L’atteso aumento dei dazi d’importazione nell’Unione europea sui veicoli elettrici (Ev) prodotti in Cina è stato varato il 12 giugno, ed è più severo delle aspettative. Le imposte (attualmente del 10 per cento da entrambe le parti) sono state alzate dall’Ue in misura differente – a seconda della rispettiva collaborazione con l’inchiesta su “sussidi illegali” – per tre big dell’automotive cinese: di un ulteriore 17,4 per cento per BYD, del 20 per cento per Geely e del 38,1 per cento per SAIC.
Secondo quanto si apprende dai funzionari coinvolti nell’indagine, l’Ue ha concluso che in Cina l’intera filiera degli Ev (dai minerali strategici, alle batterie, ai software) è massicciamente sussidiata dal governo.
Le misure compensative varate sono sostanziose ma provvisorie: entreranno in vigore a partire dal 4 luglio, in attesa di quelle definitive, che si applicheranno per cinque anni e che dovranno essere decise entro il prossimo 2 novembre, a conclusione del procedimento avviato il 4 ottobre 2023.
Build Your Dreams nel quarto trimestre 2023 ha superato Tesla per vendite globali di Ev e sta costruendo un impianto a Szeged, in Ungheria, che potrebbe avviare la produzione già nella seconda metà del 2025 (capacità 300.000 auto all’anno). Geely è proprietaria del brand svedese Volvo. L’azienda di stato SAIC ha acquisito lo storico marchio britannico MG, ma non prevede di aprire stabilimenti nell’Ue, ed essendo la più dipendente dal mercato comunitario, è quella che subirebbe i contraccolpi più pesanti dai nuovi dazi.
Nel 2023, quelli prodotti in Cina rappresentavano circa il 20 per cento degli Ev venduti nell’Ue, ma soltanto il 6,9 per cento erano di marchi cinesi, che nel mercato europeo hanno ancora un (grosso) problema di “riconoscibilità”. Finora, la “inondazione” degli Ev cinesi denunciata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, semplicemente non esiste.
Il ministero del commercio ha avvertito che Pechino «adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi». Rappresaglie che potranno abbattersi contro il cognac, la carne di maiale, le auto, l’aviazione, l’agri-food, il lusso e altri prodotti importati dalla Cina dall’Ue, innescando una vera e propria guerra commerciale.
Sul fatto che Pechino reagirà ci sono pochi dubbi. «Naturalmente ci sono piani e preparativi. Risponderemo ai dazi dell’Ue dopo aver valutato quanto i nostri interessi saranno stati danneggiati», ha dichiarato Ding Yifan, responsabile per l’Europa del Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di stato (il governo cinese). Ma alle rappresaglie dirette e immediate Pechino potrebbe preferire un più blando e prevedibile ricorso all’Organizzazione mondiale per il commercio
L’aumento dei dazi sull’importazione degli Ev cinesi rappresenta un protezione legittima per il settore automotive, che contribuisce con il 7 per cento dei posti di lavoro all’economia europea. Basti pensare che negli ultimi tempi la Turchia li ha portati al 40 per cento e gli Stati Uniti si sono blindati con tariffe del 100 per cento.
Secondo Bill Russo – un esperto di veicoli elettrici (Ev) cinesi -l’aumento dei dazi sulle auto elettriche made in China importate nell’Unione europea è «una multa per eccesso di velocità per rallentare la Cina. Le compagnie cinesi sono in vantaggio: freniamole e incoraggiamole a ottenere una riduzione delle imposte attraverso la localizzazione» della produzione nell’Ue.
È quello che cercherà di ottenere Adolfo Urso (Fratelli d’Italia), atteso a Pechino il 4 luglio proprio per cercare un accordo su un marchio cinese che sia interessato a produrre le sue auto elettriche in Italia. Il ministro delle imprese e del made in Italy ha definito la decisione della Commissione sull’aumento dei dazi «assolutamente necessaria, anche alla luce delle recenti misure dell’amministrazione americana, che hanno elevato i dazi sulle auto elettriche a oltre il 100 per cento e di conseguenza la sovrapproduzione cinese si sarebbe riversata come un’ondata sul mercato europeo».
Tuttavia è chiaro che il verdetto che a Pechino hanno stigmatizzano come “politico” presenta una serie di criticità.
Anzitutto appare in contraddizione con il regolamento Ue secondo cui, a partire dal 2035, nell’Europa a 27 potranno essere vendute solo auto a emissioni zero. Infatti dal momento che i marchi occidentali o sono indietro oppure non riescono a garantire prezzi bassi per gli Ev, quelli cinesi rappresentano un’alternativa alla portata di (quasi) tutte le tasche.
Secondo il Kiel Institute for World Economy, se i dazi saranno confermati nella portata attuale (agli altri brand cinesi si applicherà un aumento pari alla media di quello varato per i tre succitati), le importazioni di Ev made in China nell’Ue si ridurranno di un quarto.
Inoltre l’inchiesta della Commissione presieduta da von der Leyen, avviata ex officio (su iniziativa dello stesso esecutivo comunitario, senza alcun esposto da parte di associazioni imprenditoriali) e volta ad accertare pericoli futuri piuttosto che rischi concretamente riscontrabili per l’industria europea, divide i due maggiori paesi produttori di auto.
La Francia, principale sponsor dell’iniziativa, scommette sulla localizzazione nell’Ue delle compagnie cinesi, mentre la Germania difende il complesso delle sue colossali relazioni economico-commerciali con la Cina e i suoi brand di lusso esportati in Cina (BMW e Mercedes) da un eventuale scontro Ue-Cina.
Infine è evidente il rischio di scatenare una guerra commerciale con il principale partner commerciale dell’Ue (con un interscambio, nel 2023 di 739 miliardi di euro). Nel 2023, il 47 per cento dei veicoli a batteria esportati dalla Cina sono finiti nell’Ue.
Queste auto sono tra i cosiddetti “tre nuovi” (assieme alle batterie e ai pannelli fotovoltaici) che nel 2023 hanno soppiantato i “tre vecchi” (abbigliamento, elettrodomestici e mobili) sui gradini più alti del podio dei prodotti cinesi d’esportazione. Valore aggiunto e orgoglio nazionale che Pechino vuole difendere con ogni mezzo necessario.
Nelle prossime settimane i governi nazionali faranno sentire la loro voce (Germania, Svezia e Ungheria sono fortemente contrarie ai dazi), e Pechino continuerà a fare pressione su di essi e sulla Commissione.
È possibile trovare una soluzione di compromesso, che potrebbe portare all’approvazione di dazi definitivi più bassi, che però spingano comunque altre aziende cinesi (dopo BYD in Ungheria e Chery in Spagna) a localizzare la produzione nell’Ue. L’alternativa di una guerra commerciale non servirebbe a nessuno e vorrebbe dire che le fantasticherie geopolitiche (contenere la Cina in questo caso indebolendo una sua industria emergente strategica) hanno preso il sopravvento sulla ragione politica ed economica.
*Rassegna Cina a cura del Centro Studi sulla Cina Contemporanea
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