Il conflitto capitale-lavoro resta il nodo irrisolto che condiziona lo sviluppo della società italiana. “Lo avevamo denunciato negli anni Sessanta, e poi in parte gli anni Settanta, in cui questi discorsi animavano il dibattito tra economisti come Claudio Napoleoni e Piero Sraffa”, ha osservato Luciano Vasapollo, decano di economia alla Sapienza, intervenuto alla Biblioteca Nazionale, con il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte e il presidente dell’Inps Pasquale Trdico, ad un confronto sulla crisi salariale promosso dall’USB.
“Il divario delle retribuzioni dei lavoratori italiani rispetto a quelle dei lavoratori degli altri Paesi europei tra il 2007 e il 2019 – ha rilevato Vasapollo – si è ancor più allargato. In questo periodo i salari tedeschi sono cresciuti di 5.430 euro (pari a un +14,7%) mentre quelli italiani sono diminuiti di 596 euro ( -1,9%).
Negli ultimi anni i paesi europei , con i salari medi più alti, hanno registrato comunque una crescita; Germania e Francia hanno registrato l’incremento salariale più alto; infine Italia e Spagna, con i salari medi più bassi, si caratterizzano entrambe per una stagnazione di lungo periodo.
E non è che in Italia si guadagni meno perché si lavori meno, al contrario. L’Italia ha un alto numero medio di ore lavorate all’anno per lavoratore dipendente, ma la minor quota salari in percentuale del Pil. La causa è che nel nostro Paese si lavora di più, a causa dei bassi investimenti in ricerca e sviluppo, ma si hanno salari reali ma anche nominali fra i più bassi. E assistiamo al fatto che i salari che negli ultimi anni non solo non crescono ma diminuiscono sensibilmente”.
Secondo Vasapollo, “la questione del salario a questo punto assume un carattere ‘strutturale‘”. Si ritorna al dibattito effervescente della fase alta del conflitto capitale – lavoro con i rinnovi contrattuali del ‘69, che danno origine al famoso ‘autunno caldo’, e che si svolgono all’insegna di ‘aumenti uguali per tutti’. Quella impostazione, che punta a conseguire una struttura del salario rigida e garantita ai lavoratori, trova l’apice nel cuore degli anni ’70.
“L’impressione dell‘attualità della contraddizione del conflitto si riferisce – ha ricordato l’economista marxista – all’idea del salario come ‘variabile indipendente’, tipica della fine degli Anni Sessanta e del cosiddetto ‘autunno caldo’, e che oggi è ‘cavalcata’ dal mondo dei padroni, del governo, delle opposizioni istituzionali e dei sindacati confederali, tutti ben poco attenti a riconoscere ai lavoratori i giusti aumenti salariali, come evidentemente risulta in altri Paesi”.
In proposito Vasapollo ha ricordato l’analisi del sindacalista cattolico Pierre Carniti, che “già al tempo La Federazione metalmeccanici della Cisl scavalcò tutti a sinistra”.
“Carniti – ha ricostruito il docente della Sapienza – faceva concretamente riferimento al conflitto capitale-lavoro, con il salario come variabile indipendente. Anche se un gran pezzo di storia del modello concertativo e complice è di fatto finito nel febbraio del ’77 quando Lama e il servizio d’ordine del Pci erano stati cacciati dall’università di Roma – la rottura dentro il movimento di classe tra garantiti e non-garantiti, tra il vecchio lavoro stabile e i nuovi lavori precari”.
Ma poi nel 1984, quando Confindustria spingeva per una compressione dei salari e chiesero a Carniti se il sindacato fosse a favore di un negoziato per far tornare indietro la dinamica dei salari, Carniti disse: “La nostra risposta è no. Quando si accetta l’eclissi di ogni regola, tutto diventa possibile per tutti, innescando un conflitto distruttivo. Se gli imprenditori non rispetteranno le scadenze previste per le vertenze aziendali non facciano conto sulla debolezza o sulla compiacenza del sindacato. Punto!”.
“C’è stato un tempo in cui nel movimento sindacale – ha continuato Vasapollo – vigeva un principio irrinunciabile: il salario come variabile indipendente. I livelli retributivi e gli aumenti conseguenti dovevano corrispondere a un ‘elemento esterno fisso’, come salvaguardia della dignità difendendo a oltranza i livelli minimi di sussistenza, che ponevano i salari in una posizione rigida rispetto ai profitti.
E allora a maggior ragione oggi, nessun dialogo di questo, nessuna mediazione, nessuna concessione. E cioè: agli operai non gliene importa un fico secco delle compatibilità del rapporto con il capitale costante, gli ammortamenti, il profitto e gli investimenti, agli operai, ai lavoratori tutti, interessa solo il reddito per la dignità della vita“.
Mentre purtroppo, ha concluso Vasapollo, “come abbiamo visto, i salari negli ultimi anni non solo non crescono ma diminuiscono sensibilmente”.
* da Il Faro di Roma
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