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Gli extraprofitti delle banche non si toccano. La BCE entra a gamba tesa

La BCE ha inviato la sua “letterina” al governo italiano, e questa volta non sul mancato rigore in bilancio ma sulle risorse fiscali per rimpolpare le casse. Il diktat è chiaro: “Giù le mani dalle banche!!

Dunque, il postino di Francoforte ha bussato di nuovo in Italia, dodici anni dopo la lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet che costrinse il governo Berlusconi alle dimissioni.

In questo caso, il colpevole – la BCE – intende però negare i danni delle conseguenze sua azione deliberata, cioè il ripetuto aumento dei tassi di interesse sui prestiti bancari alle imprese e alle famiglie in nome della “lotta all’inflazione”.

Superfluo sottolineare che la “lettera della BCE” ha fatto felici le banche italiane, le quali in sede di audizione al Senato erano arrivate a sollevare questioni di incostituzionalità per la tassa sugli extraprofitti, tra l’altro più simbolica che reale visto che il governo si era affrettato a ridurre subito a poco o nulla la percentuale del prelievo.

L’imposta straordinaria è stata definita come tassazione di extraprofitti del settore bancario. L’extra-profitto si riferisce a una situazione specifica, quella in cui un’impresa godendo di una posizione di monopolio od oligopolio può fissare il prezzo dei suoi prodotti ricavando un profitto superiore a quello determinabile in un mercato concorrenziale. Questa situazione è assente nelle banche, non solo in forte concorrenza nell’intera area dell’euro”, ha affermato il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini nel corso della sua audizione al Senato.

Un ragionamento che non tiene, visto che tra le banche non si registra alcuna sensibile concorrenza sui tassi di interesse applicati ai mutui delle famiglie o ai prestiti alle imprese.

Da luglio 2022, la Bce ha alzato nove volte i tassi d’interesse sul denaro che presta alle banche private dei Paesi membri dell’area euro, che a loro volta erogano prestiti e mutui ai cittadini e alle imprese. In un anno i tassi sono passati dallo 0,25 per cento al 4,5 per cento

Adesso la BCE, dopo avere analizzato la proposta elaborata ad agosto dal governo italiano relativa all’imposizione di un’imposta straordinaria sugli extraprofitti delle banche – che in questi anni hanno acquistato il denaro praticamente a tasso zero mentre facevano prestiti con interessi crescenti – nella sua lettera al governo italiano “raccomanda che, al fine di valutare se la sua applicazione pone dei rischi per la stabilità finanziaria, e in particolare se ha il potenziale di compromettere la capacità di tenuta del settore bancario e di causare distorsioni del mercato, il decreto-legge sia accompagnato da un’analisi approfondita delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario”.

E’ una stroncatura sull’unica iniziativa del governo Meloni non immediatamente destinata ad accanirsi sui poveri, quella che arriva da Francoforte.

La Bce sottolinea come “tale analisi dovrebbe illustrare in dettaglio in particolare, l’impatto specifico dell’imposta straordinaria sulla redditività a più lungo termine e sulla base patrimoniale, sull’accesso ai finanziamenti e sulla concessione di nuovi prestiti e sulle condizioni di concorrenza sul mercato, e il suo potenziale impatto sulla liquidità“.

La tassa, continua la Bce, “può portare a una frammentazione del sistema finanziario europeo a causa della natura eterogenea di tali imposte per il settore bancario. Il rischio di una doppia imposizione per gli enti creditizi che operano anche attraverso succursali in altre giurisdizioni in cui si riscuote ugualmente un’imposta straordinaria può rappresentare un’ulteriore fonte di tale frammentazione“.

E ancora: “L’imposta straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all’ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire in enti creditizi italiani che hanno prospettive più incerte“, scrive la Bce osservando come “l’introduzione di una imposta retroattiva ad hoc aumenta indebitamente l’incertezza sul quadro fiscale, danneggiando la fiducia degli investitori e influenzando potenzialmente anche il costo del finanziamento per le società non finanziarie. Inoltre, la sua natura retroattiva può alimentare la percezione di un quadro fiscale incerto e dar luogo a un ampio contenzioso, creando problemi di incertezza giuridica“.

Secondo un rapporto pubblicato a luglio dall’Abi, tra giugno 2022 e giugno 2023 il tasso di interesse applicato dalle banche alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è cresciuto di oltre 200 punti base, passando dal 2,05 per cento al 4,25 per cento.

Per le banche un tasso di interesse più alto significa maggiori ricavi dai mutui a tasso variabile, oltre che dai nuovi mutui sottoscritti a tasso fisso. Basta guardare i dividendi distribuiti agli azionisti nell’ultimo anno per capire che le banche su questo ci hanno guadagnato eccome.

Ma guai a chiedergli di restituire qualcosa alla collettività. Ce lo chiede l’Europa!!

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