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Addio alle auto “termiche”. Forse, piano, non c’è fretta…

Illudersi che la “transizione ecologica” sia praticabile in regime capitalistico – ossia prevalenza degli interessi privati su quelli collettivi di tutta l’umanità – è pericoloso.

Una dimostrazione lampante è arrivata con la cosiddetta approvazione della direttiva europea che vieta la vendita di auto con motore termico – diesel, benzina, gpl e ibridi – a partire dal 2035. Naturalmente dopo quella data il vecchio parco auto continuerà a circolare ed inquinare fino alla morte fisica dei veicoli.

Ma non è questo, nonostante l’ovvia gravità, il punto peggiore. Intanto bisogna sottolineare che le direttive presentate per l’obiettivo Fit for 55 (per ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 e arrivare al net zero entro il 2050) erano otto, ma tre sono state ritirate perché la “maggioranza Ursula” nel Parlamento di Strasburgo si è clamorosamente rotta.

Il Ppe (i democristiani europei), a cominciare dal capogruppo, il tedesco Manfred Weber, hanno votato contro, adducendo le ragioni delle case automobilistiche (“troppo presto”, “troppo brusco”). E dire che stiamo parlando di una prassi che comincerà ad entrare in vigore tra 12 anni, mentre i principali scienziati del clima ci spiegano che abbiamo – come umanità, non solo come “europei” – molto meno tempo davanti per cambiare regime.

Soprattutto, la maggioranza non ha retto sulla riforma dell’Ets, il meccanismo dello scambio di emissioni, che consiste grosso modo nel tassare le multinazionali dell’auto che producono buona parte dei loro veicoli fuori dall’Europa e che dunque continuerebbero a far profitti con le attuali regole ma altrove.

I numeri del voto sul bando alle auto “fossili” dimostra la forza della lobby automobilistica: 339 voti a favore, 249 contrari e 24 astensioni. Non è mancato lo schizzo “creativo” italico, che è riuscito a far passare un emendamento chiamato subito “salva-Ferrari”, che proroga fino all’inizio del 2036 la possibilità di avere deroghe sulle emissioni di Co2 per i piccoli produttori di auto (tra mille e diecimila) e per i furgoni (fino a 22 mila). E il lusso, va da sé, è fatto di piccoli numeri…

Nonostante la forte frenata su decisioni comunque minime e tardive, le associazioni dei costruttori protestano lo stesso, affidando ai partiti più a destra il compito di difenderne gli interessi. Ma sarebbe un errore crede che quelli sedicenti “progressisti” abbiano idee davvero differenti.

Bisogna ricordare infatti che le auto elettriche (o, più difficilmente, a idrogeno) inquinano poco là dove circolano (le metropoli dell’Occidente, in primo luogo), ma richiedono un’energia che da qualche parte deve essere comunque prodotta: gas, nucleare, carbone, petrolio, ecc. Spostare il luogo di emissione degli inquinanti sembra una furbata, ma l’equazione ambientale globale – l’unica da tener presente, se si vuol davvero fare qualcosa per la salvaguardia dei fragili equilibri ecologici – non cambia in modo significativo.

Ma anche questo poco per i servi del capitale più reazionario sembra troppo.

Spiega Oliver Zipse, presidente dell’associazione Acea e amministratore delegato di Bmw: “Data la volatilità e l’incertezza che stiamo vivendo giorno per giorno a livello globale, qualsiasi regolamentazione a lungo termine che vada oltre questo decennio è prematura in questa fase iniziale. Al contrario, è necessaria una revisione trasparente a metà strada per definire gli obiettivi post-2030“.

Una tale revisione dovrà prima di tutto valutare se l’implementazione di infrastrutture di ricarica e la disponibilità di materie prime per la produzione di batterie saranno in grado di eguagliare il continuo e rapido aumento dei veicoli elettrici a batteria in quel momento“.

E qui mette il dito sulla questione che viene meno nominata: occorre contemporaneamente costruire una rete infrastrutturale diffusa su tutto il territorio europeo per garantire le possibilità di rifornimento. E naturalmente questo è un compito – meglio un onere finanziario – che le imprese dell’automotive non si accolleranno mai, pretendendo invece che siano gli Stati o la UE a farsene carico.

La discussione ha del resto anche attualissimi risvolti “geopolitici”. C’è la necessità, soprattutto europea, di ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas. Non solo dalla Russia, causa la guerra in corso, ma anche dagli altri fornitori (Medio Oriente, Africa, ecc) che per vari motivi sono altrettanto problematici.

Se ne trova eco esplicita in quei pazzi scatenati che già tuonano contro “l’asservimento alla Cina, che domina il mercato delle batterie per auto elettriche”. E qui casca l’asino del capitalismo straccione italico: da 30 anni a questa parte è sopravvissuto – non “cresciuto” – grazie alla compressione dei salari, senza investire né in ricerca né in tecnologie (o comunque molto meno dei suoi “competitori”).

Ora scopre, come il contadino avido che non dava più da mangiare al suo cavallo (quando quello muore), che dipende da tutti per tutto, perché non sa fare più nulla da solo.

Dipende per l’energia, e fin qui potrebbe essere comprensibile, visto che il sottosuolo dà le risorse che ci sono e non altro. Ma le batterie si potevano produrre, se si fosse progettato/pianificato il futuro del paese anziché pensare soltanto a gonfiarsi le tasche e giocare alla roulette dei mercati finanziari.

Ecco. Davvero questa gente può guidarci verso un mondo “sostenibile”?

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2 Commenti


  • Leandro

    Se per voi un impatto globale inferiore tra 3 e 5 volte, cosa viene dimostrata e ridimostrata da ogni nuovo studio annuale con tendenza a risultati sempre più a favore delle elettriche, son quinsquigle. Beh allora attenzione che rischiate di passare da contro a disi- informazione!!! Mi sembra che fate i finti sordi sinceramente, la verotà comunque è che non è una questione politica, che come sempre è in forte ritardo, ma è una questione puramente tecnologica. In Poche parole se pensate che sia meglio non perdere i posti di lavoro oggi per chiudere la fabbriche domani, beh diventa difficile pensare che li da voi in redazione ci siano persone che sanno di cosa parlano. Fra due anni la Cina sarà in grado di produrre auto elettriche a 25K € con 600 Km di autonomia e ricarica in 15 minuti. Quindi o è la fine del libero mercato o è la fine dell’industria automobilistica europea. Forse è meglio accellerare sulla conversione anche da noi e magari convertire una parte della manovalanza su nuove competenze, o prefereti li da voi un effetto Nokia?


    • Redazione Contropiano

      Non ci sembra che tu abbia colto la nostra posizione. Ma ci sembra che tu sia molto fiducioso nelle virtù del capitale “green”

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