È un ottobre caldo, non solamente per le temperature. Infatti, con l’inizio del nuovo anno accademico si ripropongono ciclicamente quelli che sono i problemi strutturali del diritto allo studio universitario in Italia.
L’esodo degli studenti dalle macroaree del Centro-Sud ai mega atenei del Nord (oltre a Roma e Napoli) ricrea un vecchio problema, cioè la ricerca di una casa per la migrazione studentesca interna, oltre a quella dei lavoratori. Infatti, nella situazione generale di sottofinanziamento della scuola, dell’università e della ricerca, i fondi pubblici sono distribuiti in maniera sempre più diseguale, privilegiando gli atenei del nord Italia e abbandonando quelli del sud.
Dati AlmaLaurea alla mano, il fenomeno non è da sottovalutare in quanto a portata: il 28% dei giovani del Sud decide di intraprendere una laurea al Centro-Nord e 50% degli avvii di carriera di una laurea magistrale è concentrato in sole cinque città: Roma, Milano, Bologna, Napoli e Torino.
Queste città risultano inoltre impreparate a gestire questo afflusso. Per questo motivo, riproponendo quello che già era avvenuto in questa primavera, gli studenti di varie università si sono “accampati” in tenda davanti ai rispettivi rettorati per chiedere una politica attiva da parte degli atenei e del Governo sulla questione abitativa.
È giusto sottolineare come abbiano tutte le ragioni di farlo. Infatti, da un lato i posti di studentato in Italia possono coprire solo circa il 10% di quelli che sono gli studenti fuori sede, oltretutto in maniera estremamente disomogenea a livello regionale, dall’altro i prezzi effettivi degli affitti sono aumentati del 10,5% dal 2010 al 2023.
Ma guardiamo più da vicino il mercato italiano degli affitti per studenti. Nell’ultimo anno l’offerta di stanze in affitto è aumentata del 34% nel Paese. Aumento di offerta che, lungi da rispettare le fantasie dei liberisti nostrani, non ha chiaramente fatto abbassare i prezzi dei canoni che sono continuati ad aumentare o al più a rimanere stabili in alcuni grandi centri come Milano e Roma.
Città che restano comunque tra le più care d’Italia. D’altronde, cresce anche la domanda di stanze; emblematico è il caso di Roma dove vi è stato un aumento di oltre il 50% rispetto allo scorso anno e dove il prezzo medio per una stanza singola è di 460€.
Spicca tra tutte la situazione a Bologna – con il secondo costo più alto d’Italia, ben 480€ – che ha visto un’impennata dell’8% rispetto allo scorso anno. Nella figura, presa da un articolo del Sole24Ore su dati Immobiliare.it si possono vedere i prezzi delle camere singole nelle 15 città più costose d’Italia.
C’è da notare, tra le altre cose, come il prezzo medio italiano sia sopra ai 400€ a stanza e che Milano con il suo record di prezzo stacca di più di 150€ la seconda città in graduatoria (Bologna).
Tra le cause degli elevati costi dei canoni di affitto non vanno dimenticati tutti quegli appartamenti che vengono destinati ad affitti a breve termine, quindi con locazioni fino a 30 giorni. Tra questi, si è discusso molto recentemente il caso della piattaforma AirBnB.
Uno studio di ricercatori della Sapienza ha evidenziato infatti come la piattaforma abbia avuto un effetto stimato tra il 70% e il 90% sullo spopolamento del centro storico di città come Roma e Venezia. Inoltre, va notato che il 32% delle case del centro storico di Bologna e il 29% di quelle di Firenze sono apparse almeno una volta in affitto sulla piattaforma.
Ma quali sono le politiche che Governo, comuni ed atenei vogliono proporre per questa crisi? La risposta è una lista di sconcertanti eventi e politiche inefficaci o peggio.
Per il tema AirBnB, che vista la portata è stato giustamente trattato in Parlamento, il risultato è stato un ddl che ha lasciato insoddisfatti un po’ tutti, la cui normativa più stringente impone che nelle città principali mete di turismo di massa non si potranno affittare appartamenti sulle piattaforme online per meno di due notti, riducendo quindi sì gli affitti a brevissimo, ma non quelli a breve, che rimangono comunque il problema principale.
Per quanto riguarda i pignoramenti, altro tema da non dimenticare quando si parla di tutela del diritto all’abitare, abbiamo già discusso di come tra le condizioni del Recovery Fund ci fosse un’accelerazione delle procedure per l’esecuzione immobiliare che permetterà a banche e palazzinari di ridurre i tempi necessari per il pignoramento delle case.
Inoltre, il capitalismo immobiliare è pronto a guadagnare dalla situazione; infatti, dopo Firenze e Bologna, un altro “Student Hotel” (che da poco si è re-brandizzato “The Social Hub”) è in costruzione a Roma in zona San Lorenzo.
Questi non sono altro che “alberghi” all-inclusive per studenti o giovani lavoratori, i cui costi proibitivi rendono l’esperienza esclusiva e lontana da ciò che servirebbe realmente: studentati e politiche attive.
Certo, nessuno si aspetta che ingordi capitalisti transnazionali puntino a risolvere la crisi abitativa piuttosto che fare profitti (finché si accetta una società capitalista); sarebbe però lecito immaginare l’intervento di amministrazioni locali e nazionali.
Invece, il PNRR non fa altro che incentivare il business degli studentati sulle spalle degli studenti: incentivi a soggetti privati per la costruzione di studentati con addirittura la possibilità di destinare gli alloggi ad usi diversi dall’ospitalità degli studenti fuori sede; in pratica, costi pubblici e profitti privati.
Tirando le somme, gli affitti sempre più alti nelle principali città italiane sono e rimangono un tema di dibattito e attualità. Il diritto all’abitare è qualcosa di fondamentale per poter vivere una vita dignitosa. Al giorno d’oggi sempre più studenti rinunciano a studiare in determinate università per via del costo della vita e in particolare dell’affitto.
Lo stesso vale per molte altre figure precarie di cui è ricco il panorama italiano: stanti gli attuali salari, 400€ al mese per una stanza sono troppi. Le “tendate” sono una prima forma di dissenso, da incoraggiare e connettere alle altre lotte.
La rivendicazione della classe lavoratrice è sempre la medesima, al di là delle panzane liberiste: salari più alti, più servizi, più presenza dello Stato, più servizi più pubblici, più studentati pubblici, più finanziamenti alle università del sud.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
Foto di Patrizia Cortellessa
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