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Le banche private statunitensi corrono ai ripari sui crac bancari

Prima che la loro banca collassasse, i dirigenti della First Republic Bank hanno venduto milioni di dollari in azioni nei mesi che hanno preceduto il crac della banca, poi avvenuto questa settimana. A scriverlo è il “Wall Street Journal”, secondo cui negli ultimi mesi i vertici della banca si sono liberati di partecipazioni azionarie del valore di 11,8 milioni di dollari. Il presidente esecutivo della banca, James Herbert II, avrebbe venduto azioni della sua banca per 4,5 milioni di dollari all’inizio di quest’anno.

Le vendite sono passate sottotraccia, dal momento che la First Republic Bank è l’unica azienda dell’indice S&P 500 a segnalare tali vendite alla Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) anziché all’ente regolatore del settore, la Securities and Exchange Commission (Sec). Anche la Signature Bank, collassata domenica, era a sua volta esentata dalle segnalazioni alla Sec.

Per evitare un effetto domino di fallimenti bancari negli Usa, è intervenuto un gruppo di undici banche private statunitensi che hanno annunciato depositi complessivi per 30 miliardi di dollari nei confronti di First Republic Bank. Un intervento teso per evitare il collasso della banca a causa del recente fallimento di Silicon Valley Bank.

In una nota congiunta, le undici banche hanno precisato che Bank of America, Citigroup, Jp Morgan e Wells Fargo hanno accettato di fornire cinque miliardi di dollari ciascuna. Goldman Sachs e Morgan Stanley contribuiranno con 2,5 miliardi ciascuna, mentre Bny Mellon, Pnc Bank, State Street, Trust e Us Bank con un miliardo a testa.

“A dimostrazione che non tutte le preoccupazioni siano però svanite, le azioni della First Republic Bank, che avevano chiuso in rialzo del 10% dopo una giornata volatile che ha visto il trading interrotto 17 volte, sono crollate del 17% nel trading after-market” commenta Milano Finanza. “Inoltre, i dati hanno mostrato durante la notte che le banche hanno cercato quantità record di liquidità di emergenza dalla Federal Reserve negli ultimi giorni, sottolineando l’entità dello stress nel sistema finanziario”.

La notizia dell’intervento delle undici banche, è stata accolta positivamente dalla segretaria al Tesoro, Janet Yellen; dal governatore della Federal Reserve, Jerome Powell; e dal presidente della Federal Deposit Insurance Corporation (l’ente federale preposto all’assicurazione sui depositi bancari), Martin Gruenberg. “Si tratta di una misura che dimostra ancora una volta la resilienza del sistema bancario statunitense”, si legge in un comunicato congiunto.

Tutti gli occhi sono ora puntati sulla riunione della Federal Reserve della prossima settimana. Gli operatori finanziari si interrogano se la banca centrale Usa seguirà l’esempio della Bce, la quale – e nonostante molte richieste in senso contrario – ieri ha tirato dritto alzando i tassi dello 0,5% come annunciato nonostante lo scossone globale sulle banche. I mercati Usa prevedono che la Fed – diversamente dalla Bce – avvierà presto una svolta e inizierà a tagliare i tassi quest’anno. Staremo a vedere.

Piccolo giallo su Credit Suisse

In Europa invece la  Credit Suisse potrà ricorrere a una linea speciale di credito fino a 50 miliardi di franchi messa a disposizione dalla Banca nazionale svizzera. Il colosso bancario elvetico, da tempo in difficoltà, era stato messo in ginocchio dalla decisione del suo maggiore azionista, la Saudi National Bank, di non iniettare ulteriore capitale. Sul crac di Credit Suisse – innescato dagli investitori sauditi – è emerso però un giallo. La quota della Saudi National Bank, pagata 1,5 miliardi di dollari nell’autunno scorso, oggi in borsa vale appena 824 milioni, con una minusvalenza teorica di quasi 700 milioni. Ma il bilancio si è fatto molto magro anche per gli altri soci mediorientali entrati con l’ultimo aumento di capitale della banca svizzera, cioè la Qatar Holding salita recentemente al 7% e l’asset manager saudita Olayan Group, che ha aderito pro quota alla ricapitalizzazione per il 4,9%. Curiosamente si è invece salvato in tempo il fondo di investimento statunitense Harris Associates, il quale a inizio marzo ha completamente azzerato dopo 20 anni la propria posizione, pari al 5% del capitale. Tempismo perfetto? Si chiede Milano Finanza.

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