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Nordest. Un rapporto che mette da parte l’ottimismo

E’ uscito in questi giorni il Rapporto 2016 della Fondazione Nord Est. Un documento certamente meno ottimistico di quello elaborato per il 2015. Non si tratta solo delle previsioni sull’economia di questo territorio e i suoi possibili sviluppi a fronte del perdurare della crisi sistemica dell’economia mondiale che ha avuto nella vicenda della Lhemann Brothers il suo detonatore. I dati contenuti nella ricerca confermano più o meno (forse un po’ meno che più, ma ciò non è particolarmente rilevante), quello che già si sapeva dai documenti pubblicati dalla Banca d’Italia, dall’Unione Camere di commercio, dalla stessa Confindustria e da altri nei documenti del 2015.

Il quadro dell’economia globale, la caduta dei mercati dei paesi emergenti, il profilarsi di un contesto mondiale meno favorevole alla crescita, impongono la rivisitazione verso il basso delle stime di ripresa fatte per l’Italia e il Veneto in relazione al 2016. Questioni certamente non secondarie e risapute.

Non ci soffermiamo su queste. Sono le considerazioni politiche sulle capacità di governance sistemica delle classi dirigenti di questo territorio, espresse nell’intervento del direttore scientifico della Fondazione, quelle che ci paiono essere parte più notevole e interessante nella relazione della Fondazione Nord Est, fucina riflessiva e progettuale di Confindustria per il nostro territorio.

Scrive Stefano Micelli: “In questo contesto favorevole (il contesto macroeconomico e le nuove norme sul lavoro del governo Renzi. Leggi Jobs Act) ha preso avvio, nel 2015 una fase di rilancio economico registrata da tutti gli indicatori. Una manifattura di qualità ha dimostrato di saper evolvere rispetto ai vincoli imposti da un mercato sempre più competitivo trascinando con sé una serie di attività terziarie”. Ma “la fine della crisi (questo il senso del rapporto 2015) non coincide in alcun modo con un generico ritorno al passato”. Infatti, Confindustria intitolava “Manifesto del nuovo manifatturiero” il documento su cui si confrontava con le forze politiche in vista delle regionali 2015. Un salto di paradigma su cui dovevano convergere tutte le risorse, le potenzialità umane e produttive dell’intera regione. L’idea, non nuova peraltro, era/è che questa è la base minima per competere nell’economia globale, dove il retroterra sistemico è fondamento di ogni iniziativa e capacità competitiva; necessità ancora più stringente per un tessuto di piccola e media impresa.

Se il 2015, scrive il professore, ha offerto alcune “risposte significative, i grandi cambiamenti in atto hanno confermato alcune potenzialità del territorio, legate principalmente a un modello manifatturiero particolarmente innovativo e originale”, dall’altro lato la vicenda del Mose e “ i gravi problemi della Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono i segni più evidenti di una difficoltà che riguarda la capacità del Nordest di consolidare forme di governo del territorio e una classe dirigente di qualità”. Amen!

La crisi delle banche e i precedenti dello scandalo del Mose sono evidentemente di tale portata che non possono non indurre anche gli indefessi laudatori del mondo dell’impresa veneta e del Nordest in generale a una qualche riflessione problematica. Il professore a servizio di Confindustria naturalmente non cita tutto il resto. Non trovano posto nelle sue brillanti elaborazioni: la devastazione e il saccheggio delle risorse ambientali, il grave inquinamento dell’aria e dell’acqua, lo sviluppo di un’agricoltura e di una viticoltura intossicate dai prodotti chimici, la cementificazione del territorio, il proliferare della precarietà, del sistema dei Vauchers e del lavoro nero fino al caporalato, del lavoro non pagato, negli stessi settori indicati come propulsivi della nuova fase. Ci mancherebbe! Tutto questo fa parte dei normali effetti collaterali dello sviluppo capitalistico. La marmaglia, però, che ha depredato centinaia di migliaia di cittadini/e con le operazioni sconce delle banche popolari, ha devastato e inquinato intere provincie con produzioni industriali e agricole altamente tossiche, ha cementato un’intera regione, ha razziato miliardi pubblici con il sistema delle grandi opere, ha utilizzato a man bassa tutte le forme di sfruttamento, è la borghesia del nordest, il suo ceto politico, la sua classe dirigente, la sua governance reale. Abituata a una logica predatoria, al saccheggio, non può essere all’altezza di una governance sistemica che sappia mettere a valore, seppure dal punto di vista capitalistico, le potenzialità del Veneto. Perfino i professori al servizio dei padroni guardano con aperto disincanto e malcelato disgusto la borghesia e il ceto politico di questa regione. Da questa parte nessuna salvezza. Ed è meglio così.

Solo una rinnovata stagione di lotte sociali e politiche può spazzare il putridume che si è accumulato negli anni, puntando realmente al benessere generale, facendo leva sullo sviluppo autocentrato dell’economia e delle produzioni, sulla loro conversione ecologica. Fuori e contro le logiche predatorie per la difesa del “comune”.

  • segretario PRC del Veneto

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