Guerra e affari non sempre vanno d’accordo. O meglio, la guerra non è un affare per ogni tipo di industria. E se è fin troppo scontato che lo sia per le industrie di armamenti (in senso anche lato, dai mezzi di trasporto pesante all’elettronica), per altre può trasformarsi in un mezzo incubo.
Questo articolo apparso sulla statunitense Cnn mostra che persino alcuni fabbricanti di chip prevedono “perdite permanenti di opportunità” dai divieti di esportazione che l’amministrazione Biden ha appena approvato.
Urante la fase della cosiddetta “globalizzazione” si erano create almeno due condizioni che hanno strutturato il mercato mondiale: la possibilità di produrre e vendere in qualsiasi paese del mondo e una forte specializzazione produttiva nei settori tecnologici di punta.
Due fenomeni normalmente in contraddizione, ma che non lo erano più in quelle condizioni.
La tendenza “normale” della produzione capitalistica va infatti verso l’eliminazione della concorrenza, specie in quei settori dove non c’è spazio per start up “create in garage”. La produzione di chip richiede infatti investimenti multimiliardari in macchinari e ricerca, con innovazioni continue che rendono rapidamente obsoleti gli “stampi” usati.
E in effetti Intel, Amd, Nvidia e pochi altri si sono spartiti sia il mercato mondiale che le diverse nicchie di specializzazione, senza che questo fosse un problema. I chip poi finivano in ogni tipo di prodotto industriale (dalle lavatrici ai computer, dalle navi agli aerei, dai carri armati agli apparecchi elettromedicali, ai missili, ecc).
Ma se un sistema – in questo caso l’imperialismo statunitense – decide di puntare sul conflitto pur di mantenere la sua periclitante egemonia, allora questa “libertà di commercio universale” entra di nuovo in contraddizione con la “necessità” di recintare rigidamente ampie zone del mercato mondiale secondo le regole del friendly shoring.
In parole povere: i prodotti che consideriamo strategici di diamo soltanto ai nostri alleati e fino a quando lo restano.
La Cina, dunque, è stata elevata a “prossimo nemico” degli Stati Uniti (era ed è il principale, nella visione di Trump e di una parte dell’industria yankee), e la dotazione tecnologica di punta le deve essere preclusa.
La mossa di Biden, però, crea problemi seri proprio a una delle poche “eccellenze” industriali rimaste con base negli States (oltre al complesso militare-industriale). Il resto, ormai da decenni, è stato delocalizzato ovunque.
Oltretutto si tratta di una mossa ad effetto temporalmente limitato, perché le avvisaglie di questa “guerra commerciale sui prodotti hi tech” sono presenti da parecchi anni.
Tanto da convincere Pechino ad investire pesantemente nella ricerca per arrivare al più presto a raggiungere una “indipendenza tecnologica” anche e soprattutto nella produzione di chip. E non si può certo negare che la Cina abbia dimostrato di saper raggiungere questo tipo di obiettivi…
Sembra insomma un altro capitolo di quella saga in cui “i reazionari alzano pietre al cielo e poi se le lasciano cadere sui piedi”.
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Nvidia afferma che i limiti imposti dagli Stati Uniti alle vendite di chip AI alla Cina potrebbero causare una “perdita permanente di opportunità”.
Laura He, CNN
Il direttore finanziario di Nvidia ha avvertito mercoledì che se gli Stati Uniti dovessero imporre nuove restrizioni all’esportazione di chip AI in Cina, ciò comporterebbe una “perdita permanente di opportunità” per l’industria statunitense.
Il dirigente, Colette Kress, ha tuttavia dichiarato di non prevedere alcun “impatto materiale immediato” sull’azienda tecnologica in caso di introduzione delle restrizioni.
Secondo quanto riportato da diversi media, tra cui il Wall Street Journal e il Financial Times, i funzionari statunitensi intendono inasprire i limiti alle esportazioni annunciati a ottobre per limitare la vendita di alcuni chip di intelligenza artificiale alla Cina.
Washington ha intensificato gli sforzi per escludere la Cina dalle tecnologie chiave che possono supportare le sue forze armate.
Le regole potrebbero rendere più difficile per aziende come Nvidia vendere chip avanzati alla Cina. Alimentata dal boom della domanda dei suoi chip di intelligenza artificiale, l’azienda ha in breve raggiunto una capitalizzazione di mercato di 1.000 miliardi di dollari a fine maggio.
“Siamo a conoscenza delle notizie secondo cui il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti starebbe valutando ulteriori controlli che potrebbero limitare le esportazioni dei nostri prodotti A800 e H800 in Cina“, ha dichiarato Kress durante una conferenza di investitori.
“A lungo termine, le restrizioni che vietano la vendita delle nostre GPU per data center in Cina, se attuate, comporterebbero una perdita permanente di opportunità per l’industria statunitense di competere e di essere leader in uno dei mercati più grandi del mondo e avrebbero un impatto sulla nostra attività futura e sui nostri risultati finanziari“, ha dichiarato.
Le GPU si riferiscono alle unità di elaborazione grafica, che sono chip o circuiti elettronici in grado di eseguire il rendering della grafica per la visualizzazione su dispositivi elettronici.
“Data la forza della domanda dei nostri prodotti in tutto il mondo, non prevediamo che tali ulteriori restrizioni, se adottate, abbiano un impatto materiale immediato sui nostri risultati finanziari“, ha aggiunto Kress.
Il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti non ha risposto a una richiesta di commento della CNN.
Lo scorso ottobre, l’amministrazione Biden ha presentato un’ampia serie di controlli sulle esportazioni che vietano alle aziende cinesi di acquistare chip avanzati e attrezzature per la produzione di chip senza una licenza.
La nuova mossa è rivolta in particolare al chip A800 di Nvidia, che l’azienda statunitense ha creato dopo l’introduzione delle restrizioni dello scorso anno per continuare a vendere in Cina, come riporta Bloomberg.
La Cina è un mercato chiave per Nvidia. Secondo il bilancio dell’azienda, l’anno scorso i ricavi provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong hanno rappresentato il 22% del fatturato dell’azienda.
Mercoledì le azioni di Nvidia sono crollate fino al 3,2%, prima di recuperare parte delle perdite. La flessione è stata dell’1,8%.
Anche i titoli cinesi dell’intelligenza artificiale sono crollati in seguito alle notizie di ulteriori limitazioni da parte degli Stati Uniti.
Inspur Electronic Information Industry è scesa del 10%, il massimo consentito, mercoledì a Shenzhen. Giovedì è scesa ancora dell’8,5%.
Chengdu Information Technology of Chinese Academy of Sciences ha perso il 12% mercoledì. Giovedì ha recuperato parte delle perdite e ha chiuso le contrattazioni in rialzo dell’1,6%.
Baidu è scesa del 3,4% giovedì a Hong Kong.
La Cina ha fortemente criticato le restrizioni imposte dagli Stati Uniti alle esportazioni di tecnologia, dichiarando all’inizio dell’anno di “opporsi fermamente” a tali misure.
A maggio, Pechino ha vietato agli operatori cinesi di infrastrutture informatiche critiche di acquistare prodotti di Micron Technology (MU), come apparente ritorsione alle sanzioni imposte da Washington e dai suoi alleati al settore dei chip del Paese.
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