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L’industria europea dei microchip nella competizione globale

Lo scorso 22 febbraio la Fondazione ASTRID, che si occupa per lo più di analisi sulle politiche pubbliche, sulle trasformazioni delle istituzioni e sull’innovazione nelle pubbliche amministrazioni, ha organizzato un interessante evento sul mondo dei microchip. Il seminario, seguito da una tavola rotonda, si è svolto presso la sede e in collaborazione col Cefriel, un centro di ricerca e innovazione fondato dal Politecnico di Milano.

Il titolo era molto già di per sé estremamente esplicativo: “Industria dei microchip. La strategia dell’Europa nella competizione internazionale”. I primi due interventi, quello del presidente di ASTRID Franco Bassanini, personaggio con alle spalle una lunga carriera tra istituti bancari e ministeri, e quello di Alfonso Fuggetta, CEO e direttore scientifico del Cefriel, hanno reso subito chiaro perché un’iniziativa del genere merita un commento.

Bassanini ha messo in chiaro subito la sfida su cui si sarebbe incentrato l’incontro, ovvero come far sì che italiani ed europei diventassero “padroni del proprio destino” in questo settore avanzato della tecnologia. Il tema è dunque come sviluppare una supply chain relativamente indipendente per reggere nella competizione tecnologica.

Fuggetta ha invece sottolineato due aspetti centrali. Il primo è che un tale argomento è arrivato finalmente ad essere oggetto di discussione pubblica in una sede politico-istituzionale, e non solo tecnica. Il secondo, collegato al primo, è che questa è una necessità dettata dal fatto che se da un punto di vista economica la globalizzazione è stata conveniente, dal punto di vista geopolitico si presenta con criticità non più eludibili.

Il nodo della rottura del mercato globale e del ritorno a uno scontro per blocchi, aree monetarie e geopolitiche porta con sé quello della ridefinizione delle filiere. In questo scenario il ruolo delle entità politiche e statuali nel guidare questo processo torna con forza in un mondo che per trent’anni è stato abituato alla retorica – falsa – del predominio di un mercato acefalo, nel quale invece si sono sviluppati antagonismi concreti.

Per Fuggetta dibattiti come quello che hanno svolto sono dirimenti per dare degli strumenti imprescindibili ai decisori politici. Ci sorge qualche dubbio che la nostra classe dirigente sia poi all’altezza della sfida, ma in effetti a questo confronto era presente anche Lucilla Sioli, direttrice per “Intelligenza Artificiale e Industria Digitale” della Direzione Generale CONNECT presso la Commissione Europea.

Sioli ha sottolineato che mentre il colosso taiwanese TSMC sta per produrre microchip di 3 nanometri, le aziende europee si attestano sui 22. L’unica soluzione per compensare questa arretratezza è attirare la produzione di questa e altre aziende come Intel presso la UE, e l’alta funzionaria europea ricorda come le istituzioni comunitarie si siano già mosse per semplificare la legislazione sugli aiuti di stato e sui permessi per impiantare nuove sedi.

Ha aggiunto però che non bisogna dimenticare che in Europa abbiamo attori di ricerca importanti (per fare esempio, la belga IMEC) che devono essere valorizzati. Sioli conclude il suo intervento mettendo in evidenza come i semiconduttori siano diventati uno “strumento di politica internazionale e geopolitica”. È un terreno su cui si sta dispiegando con forza lo scontro USA-Cina.

C’è un caso di queste settimane che ha ricevuto poca attenzione e che è bene riportare, per mostrare l’attualità di questa discussione. La multinazionale olandese ASML è leader mondiale nella produzione di alcuni macchinari per lo sviluppo dei microchip. Da sola produce circa il 90% globale della strumentazione per stampare i circuiti sui supporti di silicio.

Dal 2019 ad Amsterdam hanno vietato la vendita di alcuni macchinari a clienti cinesi, su pressione statunitense che fornisce un’importante fetta di tecnologie anche ad ASML. L’amministratore delegato Wennink ha esposto il contraltare di questa politica, ovvero la spinta alla sovranità tecnologica di Pechino. L’azienda olandese ha da poco reso noto un furto di dati critici operato da un ex dipendente in Cina, riporta Bloomberg.

È chiaro che non siamo in vista, ma siamo nel pieno di una politica di scontro internazionale portata avanti attraverso strumenti economici, diplomatici, politici e ormai anche militari. La linea di faglia di questo confronto è sulla tecnologia, come riporta un altro relatore dell’evento al Cefriel, Alessandro Aresu, nel titolo del suo ultimo libro (Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia).

Aresu, consigliere scientifico della rivista Limes, sottolinea come il declino manifatturiero degli USA non coincida con il declino sulla supply chain dei microchip. A dati 2021, Washington controlla il 46% di essa, l’Occidente largamente inteso ben il 91%, la Cina solo il 7%. L’amministrazione Biden ha lavorato molto proprio sull’analisi della filiera complessiva.

Lo studioso conclude con una slide specifica sulla UE. Egli afferma che esistono i campioni europei, ma bisogna lavorare ancora molto sulla supply chain e sulla scala di grandezza di queste aziende. Bisogna inoltre tornare a dare attenzione all’industria chimica, come nel secolo scorso, fondamentale proprio per la filiera.

La tavola rotonda prosegue con altri elementi interessanti. È utile riportare le riflessioni di Paolo Guerrieri, accademico e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali. Parole sue, la Casa Bianca ha alzato l’asticella della competizione strategica sulla catena del valore dei microchip. L’obiettivo è colpire la Cina, ma anche la UE si ritrova nel mezzo perché per molti prodotti si rifornisce proprio da Pechino.

Guerrieri conclude che, date anche le interconnessioni, non si può fare a meno degli USA (e quindi di una dimensione euroatlantica). La UE, che è una sorta di “vaso di coccio tra vasi di ferro”, deve però proseguire su una linea di rafforzamento autonomo, se vuole contare tra i vari attori internazionali. Che ci riescano o meno, i costi verranno scaricati tutti sui settori popolari. Se questi non si dotano di un’organizzazione capace di confrontarsi su questo piano strategico, non avremo strumenti adatti a ribaltare i risultati di questa corsa nella competizione globale.

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