Mercoledì l’Istat ha diffuso le stime preliminari sull’inflazione per il mese di luglio. Queste segnalano una leggera ripresa dell’inflazione, che segna un +0,5% sul giugno e un +1,3% sull’anno. Ancora una volta, è l’energia a spingere il dato.
È certamente positivo che il carrello della spesa e i prodotti ad alta frequenza d’acquisto siano in calo. Ma l’istituto di statistica non manca di far notare “la crescita dei prezzi dei beni energetici regolamentati (+5,5%) e non regolamentati (+3,3%)”, e anche di alcuni servizi.
Ormai tutto il Bel Paese sa che a gennaio è finito il mercato tutelato del gas, mentre alla fine di giugno è arrivato al termine anche quello dell’elettricità. Al di là di chi è considerato soggetto fragile, tutti gli altri sono stati costretti a transitare verso il libero mercato.
Ad essere precisi, in realtà, chi non ha scelto in autonomia un operatore è transitato verso un servizio a tutele graduali, della durata di tre anni. Il fatto che dovrebbero avere delle tutele non ha evitato che la situazione di queste persone sia nettamente peggiorata.
“L’evoluzione dei prezzi nel settore energetico, a luglio, risente anche della dinamica dei prezzi dell’Energia elettrica per le famiglie in transizione, che registrano una crescita del 52,6% sul mese precedente e del 7,3% rispetto a dicembre dello scorso anno”.
L’Arera ha confermato che quasi tutte le offerte che si possono trovare sono meno convenienti della tutela. A seconda di vari scaglioni di consumo, si parla di percentuali che non superano l’1,6% per l’elettrico, il 3,8% per il gas.
Ricordiamo che il passaggio obbligato al libero mercato va fatto risalire al governo Draghi, e a una delle tante clausole del PNRR. Il governo Meloni ha pure difeso pubblicamente questa scelta, in quanto espressione di una maggioranza pienamente dentro la logica delle politiche europee.
Si tratta sicuramente anche di un regalo a tante imprese dell’energia, dato che il mantenimento del quadro precedente non costava sostanzialmente nulla al paese. Ma bisognava proclamare la fedeltà assoluta al mito della competizione di mercato.
A pagarne le spese sono cinque milioni di famiglie.
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