunque anche dell’inflazione. Molto dipenderà dalla situazione internazionale, e con l’inasprirsi della politica di sanzioni e guerra che il Blocco Euroatlantico porta avanti è difficile pensare che gli scenari futuri siano molto più rosei.

E inoltre, non bisogna dimenticare il forte impatto che avrà, soprattutto dal prossimo trimestre, la fine della politica «zero-Covid» della Cina, e il forte incremento della domanda globale di molti beni che si porterà con sé.

Le parole di Visco esprimono la visione di una classe dirigente chiusa nel vicolo cieco della crisi, che deve sperare che tutto vada per il verso giusto perché non ha altre soluzioni, altrimenti la sua presa già traballante sulla società potrebbe essere seriamente messa a rischio.

 * Puoi scaricare da qui la Relazione Visco Warwick

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Ermir

    Ma se in 30 anni i salari sono rimasti fermi (anzi diminuiti) e la ricchezza (il PIL)ogni anno è stato positivo, è cresciuto (anche se poco),con la media vicino al 2% l’anno In 30 anni quasi 60% del PIL totale (60% del quasi 2000 miliardi €,sono 1200 miliardi, a favore di chi sono andati?.
    Seconda cosa. Visco dice che l’unica cosa è l’ aumento della produzione in generale .Ma se la domanda dei consumatori dipende dalla disponibilità finanziaria, come si può aumentare la produzione?.L’offerta dipende dalla domanda e non viceversa come sostiene sig.Visco..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *