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First Republic: fallimento e salvataggio, come nel 2008…

A piccoli passi verso il nuovo crack. L’impressione, nel seguire i fallimenti e le crisi bancarie negli Stati Uniti – con conseguenze “sistemiche”, come dimostra il fallimento di Credit Suisse – è che si stia replicando la crisi del 2007-2008, che ebbe il suo momento clou nel fallimento di Lehmann Brthers (la quarta banda d’affari più grande degli Usa e del mondo).

Vediamo perché.

First Republic era solo la quattordicesima più grande degli Stati Uniti all’inizio del 2023, ma negli ultimi mesi le sue azioni avevano perso quasi per intero il loro valore dopo una serie di problemi finanziari legati alla crisi degli istituti bancari americani di queste settimane.

Innescati, com’è noto, dal brusco e violento aumento dei tassi di interesse – da parte della Federal Reserve – deciso per bloccare l’inflazione, ingigantita dalla guerra in Ucraina ma esplosa già qualche mese prima.

Il fallimento di First Republic Bank è il secondo per dimensioni nella storia statunitense, dopo quello del Washington Mutual, istituto che fallì durante la crisi finanziaria del 2008, travolgendo il settore immobiliare e quindi quello bancario.

First Republic è stata rilevata nella notte tra domenica e lunedì dal Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’ente pubblico di assicurazione dei depositi bancari, che ha “trovato” l’acquirente in JpMorgan Chase, che ora diventa di fatto la prima banca statunitense.

Il meccanismo di “salvataggio” è naturalmente molto complesso, perché prevede uno sforzo privato (JpMorgan compra, anche se a prezzi di saldo) e robuste garanzie pubbliche (la stessa Fdic), altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla.

JPMorgan assumerà infatti tutti i 103,9 miliardi di dollari di depositi di First Republic e acquisterà la maggior parte dei suoi 229,1 miliardi di dollari di attività. Ma il prezzo pagato non sarà questo, visto che il titolo ha persso oltre il 90% in pochi giorni, passando da 115 dollari a soli 3,51 (venerdì sera, alla chiusura di Wall Street).

In pratica, ieri mattina valeva solo 650 milioni di dollari.

Quindi JpMorgan “si assumerà tutti i depositi, compresi quelli non assicurati, e sostanzialmente tutti i beni di First Republic Bank“. Ma la Fdic, come curatore fallimentare della banca, assicurerà “I depositi a livello federale e soggetti a limiti applicabili”. Garanzia parziale, dunque, per ogni evenienza, anche per quelli superiori a 250.000 e dunque ascrivibili ai “paperoni” d’America.

Gli 84 uffici della First Republic Bank, in otto stati (la sede centrale è a San Francisco, California), hanno riaperto come filiali della JPMorgan Chase Bank già da ieri. E tutti i clienti della First Republic Bank diventeranno automaticamente clienti della JPMorgan Chase Bank e avranno pieno accesso a tutti i loro depositi.

Il “grande movimento” di capitale avviene tutto nel retrobottega, mentre i clienti non dovrebbero accorgersi di quasi nulla.

In questo senso è un classico esempio di “socialismo per ricchi”, con i depositi bancari garantiti dallo Stato (o qualche suo ente).

Nonostante questo si insiste a volerla preseentare come “un’operazione di mercato”, anche se l’intervento della Fdic ratificava di fatto il fallimento di First Republic e la “cessione” a JpMorgan tutto è meno che una “normale compravendita”.

Una dimostrazione empirica, insomma, di come il sistema bancario – non solo statunitense, ma euro-atlantico – non stia più camminando con le proprie gambe, ma abbia bisogno di continui interventi “regolatori” o di “finanziamenti straordinari”. Non a caso le borse, che pure si trovano a fare i conti con la stretta improvvisa sui tassi di interesse, si comportano come se scommettessero su un movimento altrettanto rapido e drastico in senso opposto (riduzione dei tassi nel giro di un anno e mezzo).

Come scrivevamo qualche settimana fa, “In pratica ‘togli la cera’ con la mano destra mentre ‘metti la cera’ con la sinistra”. Difficile credere che dopo Silicon Valley Bank e Signature Bank, il fallimento di First Republic possa essere l’ultimo…

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