Sabato 6 febbraio, in India, le maggiori arterie autostradali nazionali e statali sono state bloccate – da mezzogiorno alle tre del pomeriggio – dai lavoratori agricoli e dai sostenitori di questa storica lotta che dura ormai da mesi. Il blocco del traffico ha riguardato la maggioranza degli Stati, non solo i bastioni della protesta contadina, compreso il Tangana, il Maharashtra, Karnatak e Rajasthan.
Sebbene la giornata di lotta sia stata sostanzialmente pacifica, la polizia è intervenuta in alcuni di questi blocchi ed iniziative di solidarietà, procedendo ad arresti.
Se pure il centro delle iniziative, a differenza del 26 gennaio, questa volta non era la capitale, il totale delle forze dell’ordine schierate ammontava comunque a 50 mila unità tra Delhi Police, paramilitari e Forze della Riserva, con la chiusura precauzionale di differenti punti d’accesso alla città e di diverse stazioni della metro, l’ulteriore fortificazione dei dispositivi per impedire l’accesso alla capitale e l’uso dei droni per la sorveglianza aerea.
La Polizia dello stato (MHA) aveva reiterato il black out della rete informatica nei dintorni della capitale, dove i contadini sono accampati da due mesi.
Alla fine della giornata Rakesh Tikai, leader della Bharatiya Kisan Union – una delle maggiori organizzazioni contadine della protesta – aveva ribadito la volontà a continuare la lotta, se fosse stato necessario, fino all’inizio di ottobre, anticipando che sarebbero state decise presto altre iniziative.
Tikai ha detto chiaro e tondo che: “non intavoleremo discussioni con il governo che ci tiene sotto pressione”.
Il pacchetto di leggi contro cui si battano i contadini sono tese a stravolgere le politiche agricole conquistate nel corso degli anni dopo l’Indipendenza. Le tre leggi di cui è composto il pacchetto sono state approvate in fretta e furia in Parlamento a settembre senza alcuna precedente discussione, è sono state sospese per 18 mesi alcune settimane fa dalla Corte Suprema, ma la decina di colloqui avuti tra le parti non ha sortito finora nessun avanzamento: il movimento ne chiede il ritiro, mentre il governo sembra disposto solo ad emendarle ed intanto reprime ferocemente i contadini e chi li appoggia.
La giornata di blocco del 6 febbraio – chakka jam – segue la prima iniziativa di lotta di ampiezza nazionale dopo quella del 26 gennaio, che aveva visto circa 250 mila contadini “invadere” pacificamente la capitale Nuova Delhi.
In quella giornata storica in cui l’India festeggia la proclamazione della Costituzione repubblicana dopo il lungo dominio britannico, gli agricoltori accampati dal 26 novembre – provenienti prevalentemente dal Punjab, dall’Haryana e dall’Uttar Pradesh – ai confini della capitale erano entrati nel centro cittadino percorrendo le arterie che collegano i dintorni di Singhu, Ghazipur e Tikri. Massicce azioni di solidarietà si erano svolte in tutta l’India.
Quella che il 26 gennaio doveva essere una giornata di lotta pacifica si era in parte trasformata, a causa delle provocazioni poliziesche, in un giorno di scontri, in cui la polizia ha represso violentemente i manifestanti provocando il ferimento di alcuni e la morte di Navreet Singh, contadino trentenne, sulla cui morte le indagini stanno a cuore più ai corrispondenti dei media indipendenti che non alle autorità poliziesche.
Il capo del governo, Narendra Modi, e la maggioranza guidata dal Bharatiya Janata Party (BJP), aveva preso a pretesto la presunta “piega violenta presa dalla protesta”, ed in particolare “l’invasione” del Red Fort, per tentare di screditare la lotta dei contadini agli occhi dell’opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione di massa, tutti in mano all’élite indiana.
La guerra dell’informazione è un aspetto fondamentale di questo conflitto, considerato che se da un lato l’80% dei media è posseduto da due gruppi aziendali in mano a famiglie miliardarie, dall’altro gli organi di informazione indipendenti subiscono una sempre più feroce repressione, con accuse come quella di “sedizione”, cui sono state fatti oggetto i giornalisti delle testate “The Caravan” e “The Wire”, che seguono da vicino le mobilitazioni; o la censura, con la reiterata richiesta a Twitter, sotto mincaccia di conseguenze penali e pecuniarie, di oscuramento di duecento account connessi alla protesta.
In generale, si è instaurato un clima di caccia alle streghe di cui sono vittime non solo i leader della protesta (guidata da una colazione di 32 organizzazioni, riunite collegialmente nella All India Kisan Coordination Commitee e sostenute da tutte le formazioni marxiste indiane e dalla sinistra radicale in generale), ma anche le esperienze informative che le seguono da vicino e addirittura chi si è espresso in sostegno della lotta dei contadini fuori dai confini indiani, come Greta Thunberg o la cantante statunitense Rihanna.
Il trattamento riservato alla protesta da parte dei corporate media ha spinto contadini ed attivisti a dare vita ad un proprio gionale il “Trolley Times” giunto all’ottava edizione, oltre ad un numero elevato di iniziative culturali e di educazione politica all’interno degli accampamenti.
La prevista giornata di marcia verso il parlamento, che avrebbe dovuto svolgersi il 1 febbraio, era stata trasformata in un giorno di sciopero della fame per cercare di non aggravare la pesante cappa calata sulla protesta, decidendo comunque di mantenere i presidi attorno alla capitale.
Nelle giornate successive al 26 i contadini negli accampamenti gennaio venivano attaccati dalle squadracce di nazionalisti hindu con la complicità della polizia, venivano erette vere e proprie “fortificazioni” per impedire l’accesso al centro della capitale con barriere di cemento armato, griglie metalliche, trincee e chiodi conficcati in gettate di cemento, per rendere impraticabile la strada ai trattori e agli altri mezzi usati dagli agricoltori.
Agli accampamenti contadini venivano negati i più elementari servizi, dall’acqua all’elettricità, al collegamento internet, peggiorando una situazione già gravosa, considerato che più di 150 agricoltori erano morti per ipotermia nei mesi in cui erano stati allestiti questi villaggi attorno alla capitale.
La lotta dei contadini è una scuola politica di massa che sta mettendo in discussione le linee di divisione su cui si basava l’egemonia politica dell’attuale maggioranza governativa, anche negli Stati dell’Unione che ne erano il bastione, minacciando la capacità di tenuta del suo progetto che coniuga uno spinto nazionalismo hindu con una politica neo-liberista a vantaggio del centinaio delle famiglie che posseggono l’India.
Un punto di svolta per quello che sarà il futuro di una parte consistente dell’umanità.
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Gianni Sartori
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