Nel sud-est della Norvegia è stato scoperto un nuovo giacimento di terre rare. A Fensfeltet il gruppo minerario norvegese Rare Earths Norway (Ren), in collaborazione con la società di consulenza canadese Wsp, ha reso noto di aver stimato la presenza di 8,8 milioni di tonnellate di ossidi di terre rare.
Questo è il primo risultato di tre anni di trivellazioni e analisi, con valutazioni fino a 468 metri sotto il livello del mare. Ma altre perforazioni suggeriscono che si potrebbero individuare ulteriori quantità di questi materiali, arrivando fino al doppio di questa profondità.
Nei prossimi mesi verranno condotti ulteriori studi ed entro l’anno si daranno notizie più precise sulla fattibilità economica dell’estrazione. Tema che sta molto a cuore a tutta la filiera euroatlantica, e alla UE in particolare.
Almeno 1,5 milioni di tonnellate sarebbero di neodimio e praseodimio, usati nella produzione di veicoli elettrici e turbine eoliche. Minerali fondamentali per la transizione ecologica (o per lo meno per competere in questo mercato, dato che la conversione produttiva è passata nettamente in secondo piano rispetto al riarmo).
È dalla stessa Ren che fanno sapere che “l’Unione europea considera questi metalli come le materie prime più critiche quando si considera il rischio di approvvigionamento“. Viene sottolineato che questo nuovo giacimento è utile per “sostenere una catena del valore sicura delle terre rare per l’Europa“.
Ma è davvero così? A inizio 2023 la scoperta di un giacimento di ossidi di terre rare in Svezia, a Kiruna, era rimbalzata sulle testate di tutta Italia. L’importanza di queste materie prime nello sviluppo delle più avanzate tecnologie, e dunque nella competizione globale, aveva subito acceso le penne dei sostenitori del ritorno a una logica internazionale a blocchi.
Quello che era passato in sordina era la quantità trovata e i tempi necessari allo sfruttamento. A Kiruna era stata stimata la presenza di circa una o due milioni di tonnellate di ossidi di terre rare, una parte infinitesimale rispetto alle 120 milioni di tonnellate che lo United States Geological Survey stima a livello mondiale.
La maggior parte di esse sono in paesi considerati nemici o avversari strategici, o comunque con cui i rapporti non sono segnati da una subalternità senza appello (vedi l’India). Inoltre, i tempi per lo sfruttamento del giacimento svedese erano stati calcolati in una quindicina d’anni: non un affare a breve termine.
Per quanto riguarda il giacimento di Fensfeltet, di sicuro la quantità è molto più sostanziosa. La Ren ha già accennato che vuole provare a soddisfare il 10% del fabbisogno UE di queste materie, rispondendo dunque all’obiettivo di autosufficienza per almeno il 10% dei materiali critici stabilito dal Critical Raw Materials Act.
Ma anche in questo caso i tempi non sono corti: la Ren non potrà probabilmente prendere una decisione finale di investimento prima del 2030. È vero che, se parliamo di soggetti come la UE, non possiamo che ragionare su tempi storici, ma è anche vero che la NATO sta accelerando sempre più la precipitazione dei punti di tensione internazionale.
La possibilità di fare a meno della Cina (e di tanti paesi del Sud Globale che guardano a Pechino), dopo che si è fatto a meno della Russia, non è all’ordine del giorno. Sarebbe il caso che nelle cancellerie occidentali si mettano in testa di rilanciare la cooperazione pacifica, invece che le sanzioni, l’invio di armi e le condanne moralistiche.
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